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Prologo

Mould-on-the-Would, Inghilterra

Luglio, 1891

I piedini nudi della piccola Ariana Silente calpestavano l'erbetta bagnata dalla rugiada mattutina. Il sole faceva capolino tra le colline e i suoi raggi si riflettevano sui capelli biondo platino della bambina, che venivano scompigliati dalla brezza estiva. Lunghi, lisci e corposi, tra i suoi ciuffi spuntavano due occhi azzurri e vivaci, avidi di conoscenza, grazie alla curiosità che la contraddistingueva. Nonostante fosse ancora troppo giovane, grazie agli insegnamenti di suo fratello maggiore, Albus, aveva imparato già da qualche anno a leggere e a scrivere il proprio nome, oltre ad altre parole più o meno semplici. Ben presto era diventata un'avida lettrice.

Come ogni mattina, si era alzata presto, svegliando i fratelli, che brontolando avevano tirato su le coperte fino alla fronte per poter continuare a dormire. In fondo era estate, quindi avevano tutto il diritto di sonnecchiare fino a tardi. Ma per Ariana stare a letto era quasi impossibile visto che l'energia che l'animava la rendeva irrequieta e iperattiva, sempre bisognosa di muoversi, toccare oggetti ed esplorare. Cadeva addormentata solo quando le forze, che sembravano inesauribili, cessavano, trasportandola in sogni colorati, anch'essi pieni di mondi da esplorare.

Quindi, mentre la madre preparava la colazione in cucina e un buon odore riempiva l'aria, e il padre era già uscito, lei se ne stava in giardino a guardarsi intorno, attenta a ogni dettaglio. Raccoglieva i fiori per poi studiarli e infine raggrupparli in un bicchiere con dentro l'acqua, in camera sua, sul comodino accanto al letto, oppure osserva gli insetti, come le laboriose api, che ronzavano in giro, raccogliendo il nettare. Ma soprattutto amava studiare le formiche, che camminavano in fila, avanti e indietro dal formicaio, trasportando oggetti apparentemente troppo pesanti per loro. Ciò che apprezzava era l'ordine e l'organizzazione con cui conducevano la loro vita. Poteva stare lì a guardarle anche per ore.

Quel giorno però lei si era alzata presto mossa da un'energia del tutto nuova, che l'aveva attraversata durante la notte, mentre cercava di prendere sonno. Aveva sentito un formicolio alle dita che si era sparso in breve tempo lungo tutti gli arti, rendendola più impaziente del solito. Aveva un'ipotesi su quale fosse la causa ma voleva verificare di persona, prima di giungere a conclusioni.

Appena si fu allontana abbastanza dalla casa, protetta da sguardi che potessero metterla sotto pressione, si sedette sull'erba, all'ombra del grande albero che delimitava il confine del loro giardino. L'energia che l'aveva colta durante la notte non cessava a diminuire e sentiva di doverla sprigionare in qualche modo, per sentirsi soddisfatta. Quindi prese un fiore e lo tenne stretto tra le dita della mano sinistra, mentre con lo sguardo deciso osservava ogni dettaglio. La forza che le faceva formicolare la punta delle dita divenne pian piano più intensa, fino a trasferirsi al fusto del fiore, percorrendolo e arrivando ai petali. Nel giro di qualche istante esplose in piccoli pezzi indefiniti, con un rumore sordo, lasciando la bambina per un attimo impaurita.

Lo sgomento durò poco tempo, lasciando spazio all'eccitazione. Aveva compiuto la sua prima magia finalmente e la cosa la rendeva euforica. Troppo invasa dalle emozioni che la dominavano, si alzò in piedi e cominciò a correre verso i campi incolti che circondavano la sua dimora. L'energia era incontrollabile e la felicità condiva il tutto. Non riusciva a smettere di saltellare in giro e fare scatti in varie direzioni, mentre i fiori intorno a lei esplodevano, formando una nuvola colorata.

Ignorando i continui ammonimenti dei genitori di non allontanarsi troppo da casa, continuò a correre e a praticare magia finché non ebbe più fiato.

Esausta, crollò a terra, in un punto il cui l'erba cominciava a essere più alta di lei, e chiuse gli occhi, mentre il petto andava su e giù velocemente, a ritmo regolare, rallentando man mano. Era certa che si sarebbe addormentata se non fosse stato per il rumore di passi, misto a sussurri, che man mano si avvicinavano a lei.

Ungheria

Dicembre, 1891

Una tempesta di neve e vento ululava fuori dalla finestra e nonostante fosse quasi mezzogiorno sembrava notte fonda. La piccola casa, in balia delle intemperie, era illuminata solo da alcune piccole candele poste in alcuni angoli, mentre i continui spifferi facevano danzare leggiadre le delicate fiammelle. Per il resto vi era un'immobilità assoluta, anche se le luci tremolanti donavano un'atmosfera quasi surreale.

Un bambino di appena otto anni, con folti capelli biondi e occhi scuri che si perdevano nel buio, se ne stava seduto sul freddo pavimento in un angolo, apatico e silenzioso.

Concentrandosi, poteva sentire dei versi e degli scricchiolii provenire dalla stanza accanto, che aveva la porta socchiusa. Non c'era nulla che potesse distrarlo e di certo non poteva mettersi a dormire sul pavimento, anche se a volte era stato costretto a farlo. Il suo letto era in quella stanza ma in quel momento gli era assolutamente vietato entrare.

Non poteva fare altro che aspettare, ascoltando la tempesta che si scatenava con tutta la sua furia. In compenso lui si sentiva del tutto svuotato e anche la stanchezza per aver passato la notte quasi in bianco si era attutita, lasciandogli solo un buco nero nel petto. Cominciava però ad avere fame e questo lo teneva ancorato alla realtà, cosa che lui non desiderava affatto, perché i rumori provenienti dalla stanza lo rendevano nervoso.

Il tentativo di fantasticare era risultato vano ormai da tempo e non c'era niente che potesse fare, essendo bloccato in casa. Non gli restava altro che aspettare ma ciò gli faceva aumentare la rabbia che cresceva da ore nei confronti dell'uomo che era con sua madre.

Lo odiava a morte, così come aveva odiato ogni uomo prima di lui. Andavano e venivano, senza alcun criterio e restavano anche per dei giorni, sottraendogli l'unica persona con la quale riusciva a stare bene.

Adorava sua madre ma la considerava una persona debole e terribilmente corrosa dalla solitudine, tanto da cercare una sorta di calore tra le braccia di sporchi e rozzi uomini, che puntualmente le spezzavano il cuore.

Pur essendo troppo giovane, aveva imparato a sue spese cosa significasse stare in quella camera con degli sconosciuti. Da qualche anno alcuni avevano cominciato a notarlo e a richiedere anche le sue attenzioni. La madre non aveva mai preso le sue difese ma piuttosto si rintanava in un angolo, passivamente e in silenzio, fino a quando i suoi ospiti non avessero esaurito l'interesse in lui.

L'uomo di quel giorno era l'ennesimo rifiuto senza poteri magici, a cui sua madre aveva rivelato il loro segreto, incantata dall'atteggiamento falsamente dolce e accondiscendente che ogni volta la ingannava, per poi essere per puntualmente ricattata.

Ormai quell'uomo veniva a casa loro regolarmente da diverso tempo e ci restava anche per dei giorni. Raramente si accorgeva della presenza del bambino ma quando ciò accadeva lui doveva sottostare ai suoi giochetti e angherie. Il ricatto sarebbe stato rivelare al villaggio vicino che loro erano dei maghi, cosa che li avrebbe costretti a fuggire di nuovo, chissà dove, per poi ripetere gli stessi sbagli all'infinito.

All'improvviso i versi cessarono, ci furono alcuni secondi di silenzio e poi una serie di forti scricchiolii, seguiti da dei suoni di passi strascicati e infine dal cigolio della porta che si apriva.

«Gellert, hai fame? Mangiamo qualcosa tutti insieme.» disse la madre con lo sguardo puntato nell'angolo dove lui stava seduto. Lui la osservò e annui, notando i lunghi capelli biondi scompigliati e la veste da notte stropicciata.

La donna si diresse verso il lavello, camminando a piedi nudi sul freddo pavimento. Il bambino continuò a osservarla senza vederla veramente; ciò che gli interessava era mettere qualcosa sotto i denti. Nel frattempo, l'intruso aveva cominciato a russare sul letto di sua madre, completamente nudo, con il membro ancora eretto ben visibile alla luce delle candele.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 13 ⏰

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