Capitolo Trentaduesimo

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Peter era rinchiuso in una stanza, era insicuro fosse di un Hotel oppure di una villa. Quella sera tardi, lui aveva gli occhi stanchi che lo supplicavano di chiuderli, e il cuore che non si fermava di battere all'impazzata. Era costantemente in allerta.

Sente dei passi leggeri farsi spazio nella stanza. Non erano quei uomini di prima, Peter riconosceva la differenza nel passo. I suoi sensi da ragno avevano raggiunto un livello fin troppo alto per i suoi gusti. A chi avevano mandato nella stanza dove si trovava?

La persona che era appena entrato aveva acceso la luce accecando Peter. "Merda." Bisbigliò il ragazzo strizzando gli occhi che si erano abbituati al buio.
Quando riapre gli occhi, fù perché sentii quel passo felpato avvicinarsi. Era un ragazzino più giovane di lui. Era un bambino. Aveva dei capelli neri un po' arruffati, e due occhi giganti color nocciola, a Peter ricordava quasi qualcuno, ma non lasciò correre quando il bambino aprii bocca.

"Non sei al sicuro." Disse semplicemente, come se gli stesse chiedendo come stasse. "Senti, io non so perché sono qua. Magari tu me lo potresti dire." Sforzò un sorriso verso il bambino. Lui lo guardò, il viso neutro. Nessun sorriso, nessuna emozione visibile. Era un muro bianco, senza imperfezioni, senza alcuna sfumatura. "Non posso." Disse il bambino facendo spallucce. "Vuoi giocare con me?" Chiese poi. Peter voleva buttarsi giù da una finestra, ma l'unica finestra che c'era nella stanza dalla sua misura era malapena visibile.

"Come vorresti giocare, bambino?" Chiesi sforzando un sorriso. Se avrei portato il bambino dalla mia parte, magari lui mi avrebbe svelato qualcosa.
"Che ne dici se io ti mostro i miei poteri, e tu i tuoi. Perché sei Spider-man, giusto?" Ha chiesto il bambino. Peter restò a bocca aperta. Un bambino di sei anni conosceva la sua identità, e non solo, aveva anche dei poteri che desiderava mostragli.
"Mi dai la tua mano?" Chiese il piccolo. Peter con la testa indicò le sue mani legate dietro la schiena. "Un po' difficile." Disse.

Il bambino allora per la prima volta sorrise. Non sapeva bene come interpretare quel sorriso. Comunque posò la sua mano sulla spalla di Peter. Poi chiuse gli occhi e si concentrò, qualche secondo dopo la sua spalla iniziò a bruciare come fuoco. Si morse il labbro, e costrinse il bambino a regreggare con le spinte di spalle che aveva dato. "Fa male! Tieni le tue mani per te." Disse Peter cercandò di non usare un tono troppo duro. "Papà dice sempre che devo esercitarmi su questo mio potere, a volte mi porta anche persone su cui usarlo... non sapevo facesse male." Disse il piccolo confuso. "Le cose che fanno male non si usano." Disse poi guardandosi le mani. "Fa nulla, piccolo. Comunque io sono Peter." Si presentò il ragazzo.

Il bambino lo fissò per dei buoni minuti prima di dire "Ambrose." Peter lo guardò confuso. "Mi chiamo Ambrose." Spiegò il seienne. "Che nome particolare." Sorrise Peter. "Papà mi ha chiamato così perché dice che sono immortale." Alzò dinuovo le spalle.

"Ambrose, come mai sei venuto qui?" Gli chiese. "Volevo vedere il famoso Spider-man. Papà parla spesso di te. Dice che sei un ragazzino che non sa fare nulla, ma io ti ammiro molto." Gli occhi nocciola avevano completamente catturato l'attenzione di Peter sta volta. Erano bellissimi, mozzafiato.
Il bimbo lo ammirava come se avesse difronte l'eroe più forte al mondo. "Un giorno anch'io voglio essere come te." Disse con un soffice sorriso. "Sono sicuro che ci riuscirai. Sei più speciale di me."

Il bambino si rabbuio, i suoi occhi smisero di luccicare, e il suo sorriso lasciò spazio a quel viso apatico. "No." Disse secco. Peter non capiva cosa avesse detto tanto di sbagliato. "Papà dice che non sono fatto per salvare le persone, sono fatto per usare i miei poteri quando lo dice lui su chi lo dice lui." Peter si chiese se quello che aveva esercitato su di lui era il suo unico potere.

"Vorrei essere libero a volte, ma sono un ingrato se lo penso. Papà non mi ha fatto mancare nulla." Continuò il bambino, tratteneva le lacrime.
"Ambrose! Ambrose!" Sentii da dietro la porta. Il bambino si girò di scatto. Il mio senso di ragno mi fece venire la pelle d'oca per il pericolo che stava percependo. Ambrose si girò verso la porta, anche lui era impaurito. Sapeva cosa l'aspettava. Quando la porta si aprii il dottore entrò.

Aveva uno sguardo severo. "Ambrose! Che ci fai qui? Ti ho detto che non dovevi entrare!" Lo sgridò. "Lo so. Mi dispiace, papà." Abbassò lo sguardo il bambino ed uscii dalla stanza. Prima di lasciarlo completamente solo nuovamente gli fece ciao con la mano, e poi la porta si chiuse nuovamente, e la luce si spense. Peter era nuovamente solo, e perplesso.
Cosa diamine stava succedendo? E cosa facevano a quel bambino? Chi era davvero quel bambino?

What If... I love Deadpool? (Spideypool)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora