Prologo

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Avrei potuto prevedere ogni cosa sin dal principio, non lo nego. Sarebbe stato anche divertente, un esercizio di stile contro la mancanza di varietà che attanaglia un'esistenza infinita come la mia. Ogni evento di questa storia avrebbe potuto essere intuito da subito e io avrei potuto scegliere di servirmene, di giostrarlo a mio piacimento: non sarebbe stata la prima volta, giocare con le vite dei terrestri è sempre stato uno svago dilettevole.

Invece non è successo. Se sia stata una mia mancanza di attenzione, o un incedere fin troppo ingenuo nelle spire della prevedibilità che mi corrode da qualche secolo, non saprei dirlo.

Mi sono lasciato stupire, mentre tendevo orecchie e occhi altrove, forse in una pigra volontà di non lasciarmi ancora tediare da realtà fin troppo note. Un paio di umani, nulla di più: anime che si uniranno presto a un coro di dannati qualunque, ricordi che svaniranno nel lasso di tempo di uno starnuto epocale.

Ma era dai tempi in cui convinsi Berith a mostrarsi a quella suora nell'Aix-en-Provence, ormai quattro secoli fa, che non mi ritrovavo così allietato e desideroso di lasciare un segno. Questo scritto rimarrà con Stefano e con i suoi discendenti. Verrà perso, dimenticato, spostato e ritrovato, tra le pieghe e le rocce della fallibile e misera memoria umana.

Io sarò ancora lì, a vegliare e a trarne piacere, come faccio oggi nel ricordare gli eventi che mi hanno condotto alla presenza del mio umano prediletto.

Non partirò dalla mia esperienza con Miriam, non serve che io vi narri di quella che per me è stata una parentesi gradevole e per il suo fragile cuore una tempesta emozionale non replicabile. Inizierò dal giorno in cui capii che il nostro incontro avrebbe portato più guai di quanti potessi immaginarne all'epoca.

Mi trovavo sul terrazzo del mio palazzo a Dite, in quella che voi umani chiamereste sera. Una sera bella come tutte quelle che vedo da millenni, spezzata dal soffio intenso del vento caldo che attornia la mia cerchia reale. La cortina di folate nere si stava placando appena, quel che sarebbe bastato a me e ai miei sudditi per risalire la montagna e imboccare la strada verso il varco. La terza gerarchia era già uscita da ore e avrebbero dovuto rincasare a breve, cedendo il posto alla mia corte. Io avevo scelto di partecipare all'uscita prevista: avevo voglia di rivedere la Terra, per quanto fosse solo un barlume di varietà che spezzava una quotidianità tremenda e omogenea. Me ne ero rimasto nei miei alloggi per tre settimane di fila, crogiolandomi nella noia e nelle attività da cortigiano.

Forse avrei dovuto immaginare quanto Miriam si fosse risentita per quella mia mancanza. L'insicurezza che aveva da sempre circondato la sua anima era un involucro fin troppo spesso e avvolgente, perché io ne fossi ignaro, ma ve l'ho detto: ero distratto e oltremodo annoiato.

Non avevo preso alcuna decisione preventiva e non sapevo se avrei scelto di unirmi a lei, quella sera. Probabilmente sì, sarebbe stata una nota di vivace freschezza contro la carne demoniaca a cui mi accompagnavo da giorni interi, ma non pensavo a lei. La sua immagine, mi duole ammetterlo, non mi aveva attraversato neanche per un istante. Fu mentre risalivo gli scaloni di pietra che conducevano al girone superiore, che il baccano iniziò a infastidirmi. Poteva ancora essere normale, i seguaci di Olivier sono sempre stati tremendamente chiassosi, fin troppo per il mio udito delicato. In quel momento pensai soltanto a come il sovraffollamento degli ultimi tre secoli avesse ormai trasformato quei piani in latrine bercianti e ineleganti. La mia corte si distingueva ancora dalle altre per la musica soave dell'amore e delle grida di piacere, ma non ero lontano dall'essere presto travolto anch'io.

Continuando, tuttavia, dello stuolo di perdigiorno ed esagitati del principe della crudeltà non vidi traccia. Mi imbattei, anzi, in una folla via via più gremita di demoni alquanto arrabbiati e desiderosi di proseguire. Capii ben presto come tutte le altre corti della seconda gerarchia, al pari mio e dei miei adepti, stessero bloccando l'uscita verso la Terra. Riuscivo a malapena a vedere, oltre la moltitudine di teste, in parte trasfigurate, in parte ancora in forma di spirito di fiamme, il portone che ci separava dalla consueta destinazione del venerdì sera umano.

Cosa ancora più sospetta, il portone sembrava chiuso. Potevo vederne il metallo nero torreggiare sopra di noi, senza ombra di dubbio. Chiuso, mentre le grida di dissenso lo accerchiavano.

Fu solo allora che pensai a Miriam. Perché la mia memoria è sempre stata perfetta, per quanto dedita a ignorare ogni particella superflua, e lo sforzo di un secondo bastò a ricordarmi che sì, ero certo che quella sera il libro sarebbe toccato a lei.

Me lo aveva raccontato durante il nostro ultimo incontro: Renato si sarebbe diretto in villeggiatura, a Londra, e lei sarebbe stata lasciata sola con il bar, il registro, il varco e il compito di aprirlo e chiuderlo in momenti precisi, secondo i dettami del patto. Ricordai anche una certa nota di emozione, nella voce tremula con cui mi aveva confidato che era ansiosa di poter dimostrare al padre la propria serietà e affidabilità nel compito. Prima che ricominciassimo a darci dentro. O era stato dopo? Non aveva importanza, in ogni caso.
Tra qualche gemito e qualche sospiro, rammentai delle dichiarazioni d'amore che mi aveva rivolto. Nulla più che debolezze umane, a cui non avevo dato alcun peso. Fino a quel momento, quando la consapevolezza del carattere irruento ed emotivo di Miriam mi colpì come un fulmine caduto nello Stige.

Mi voltai verso uno degli esseri dall'aspetto marcescente, probabile seguace di Luvart, che mi ritrovavo poco davanti, e gli chiesi da quanto tempo aspettassero la riapertura del varco.

«La mezzanotte è passata da un pezzo, i miei fratelli della terza gerarchia sarebbero dovuti rincasare ore fa! Non possono tornare, e sai cosa significa, bel damerino?» mi rispose, esalando putridi sputi di saliva nera e viscosa.

«Conosco le regole, reietto. Bada al tono che usi, o ti assicuro che neanche la frusta del tuo principe basterà a salvarti».

Sapevo fin troppo bene cosa avrebbe significato: desolazione e morte sulla terra, per un tempo ben più lungo di quello concesso ai figli della terza gerarchia. Uscita mancata per noi, ma soprattutto per i principi dei piani più bassi. Lamentele, dissidi, guai in vista e terribili, inefficienti burocrazie. Il patto doveva ormai essersi strappato. Di Renato che ne sarebbe stato, a quel punto? Come minimo gli sarebbe toccato un passaggio diretto nelle nostre cavità. Mi stava simpatico, in fondo, mi sarebbe spiaciuto vederlo rispondere a un errore non suo. Quanto a Miriam, speravo solo che si riprendesse in fretta, che riaprisse il registro dopo essersi resa conto di aver commesso un tremendo sbaglio... Poteva salvarsi ed ereditare il compito una volta per tutte, se Renato se ne fosse preso la colpa. Forse potevano persino scamparla ancora, entrambi.

Ma il tempo passava, e, lo riconosco, non potei trattenermi dallo sbuffare nel pensare a come quella questione sarebbe arrivata presto dall'altro lato, ai benedetti piani alti. L'incontro annuale con le schiere di angeli era previsto di lì a qualche settimana, solo Belzebù sapeva quanto trovassi monotone quelle riunioni. E quanto si sarebbero lamentati dell'accaduto, senza pietà, Basilio per primo. Tastai la tasca sinistra dei pantaloni umani che avevo scelto per quella sera e che ormai si sarebbero rivelati inutili, sovrappensiero. Trasalii nel sentirla vuota.

Tastai anche l'altra, in un gesto inconsueto per un essere infallibile come me, perché avevo già capito. L'amuleto non c'era. Il lasciapassare con cui mi sarei dovuto presentare all'incontro in qualità di principe infernale era sparito, e con esso la protezione da quel vecchio allocco di Basilio.

Miriam me lo aveva sottratto, sì. Risentita nei miei confronti, aveva agito da sciocca, meravigliosa umana in preda alla gelosia, e mi aveva appena regalato una ventata di inaspettate e piacevoli conseguenze nefaste.

Vorreste sapere come un demone come me abbia potuto farsi raggirare a tal modo, ma non avrete risposta in questo frangente. Credere alla mia innocenza e al fatto che non mi fossi accorto di come lei, in un incontro d'amore, se ne fosse appropriata, sarebbe un atto di fede da parte vostra.

Tutto quello che ne conseguì è stata un'avventura che mi ha aiutato a spezzare l'inerzia, ve l'ho detto. E di cui io le sono infinitamente grato.

Per sempre vostro,

Rosier.

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