𝐂𝐀𝐏𝐈𝐓𝐎𝐋𝐎 𝟏𝟓

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BENEDICT

Non ero estraneo al dolore, ma quello a cui avevo appena assistito mi lasciava con un senso di disagio che non riuscivo a scrollarmi di dosso. Non conoscevo la nipote di Henrik abbastanza da sentirmi coinvolto, ma vedere una persona ridotta così... non era uno spettacolo che mi capitava spesso. Il suo corpo, ora rannicchiato su se stesso, tremava senza sosta. Le avevo portato delle coperte sotto ordine di Henrik, ma non avevano risolto niente; non importava se usavamo piumoni o impacchi caldi, continuava a tremare, sudava freddo e la sua temperatura corporea aumentava, esattamente come il suo battito cardiaco.

«Ce la fai a rimanere con lei fino all'arrivo di Dakath?» mi chiese Henrik con un respiro profondo. Spostai lo sguardo su di lui. Lo conoscevo da molto tempo, e raramente lo avevo visto così teso.

Non dormivo da parecchie ore e cominciavo a sentirne il peso, ma un ordine era un ordine, e non potevo rifiutare. Chinai il capo. «Sì, nessun problema.»

«Bene,» annuì. «Ho bisogno di occuparmi di alcune questioni... se succede qualcosa, avvisa Ceramaro, io cercherò di tornare il prima possibile» battè il bastone a terra nel voltarsi verso la porta «Appena Dakath arriva, puoi cedere il posto a tuo fratello.»

«Aspetta» dissi, la voce più dura di quanto volessi.

Henrik, sulla soglia, mi guardò. «Cosa?» chiese, con quel tono che usava quando non aveva tempo da perdere.

Serrai la mascella. Avrei dovuto dirgli che Leòpold era stato sul punto di stuprarla? Una parte di me voleva farlo, solo per mettere quell'idiota nei casini, ma l'altra... un'accusa così grave equivaleva a conseguenze altrettanto pesanti. Il più delle volte avevo l'impulso di voler strozzare mio fratello, ma non lo volevo morto. Alla fine, dopo un istante di esitazione, abbassai lo sguardo. «No, nulla. Perdonami».

Aspettai che uscisse dalla stanza, che chiudesse la porta e percorresse l'intero corridoio fino alle scale in legno, prima di accasciarmi a terra. Mi massaggiai la faccia, esasperato. Che casino... Guardai l'umana distesa sul letto, il volto pallido e madido di sudore. Sembrava così fragile, così diversa dall'immagine di sé che aveva dato fino a quel momento.

Tamburellai nervosamente con il piede sul parquet. Il solo pensiero che Leòpold l'avesse toccata mi faceva ribollire il sangue nelle vene. Avrei voluto torcergli il collo, punirlo per essere stato così sconsiderato, ma uno scontro tra lupi, al momento, era l'ultimo dei problemi. Sarebbe stato stupido e del tutto inutile. Così, rimasì li, in attesa che Dakath arrivasse. Ogni tanto gettavo un'occhiata verso Skye, pronto ad agire nel caso avesse avuto un altro episodio di malessere. Per fortuna, non accadde nulla di grave, ma il tempo passava e cominciavo a spazientirmi.

Dopo due ore d'attesa, ancora nessuna traccia di Dakath. Ero sul punto di uscire a cercare quel maledetto elfo per conto mio, chiedendomi cosa lo stesse trattenendo. Forse si era incastrato tra i rami di un albero o ne aveva preso uno in pieno mentre correva qui, perché non riuscivo a spiegarmi un ritardo simile. Proprio mentre stavo per uscire, sentii bussare alla porta. Aprii e mi trovai davanti il suo fastidioso volto, con la pelle chiara e gli occhi acuti. «Dov'è la paziente?» chiese senza perdere un attimo. Non gli risposi; mi limitai a voltarmi, lasciandogli vedere la ragazza distesa sul letto.

Richiusi la porta mentre entrava, lasciando che la sua figura alta mi desse le spalle. Odiavo gli elfi. I loro passi erano così leggeri da risultare silenziosi, il loro odore tenue e sfuggente. Erano impossibili da individuare e ancor più difficili da fermare. E poi, erano tutti una grandissima massa di stronzi.

Osservai Dakath avvicinarsi a Skye, il suo sguardo attento e analitico mentre si chinava sul materasso. Con un gesto veloce, sollevò le coperte che la avvolgevano. «Queste non servono», disse buttandole a terra. «Non sono tremori che possono passare con il calore, e se anche così fosse, queste non sarebbero necessarie. Siamo in estate, la temperatura esterna è già alta di suo, non serve mandarla in ipertermia». Continuò a esaminarla con attenzione, posando le mani su vari punti del suo corpo. «Ha la febbre molto alta» mormorò più a se stesso che a me.

Storm-Bound VeinsWhere stories live. Discover now