6. THE NEW JOB

1 1 0
                                    

Daphne
Sono al bancone ancora un po' intontita dopo quello che è successo con i fratelli Adams. Colin che mi minaccia per qualcosa che evidentemente non ho fatto, Jackson che per un attimo non fa lo stronzo e io che fisso gente ballare da ore con la testa che inizia a pesare probabilmente a causa di quel cocktail. Il telefono inizia a impazzire e sullo schermo compare un numero sconosciuto. Mi dirigo verso il bagno superando un paio di ragazze prese a farsi foto allo specchio e mi chiudo dietro una delle porticine imbrattate da graffiti. Premo il tasto verde e sussurro un flebile -Pronto?-. Niente, neanche un segno di vita oltre lo schermo, solo lenti e profondi respiri e poi lo sento, il mio nome.
-Daphne... Io ti troverò...-. E non riesco neanche a capire se la persona che ha appena parlato è un uomo o una donna perchè la chiamata si interrompe subito dopo. Sono confusa e allo stesso tempo spaventata, ma non penso che quello che mi ha chiamato sia Colin. Quello che doveva dirmi, l'ha detto e non avrebbe motivo di rifarlo per telefono. Due minacce in un giorno, un record per una che non ne ha mai ricevute! Appoggio la testa alla porta chiusa e fisso con un senso di inquietudine lo schermo, come se da un momento all'altro mi potessero richiamare quella persona a me sconosciuta. Finalmente esco dal piccolo bagno, e quello che mi ritrovo davanti mi fa strabuzzare gli occhi. Piper sta baciando un'altra ragazza di cui non riesco a vedere il viso, ma sembra essere più bassa e ha capelli lunghi tinti di fucsia. Avevo sempre pensato che ci fosse qualcosa tra lei e Colin, ma dopo quello che ho visto non so più cosa sia reale e cosa no. Per un attimo rimango bloccata, ma poi riprendo il controllo sul mio corpo e mi butto nella calca. Riesco a scorgere Luke che parla con un suo amico e lo afferro per il braccio.
-Ti va se andiamo un attimo fuori?- propongo sfinita dalla musica da discoteca a palla, che quasi mi fa rimpiangere la musica rock messa da Jack. Lui annuisce notando la mia disperazione e usciamo dal locale con molta fretta. Mi siedo sugli scalini e appoggio la testa sulle ginocchia. Mi sento sfinita, e il pensiero che qualcuno mi stia spiando mi ha sconvolta. Perché dovrebbero volere me? In questi diciott'anni l'unica cosa emozionante che io abbia fatto è stato andare al concerto di una band con la mia migliora amica Elena Cooper (nominata Lele dalla sottoscritta). Anche se per Luke nutro una certa simpatia, non voglio dovergli raccontare delle minacce ricevute, tantomeno di Piper. Vorrei potermi confidare con qualcuno, ma raccontando tutto ciò potrei metterlo in pericolo. Senza fare domande si siede accanto a me e mi cinge le spalle con un abbraccio. Cosa per cui gli sono grata, la mia voglia di parlare è pari a zero.
-Spostatevi dal cazzo, sposini- esclama con astio Jackson, più ubriaco di prima e con una mora che non gli toglie le mani di dosso neanche per un secondo, fatto che tra l'altro mi irrita. Scommetto che non sappia neanche il suo nome e che la porti in giro come un trofeo. Per una volta mi chiedo dove sia finita quella vipera.
-Oh, scusami se non ho ancora steso il tappeto rosso ai tuoi piedi- borbottò alzandomi e sistemando il vestito lungo i fianchi ben scoperti, cosa che mi mette parecchio a disagio anche se cerco di non farlo notare. 
-Basterebbe solo che ti levassi di torno-
-Parla quello che prima è venuto da me...- rispondo svogliata notando che adesso la mora sta cercando di attirare la sua attenzione. Luke, invece, non sembra in vena di litigi, quindi si avvia alla sua macchina e si appoggia alla portiera aspettando anche Piper.
-Chi la detto che io non posso?- mormora con strafottenza avvicinandosi pericolosamente a me, e il dubbio che non mi odi davvero si dilaga nella mia mente.
-Io- dico voltandomi di colpo e così facendo gli frusto il viso con i miei capelli. "Beccati questa, Jackson!" penso infilandomi in auto con un sorrisetto che non riesco a togliermi dalla faccia e prima di chiudere la portiera sento un -Jackie, lasciala perdere. Adesso, però possiamo rientrare?-.

Sono davanti alla porta del ristorante lungomare vestita nel modo più presentabile possibile. Camicetta e jeans neri accompagnati dalle mie amate converse nere. Penso che un lavoro non mi faccia male per questi tre mesi per pagare, in futuro, le cose che il college non offre. La mia scelta è ricaduta subito come cameriera e mi hanno accettato anche grazie alle amicizie di mio padre essendo un locale lussuoso, scorciatoia che alcune volte è necessaria. Questi giorni non ho fatto altro che ripensare alle minacce e questo non mi ha portato a nulla tranne che rimanere a letto con un senso di paura di essere seguita e spiata. prendo un lungo respiro ed entro nel The Gold Shore. Le pareti sembrano state dipinte di bianco da non molto e l'arredamento è moderno e molto lussuoso: sedie nere con le gambe dorate e tavoli arredati da lunghe tovaglie candide su cui è posato un servizio che mi dà l'impressione di essere molto costoso. I cuochi si possono vedere intenti nel preparare cene deliziose a base di pesce e i bicchieri sono così puliti che mi ci potrei specchiare. Vengo rapita da profumi deliziosi e piatti invitati, e prima di avventarmi su qualche vassoio, mi dirigo a un cameriere dai ricci dorati e gli occhi smeraldini.
-Daphne Wallace, sono qui per il nuovo lavoro- mi presento. Mi guarda curioso e si allontana scomparendo dietro a una porta scarlatta. quando la sua testa dorata spunta da dietro mi fa cenno di entrare. Se il ristorante è lussuoso, l'ufficio del capo lo è ancora di più e ha perfino un mini campo da golf.
-Lei è Dalia Wallace, Lewis Green, piacere- biascica tenendo lo sguardo fisso su un foglio e i piedi infilati nei mocassini sopra la scrivania di legno di quercia. Da quella posizione si può benissimo vedere lo spazio dove i capelli mancano e i pochi che rimangono sono super ingellati.
-Daphne Wallace- bisbiglio infastidita. Non sembra prendere sul serio il proprio lavoro e quando lo correggo mi squadra da capo a piedi, innervosito dalla mia risposta e piacevolmente colpito dal mio aspetto. "Disgustoso!" penso trattenendo la calma.
-In realtà non mi interessa, l'importate è che ci sia il cognome di tuo padre, giusto?- domanda anche se so benissimo che vuole che io dica di sì. Che qualcuno mi dia il permesso di strozzarlo!
-Anche per lei è stato lo stesso all'inizio, immagino. Anche perché prima di incontrarla non conoscevo nessuno Luke Green...- rispondo con un finto sorrisetto da angioletto anche se so di aver reagito da stronzetta. Lui grugnisce e incrocia i miei occhi per la prima volta, ma non si lamenta. Sembra che abbia capito che non sono una che si fa mettere i piedi in testa, soprattutto dai figli di papà. Quando Lewis finisce di ricordarmi tutte le regole mi faccio accompagnare da Lucas, il biondino apparentemente muto, nella nostra sala relax, ovvero uno stanzino con un tavolo su cu è appoggiata una divisa femminile bianca e nera, e decorata da due armadietti sgangherati e arrugginiti.Mi chiudo in bagno e mi infilo la gonna stretta e la camicetta con il logo d'oro sul petto: tutto troppo stretto per essere un ristorante elegante. Ripongo i miei vestiti in un armadietto e accolgo i capelli in uno chignon così tirato da risultare fastidioso. Appena esco mi accorgo che sono appena arrivate le prime persone e con un sorriso a tutti e trentadue denti, li accompagno ad un tavolo. Sono una coppia di signori anziani dall'aria perennemente austera e indossano abiti costosi e fatti a misura. man mano il ristorante si riempi e molti richiedono il mio intervento. La gonna rischia di farmi cascare come se non stessi portando una pila traballante di piatti e tre gruppi diversi mi stanno facendo cenno di raggiungerli per altre ordinazioni. Ormai mi hanno chiamato in tutti i modi: "Ragazzina", "Imbranata" e "Sgualdrina" come se la lunghezza della divisa l'avessi scelta io. All'improvviso un barboncino al guinzaglio, che per la precisione non dovrebbe stare qua dentro, inizia a correre intorno a me, e i piatti che mi coprono la visuale iniziano a traballare pericolosamente. Socchiudo gli occhi pronta all'impatto, quando una voce familiare arriva alle mie orecchie, mi salva dalla situazione. Due occhi scuri mi penetrano l'anima, una sola persona, zero dubbi, mille motivi per scappare e lasciare tutto lì.
-Non pensavo volessi uccidermi con dei piatti sporchi...- esclama lui strafottente, tenendo ferma la pila di piatti e piattini che un attimo prima tenevo in mano, e vorrei urlargli che il mondo non gira tutto attorno a lui.
-Adams, se mai dovessi ucciderti, non lo farei di certo con un piattino da dessert- rispondo seguendolo inviperita mentre poggia il tutto sul bancone della cucina.
-Basterebbe un grazie...- mi guarda serio. -...E la gonna è troppo corta, ma ho notato che ci tieni tanto a farmi impazzire-. Accenna un sorriso provocatorio che mi fa imbestialire. Vorrei dirgli che non mi vesto così "per farlo impazzire" e che per colpa sua dovrò subire una ramanzina perchè sono stata aiutata da un cliente, ma ormai se ne è andato. Schiudo la bocca reprimendo il fastidio e riprendo a lavorare, ma non riesco più a stare attenta come prima sapendo che c'è lui a uno dei tavoli.

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 25 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

Catastrophe-L'inizio della fineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora