5. Gabriel

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Mentre sistemavo alcuni documenti nella mia valigetta, colsi con la coda dell'occhio il movimento della porta che si apriva lentamente. Sollevai lo sguardo e vidi entrare Cassie , la mia segretaria. Era una giovane donna dai lunghi capelli castani che ricadevano delicatamente sulle spalle, incorniciando il viso luminoso e dolce. I suoi occhi marroni brillavano di una luce tranquilla, quasi rassicurante. Il suo corpo, sinuoso e formoso, attirava inevitabilmente l'attenzione: le curve erano perfettamente proporzionate, esprimendo una bellezza naturale che difficilmente passava inosservata. Sotto ogni aspetto, era impeccabile.

Eppure, nonostante la sua bellezza evidente, i miei pensieri si volsero inevitabilmente a Sofia. La sua immagine si insinuò nella mia mente, facendomi rivivere quel dolore sordo e implacabile che avevo causato. L'avevo ferita profondamente, e sapevo che quel peso avrebbe gravato su di me per il resto della mia vita. Ero consapevole di aver perso l'amore della mia vita, e tutto per colpa delle mie innumerevoli cazzate. Non me lo sarei mai perdonato.
Cassie interruppe quel flusso di pensieri, avvicinandosi con passo leggero e un'espressione incerta sul viso. "Mi chiedevo..." esordì con voce esitante, quasi timorosa. "Ti va di uscire questa sera? A bere qualcosa, non so..."

La fissai per un istante, colpito dalla sua timidezza. Il modo in cui abbassava lo sguardo, mordicchiandosi il labbro, la rendeva incredibilmente vulnerabile. "Sì, va bene," risposi, cercando di scuotermi da quei pensieri cupi. "Perché no." sorrise appena, visibilmente sollevata. "Bene, allora ci vediamo lì. Ti mando la posizione." Abbozzai un sorriso di risposta, anche se dentro di me non provavo alcuna gioia. Uscii dal mio ufficio senza dire altro, sperando che quell'uscita avrebbe almeno distratto i miei pensieri tormentati.
Nel corridoio, incrociai Marcus, il mio collega e l'unico vero amico che avessi a New York. Appena mi vide, sollevò il braccio e lo posò sulle mie spalle con fare amichevole. "Hey, amico! Andiamo a pranzo insieme?"
Accennai un sorriso. La sua spontaneità riusciva sempre a tirarmi su di morale. "Sì, andiamo," risposi. "Ho una fame da lupi."
Insieme, uscimmo dall'edificio e ci dirigemmo verso un ristorante lì vicino, sperando che una buona conversazione e un pasto caldo riuscissero, almeno temporaneamente, a distogliermi dai miei pensieri.

Appena arrivammo al ristorante, ci dirigemmo senza esitazione ai nostri soliti posti, in un angolo tranquillo vicino alla vetrata. Ci sedemmo, e Marcus si affrettò a prendere il menu, studiandolo con la solita attenzione. Dopo qualche istante di silenzio, sollevò lo sguardo su di me, con quel suo sorrisetto malizioso che conoscevo fin troppo bene.

"Allora, che mi racconti? Come va con Sofia?" mi domandò, con la voce tranquilla ma carica di curiosità, mentre continuava a scorrere le pagine del menu.

Sospirai, abbassando lo sguardo sulla posata d'argento che avevo davanti. La presi tra le dita e iniziai a farla ruotare distrattamente, come se in quel gesto ripetitivo potessi trovare qualche risposta ai miei tormenti. "Mi ha chiesto di restare a vivere da me," confessai, cercando di mantenere un tono neutro. "Aveva bisogno di aiuto."

Marcus alzò un sopracciglio, palesemente sorpreso. "Cavolo, amico," disse, posando il menu e inclinando leggermente la testa. "Stai nella merda, lo sai? Come pensi di dimenticarla se vive in casa tua?"

Scrollai le spalle, incapace di fornire una risposta convincente. "Non lo so," ammisi, continuando a giocherellare con la posata. "Ma non potevo lasciarla sola. Avrebbe perso tutto. Non merita altro dolore."
Marcus mi guardò con un'espressione pensierosa, poi si lasciò andare a una breve risata. "Io, se fossi Sofia, ti avrei già perdonato dopo un gesto del genere. Si vede quanto la ami."
Il mio cuore si strinse. Anche se era vero che la amavo ancora, quel sentimento non era sufficiente. "Sì, ma non è abbastanza," dissi piano, abbassando lo sguardo sul tavolo. "Non basta per riconquistare la sua fiducia... o il suo amore. Ormai l'ho persa. Devo andare avanti."
Prima che Marcus potesse replicare, la cameriera si avvicinò al tavolo con un sorriso professionale e ci interruppe. "Cosa volete ordinare?"
Non sapevo come ringraziarla per aver interrotto quella conversazione che stava diventando troppo pesante. Marcus, invece, colse subito l'occasione per alleggerire l'atmosfera. "Per me il solito," rispose con sicurezza, poi indicò me. "E per il mio amico qui una carbonara. Di secondo, una fetta di carne con un po' di insalata. Da bere, un buon vino rosso." Sorrisi appena, grato per il suo intervento spensierato. La cameriera annotò tutto e si allontanò. Marcus si girò verso di me con un'aria complice, cercando di farmi dimenticare, anche solo per un attimo, quel peso che mi schiacciava il petto.
Dopo aver trascorso un po' di tempo piacevole con Marcus, lo salutai con una pacca sulla spalla e mi avviai verso casa. Il sole era ormai tramontato e le strade si erano immerse nella quiete serale. Quando arrivai, l'orologio segnava le nove di sera e sapevo che era ora di prepararmi per l'uscita con Cassie. Stranamente, Sofia non era in casa; forse anche lei aveva dei programmi per la serata.
Entrai in camera, cercando di non pensare troppo a dove potesse essere, e mi diressi verso l'armadio. Optai per qualcosa di semplice: una maglia bianca, accompagnata da una camicia nera aperta. Mi guardai allo specchio, osservando i miei lineamenti stanchi, e decisi di sistemarmi i capelli con cura. Con un paio di colpi veloci, regolarizzai anche quella leggera barba che iniziava a crescere disordinatamente. Aprii il cassetto del comò, afferrai una boccetta di profumo qualunque e me lo spruzzai distrattamente sul collo.
Presi le chiavi e uscii di casa, decidendo di andare a prendere Cassie direttamente. Non mi piaceva l'idea che dovesse tornare a casa da sola, soprattutto di notte.
Quando arrivai sotto casa sua, vidi la porta aprirsi e Cassie uscire. Indossava un vestito nero attillato che metteva in risalto le sue curve, fasciandola alla perfezione. Era davvero bellissima, lo riconoscevo, ma per quanto potesse essere attraente, il mio pensiero andava inevitabilmente a Sofia. Lei, nella mia mente, rimaneva inarrivabile. Perfetta.
Cassie mi vide e sorrise, sorpresa. "Come mai sei qui?" mi chiese, entrando in auto con un gesto leggero e fluido.
"Non volevo che dovessi tornare a casa da sola, soprattutto di notte." risposi con naturalezza, accennando un sorriso. Sapevo quanto potesse essere pericoloso per una donna girare da sola di notte, e lei meritava di essere protetta.
"Oh, grazie... sei davvero gentile," disse, restituendomi un sorriso luminoso. La sua voce tradiva una nota di gratitudine sincera che mi fece sentire per un attimo migliore di quanto fossi.

Arrivammo al locale e subito fui colpito dal fragore della musica che rimbombava nelle pareti, facendo vibrare l'intero ambiente. Le luci soffuse creavano un'atmosfera quasi surreale, e la pista da ballo era affollata di persone che si muovevano a ritmo, immerse nell'energia della serata.

"Dai, andiamo a ballare," esclamò Cassie con entusiasmo, afferrandomi per il polso e trascinandomi verso il centro della pista.
Scossi la testa, cercando di resistere. "No, non fa per me. Sono un tronco quando si tratta di ballare."

Lei si voltò verso di me con un sorriso malizioso e disse: "Tranquillo, ti sciolgo io." Senza darmi il tempo di replicare, si girò di spalle, avvicinando il suo corpo al mio e appoggiandosi contro di me. Il suo bacino cominciò a ondeggiare in maniera provocante, sfiorando il cavallo dei miei pantaloni. Presi un respiro profondo e, quasi senza rendermene conto, posai le mani sui suoi fianchi, seguendo i movimenti del suo corpo.

"Cosa stai facendo?" le sussurrai all'orecchio, cercando di mantenere un tono di voce fermo, anche se il contatto fisico mi stava destabilizzando.

"Sto ballando," rispose con un tono di voce basso e sensuale, voltando leggermente il viso verso di me. Senza preavviso, si girò completamente e, in un attimo, le sue labbra si avvicinarono alle mie. Sentii la sua lingua che penetrava delicatamente nella mia bocca, mescolando i nostri respiri. Il calore del suo corpo mi travolse, e le mie mani iniziarono a esplorare le sue curve con maggiore audacia. Le accarezzai i fianchi, scendendo fino a stringerle il sedere tra le mani. Lei sussultò, il suo corpo reagì al mio tocco, e per un attimo mi lasciai trascinare dalla tensione del momento.

Aprii lentamente gli occhi, ancora immerso in quel momento, ma qualcosa attirò la mia attenzione. Tra le luci intermittenti e la folla di persone che ballavano , la vidi. Sofia. Immobile, come se il mondo attorno a lei si fosse fermato. I suoi occhi erano fissi su di noi, e, anche da quella distanza, potevo vedere chiaramente le lacrime che le rigavano il viso. Il suo sguardo ferito mi trafisse come un colpo al petto. Ogni traccia di gioia o speranza sembrava essersi dissolta nei suoi occhi, sostituita dal dolore più profondo.
Il cuore mi si fermò per un istante. Cazzo! Avevo rovinato tutto, ancora una volta. Quello che credevo fosse un momento di distrazione, di fuga dai miei pensieri, si era trasformato in una nuova ferita, inflitta alla persona che amavo più di ogni altra cosa al mondo.

Sofia mi guardava con quell'espressione che non dimenticherò mai, e io sapevo che non ci sarebbero state scuse abbastanza grandi da rimediare a quello che aveva appena visto. Ero di nuovo caduto negli stessi errori, senza nemmeno rendermene conto, e ora mi trovavo di fronte all'inevitabile conseguenza delle mie azioni. Tutto il resto intorno a me svanì, compresa Cassie, compresi i suoni del locale. C'era solo Sofia e quel dolore insopportabile che le avevo inflitto.

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