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Il cuore mi batte forte, così forte che sembra voler uscire dal petto.

Mi siedo sullo sgabello davanti alla vocal coach, ma non riesco a concentrarmi. Continuo a fissare lo spartito della canzone, ma le note sembrano dissolversi sotto i miei occhi. La voce della coach è dolce, rassicurante, cerca di farmi calmare, ma dentro di me è il caos.

"Sarah, prenditi un attimo. Respira profondamente," mi dice. "Sai benissimo che ce la puoi fare."
Annuisco, ma il nodo alla gola cresce. È come se tutta la pressione di queste settimane mi stesse schiacciando, una montagna che non riesco più a scalare. Angela è sempre lì, davanti ai miei pensieri. L'immagino nella sua stanza, anche lei a provare, probabilmente più calma di me, più serena. Mi ricordo il suo sorriso, le risate che ci siamo fatte in questi mesi, le notti in cui abbiamo condiviso le nostre paure e i sogni, ma adesso... Adesso c'è solo questo maledetto ballottaggio.

Solo una di noi potrà andare avanti.

Mi sforzo per cantare, apro la bocca, ma la voce non esce come dovrebbe. È tremolante, incerta, lontana dalla perfezione che vorrei. Sento le lacrime premere dietro gli occhi. Mi dico di resistere, che non posso mollare proprio ora, ma è inutile. La mia gola si chiude e prima ancora che me ne renda conto, le lacrime scendono calde sulle guance.

"Non riesco..." sussurro, interrompendo la canzone.

"Sarah, ascolta..." inizia la coach, ma non ce la faccio. Mi alzo di scatto, scuotendo la testa.

"Scusami... devo andare." La mia voce si spezza mentre afferro la mia giacca e corro fuori dallo studio. Non posso restare lì. Non posso farmi vedere così. La vergogna mi avvolge come un manto pesante.

Le lacrime continuano a scorrere mentre attraverso il corridoio e mi ritrovo fuori, nel cortile. L'aria fresca mi colpisce il viso, ma non basta. Niente sembra calmarmi. Mi dirigo verso la casetta, il nostro rifugio.

Entro, sbattendo la porta della mia camera, e mi appoggio al muro, scivolando lentamente a terra. Mi porto le mani al viso, cercando di fermare il pianto, ma è impossibile. Il mio respiro è irregolare, spezzato, come se stessi annegando in una marea di emozioni.

"Sarah?" Una voce dolce mi chiama. La riconosco troppo bene. Alzo lo sguardo e vedo Angela, lì in piedi davanti a me. Mi guarda con occhi preoccupati, ma non dice nulla per un momento. Forse sta cercando di capire se può avvicinarsi o se preferisco restare sola.

"Sto... sto bene," mento, cercando di alzarmi, ma le gambe sembrano deboli, come se fossero fatte di gelatina.

Angela si siede accanto a me, senza chiedere il permesso. È sempre stata così, sa quando parlare e quando tacere. Non ha bisogno di fare domande, sa già cosa sto provando.

"Non devi fare sempre la dura, sai?" dice piano, rompendo il silenzio. "È normale essere spaventate."

Annuisco, asciugandomi le lacrime con la manica della felpa. "Ma io...lo so che è normale, mi sento solo sopraffatta."

Lei sorride, ma è un sorriso malinconico, comprensivo. "Lo so. Neanche io voglio perdere, so che neanche tu lo vuoi. Ma... non è solo per questo che siamo qui, giusto? Voglio dire, ricordi i primi giorni? Abbiamo cantato sempre perché amiamo farlo, perché la musica ci fa sentire vive."

Le sue parole mi colpiscono come una lama. Ricordo quei giorni iniziali, ricordo quanto eravamo entusiaste, quanto tutto sembrava una magia. Cantare qua è una competizione, ma in un modo per esprimere chi siamo, per sentirci libere.

"Ma ora... ora tutto sembra diverso," dico, abbassando lo sguardo. "È tutto così difficile. La pressione, le aspettative... Non riesco più a cantare come prima, lo percepisco dalle prove."

Angela sospira e mi mette una mano sulla spalla. "La pressione non deve cambiarci. Non dobbiamo permetterle di toglierci la gioia che proviamo. Dobbiamo ricordare perché lo facciamo." La guardo, cercando di trovare conforto nelle sue parole.

Vorrei crederle, vorrei tanto poter tornare indietro a quei giorni più semplici, ma il ballottaggio è qui, reale, imminente. Solo una di noi proseguirà. Solo una.

"E se non fossi abbastanza brava?" penso tra me e me. È la mia paura più grande, la verità che ho cercato di nascondere a me stessa.

Angela mi stringe forte. Mi legge nel pensiero pronunciando le seguenti parole: "Il ballottaggio non significa che non sei brava. Non significa che non meriti di essere qui. E poi piccirill, tu meriti di andare avanti, si tropp forte!"

Mi sciolgo nel suo abbraccio, sentendo il peso sul petto alleggerirsi, anche solo di un poco. Ridacchio al suo dialetto napoletano, è sempre così sincera, mi è sempre stata accanto. Lei ha ragione, lo so. Ma è difficile lasciare andare la paura. È difficile non pensare al risultato finale.

"Viviamoci questo momento," continua Angela. "Come abbiamo fatto all'inizio. Cantiamo perché amiamo farlo, perché è quello che ci fa stare bene. E che vinca la migliore, non importa chi sia."

Le sue parole sono così semplici. Mi lascio andare, chiudo gli occhi e inspiro profondamente. Sì, è questo che devo fare. Devo cantare per me, per quello che amo. Non per la vittoria, non per la paura di perdere.

"Grazie," le dico piano. "Hai ragione. È solo che... a volte dimentico perché sono qui, o meglio, mi lascio trasportare troppo dai giudizi e dalle aspettative..."

Angela sorride, quel sorriso che mi ha sempre rassicurata. "Ci siamo entrambe dimenticate. Ma possiamo ricordarlo insieme."

Rimaniamo così, abbracciate, in silenzio. Non c'è bisogno di altre parole.
Lì, in quel momento, tutto sembra tornare al suo posto.

ATTIMO - SAJOLIEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora