EL ALMA NO VIBRA CON CUALQUIERA

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Erano seduti ancora una volta nella stanza di pediatria; orsi di peluche, trenini e mattoncini colorati erano appoggiati in ogni angolo della stanza. Sul muro erano appesi disegni colorati, a far da cornice a una grande bacheca con tutte le foto dei bambini che giorno dopo giorno erano passati da quel reparto. Era diventato il loro appuntamento ormai e come un tacito accordo si ritrovavano qui, insieme, ogniqualvolta Patricia doveva fare una nuova seduta di chemioterapia. Non doveva chiederglielo, lui si sarebbe presentato ogni volta con in mano un gelato al mango e il cubo di Rubik.

Oggi non avrebbe fatto eccezione.

Non glielo avrebbe mai detto, ma le bastava incrociare il suo sguardo e le paure di quello che le riservava il futuro si dileguavano all'istante, come le ombre della notte quando apri le finestre di una stanza e lasci entrare la luce; e questo Néstor lo sapeva bene, anche se fingeva di non leggere il celato sollievo che nascondevano ogni volta i suoi occhi.

Ed era così bello varcare la soglia e trovarlo lì ad aspettarla.

Nessun dei due avrebbe mai avuto il coraggio di dirlo ad alta voce, e sebbene le circostanze non erano delle migliori, erano felici di poter condividere quel tempo insieme, mettendo da parte, anche se solo per poco, le loro diversità.

Erano come il sole e la luna, così distanti eppure pur sempre così vicini.

In questa stanza il tempo si fermava e potevano fingere di essere solo un uomo e una donna qualunque che si stavano conoscendo e forse affezionando un po' più del dovuto. Patricia non era più la Presidente della Generalitat Valenciana e Néstor non era più il suo oncologo.

Qui potevano fingere di essere solo Néstor e Patricia.

Solo il sole e la luna.

Con oggi avrebbe finito il terzo ciclo di chemio. Erano già passati tre mesi dall'inizio del nuovo trattamento ed entrambi sapevano perfettamente cosa questo significasse; l'avvicinarsi dell'ennesimo intervento pesava come un'ascia sulle loro teste.

Patricia sedeva con le gambe incrociate e lo sguardo fisso sul cubo che continuava a girare e rigirare svogliatamente tra le mani.

Néstor dalla sua posizione osservava attentamente ogni sua mossa. C'era qualcosa di diverso in lei, era distratta, le mani si muovevano più lente del solito, mischiando tutti i colori tra loro. Non stava cercando di risolvere il cubo, piuttosto giocava a mescolare nuovamente tutte le sue facce.

Qualcosa le balenava nella testa, poteva dirlo dallo sguardo assente e il leggero tremolio della gamba destra. Ma cosa?

La donna si accorse del suo sguardo indagatore e dopo qualche minuto smise di girare le facce del cubo e con uno sbuffo annoiato lo abbassò, abbandonandolo sulle cosce.

Piegò leggermente la testa di lato fissando lo sguardo sulla finestra alle loro spalle. Una pioggia leggera toccava i vetri, scivolando lentamente in innumerevoli rivoli scomposti.

«Lo sapevi che solamente un Cubo di Rubik 3x3, ha più di quarantatré trilioni di combinazioni?» Distoglie lo sguardo dalla pioggia e torna ad osservare il cubo sulle cosce «Ecco, a volte mi sento così. Un Cubo di Rubik» un accenno di sorriso le tira le labbra chiuse «Un po' meno colorato ed ingegnoso, ma con trilioni di pensieri che si incastrano, si combinano, e quando credo di aver sistemato almeno un trio, scopro di averne scombinati altri tre.» Sposta la mano sul piccolo cubo girandolo su sé stesso. «E dicono che il tre sia il numero perfetto, quindi troverò forse la mia perfezione celata nell'imperfezione perfetta del mio caos?»

Néstor alzò lo sguardo, che fino ad ora era rimasto fisso sulle sue mani, verso di lei, sorpreso da quella osservazione improvvisa. Da quando era entrata nella stanza erano la prime parole che si scambiavano.

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