Dedicata a te darcyanthos
Draco,
Sento ancora il rumore della pioggia che picchia forte sulla vetrata di quella dimenticata serra, il fruscio del vento che passa tra le foglie e che scuote i rami producendo una melodia. Un sussurro dicesti tu, le piante stanno sussurrando, mi avevi detto al tempo osservando fuori mentre la tempesta scuoteva la sua orchestra.
Ti vedo ancora lì, a curare quelle piante, quelle radici, quei fiori, in quel posto sconosciuto che non avevo mai notato nella mappa e che ti eri tenuto stretto e lontano da occhi indiscreti. Ti vedo ancora sfogliare enormi tomi di pozioni e ricerche mediche, volevi che tutto quello che avresti usato fosse solo curato da te, non eri uno che si fidava molto dei prodotti fatti da altri. Sento il rumore della pioggia, del vento e le pagine di quei libri che si muovono spostati dalle tue dita magre e bianche. Vedo il tuo viso concentrato, le labbra socchiuse, gli occhi fissi su quelle mille parole a me complesse e le ciglia lunghe e bionde che adombrano le gote. Un tempo ti definivo qualcosa che non aveva una priorità nella mia vita travagliata, distrutta e ormai persa. Quanto si sbagliava quel giovane me abbattuto dalla guerra. Sento ancora il tuo profumo, che si mischia a quello dei fiori e delle radici che venivano seccate. Un odore forte di terra e soluzioni nutritive, che insieme alla vista dei colori delle piante che curavi e la vetrata che si affacciava a un enorme campo, rendevano quel posto più magico di ogni antro nascosto del castello e tu, eri il protagonista di quello scenario romantico.
Era la fine di Ottobre, un giorno a me triste e terribile. Sentivo le grida di mia madre, vedevo i volti delle persone a me care ormai andate. Il freddo gelido mi penetrava le ossa e io non avevo voglia di restare tra la gente mentre mi acclamava come un eroe. Ogni giorno una testata giornalistica ricordava la mia battaglia, la gente mi osservava e mi denudava con quello sguardo curioso. C'era chi allungava il collo per scorgermi tra le tante teste di ragazzi che occupavano la sala grande, chi bisbigliava per comunicare qualcosa al suo vicino. Cercavo di fare finta di niente, in ogni modo cercavo di sgusciare via tra la folla e scappare. Poi vedevo te, isolato dopo anni che ti portavi dietro una folla di serpi. Eri solo e se mai capitava che qualcuno ti rivolgesse la parola, era solo per insultarti e tu lo lasciavi fare, con sguardo vacuo inclinavi appena la testa come nel fingere di voler sentire meglio. Ti eri lasciato insultare e colpire, ti avevano perfino rotto il naso, lo ricordo bene perché era proprio quel giorno di Ottobre che scappai da quella festa di Halloween, dove un gruppo di fan si avvicinarono a me cercando di parlare o non so cosa altro volessero, non le stavo ascoltando.
Scappando, mi ritrovai a vagare fuori dal castello, vagai per poco e quando iniziò a piovere, come per provvidenza, apparve davanti a me una serra senza nome. Intorno per nasconderla da occhi indiscreti c'erano degli alberi a cingerla. Non era una di quelle che Madama Sprout ci aveva fatto vedere, aveva qualcosa di strano e il suo collocamento al di fuori dall'area di erbologia la rendeva ancora più strana e distante dalle sue gemelle. Il vetro era schermato, non si vedeva nulla al suo interno e la porta aveva una decorazione vegetale intorno, delle piante d'edera cadevano come tende nella parte frontale della serra. Ed io sotto la pioggia, rimasi per breve tempo ad ammirarla perché pioveva e volevo entrare per coprirmi e lo feci senza tanti inviti. Varcata la soglia e chiusa la porta alle spalle, mi ritrovai te ad osservarmi con sguardo sorpreso mentre ti tamponavi con il dorso della mano il naso sanguinante. Non ci furono parole, solo un cenno del capo per consentirmi di poter restare in quel luogo sconosciuto.
Mi sedetti in un angolo vuoto, dove c'era una semplice sedia e tu eri rimasto nel tuo, continuando a premere il dorso della mano coperto dalla manica bianca della divisa e una macchia di sangue si allargava sempre di più, colorando quel bianco.
Poggiavi su di me dei brevi sguardi, sembravi scrutarmi in cerca di qualche cenno o parola, ma ero rimasto in silenzio, cercando di non farmi notare che ti osservavo mentre ti eri prodigato a prendere il dittamo dalla tasca per curare l'epistassi, nel mentre ti muovevi dandomi le spalle.
Osservavo ogni tuo movimento, le tue mani magre e bianche che lavoravano quelle piante, sporcandosi di terriccio. Osservavo la tua espressione apatica, gli occhi liquidi e di quel grigio un tempo brillante e da dopo la guerra spento, scuro, come un cielo tempestoso, dove le nuvole con la loro coltre grigia coprono e oscurano il cielo non consentendo ai raggi del sole di penetrare tra quelle nuvole. I tuoi capelli erano leggermente più lunghi, un ciuffo fastidioso che ti scivolava sul viso lo scostavi in continuazione, arricciando infastidito la bocca in una smorfia di stizza. Il tuo corpo era più magro, la camicia era molto larga e su di te si poggiava dando la sensazione di vestire un fantasma.
Appena i tuoi occhi tornarono su di me, lesto spostai lo sguardo altrove, facendolo vagare lungo tutta la serra, rimanendo estasiato dalla miriade di piante, alcune mai viste, che riempivano quel posto.
Piccole luci artificiali di magia, volteggiavano come pulviscoli luminosi, dando quasi più l'impressione di avere un mare di lucciole a muoversi e illuminare quel posto nella fredda e uggiosa notte di quel fine ottobre.
Alcune mensole erano riempite da flaconi di pozioni e elementi primaria per poter preparare qualcosa, e scorrendo lungo quelle mensole colme di bottiglie di vetro e dai colori e contenuti viscosi, liquidi e colorati, intravidi un piccolo calderone che stava bollendo qualcosa. Un fumo vermiglio chiaro si alzava dalla pentola, era in odore. Il rumore della pozione che bolliva, insieme al crepitio del fuoco, davano a quel silenzio tra di noi un accompagnamento rilassante.
Potrei restare qui a descrivere ogni dettaglio, di te che eri restato in silenzio forse conscio del giorno drammatico che era per me o come nei giorni successivi, quando ci siamo avvicinati, tu avevi notato in me un enorme cambiamento, un cambiamento che i miei amici avevano forse ignorato.
Hermione e Ron erano così presi nella loro relazione, stanchi dalla guerra e dai risultati che erano gravati nella loro vita, che si trascinavano insieme in quei lunghi corridoi, sorridendo al prossimo e lasciandosi trasportare da lunghe conversazioni. Sembravano cercare la normalità perduta, come tutti, cercavano solo di non pensare alle tragiche perdite che avevano subito, nonostante siano sempre stati accanto a me negli anni, in quell'anno il distacco era stato reciproco. Loro avevano bisogno di stare soli, io avevo bisogno di stare solo o trovare qualcosa che riuscisse a non farmi pensare, provare dolore e che mi agognava le giornate. Una distrazione che non trovai in Ginny, quell'amore che credevo fosse reale e sincero, sciupato in fretta dopo la nostra prima volta. Era stata sincera, aveva compreso che io non provassi nulla, il mio corpo aveva faticato a reagire, io avevo dovuto cercare di non pensare ad altro se non al corpo magnifico che avevo sotto di me. Ai suoi splendidi occhi castani che mi scrutavano oltre quelle ciglia lunghe e rosse, esitanti di essere ricambiati da uno sguardo che ribolliva dello stesso ardore e amore. La bocca semi aperta in quel gemito appagato, ma insoddisfatto. Non ero stato capace di amarla, non credevo di saperlo fare.
Devo confessarti che ho sempre temuto di non poterlo fare, appena riuscivo a legarmi a qualcuno questi si allontana o lo perdevo, la morte sembrava starmi dietro alle spalle e allungare le sue fredde mani per trascinare via chiunque amassi, capace sempre di togliermi la felicità come un dissennatore che perenne risucchia ogni briciolo di gioia e lucidità dalla mia mente. E non credo di aver mai davvero sbagliato.
Quella sera era stato solo l'inizio del nostro avvicinamento, delle mie mani su di te e della mia bocca che aveva divorato il tuo corpo. E tu ti eri lasciato strappare ogni cosa da me, spolpato fino all'osso perché ero così avido e crudele in quei momenti con te, geloso e pieno di rabbia di non averti mai dato ciò che davvero meritavi. Ero stato capace di ferirti e tu cedevole avevi piegato la testa, come se dovessi pagare un pegno con me, una colpa da doverti pulire la coscienza.Poco dopo il nostro primo incontro divenne consueta abitudine vedersi nella serra, seduti distanti e gli sguardi a scrutarsi stando attenti a non incrociarsi. In quel luogo fatto di silenzio e che profumava di erba e terra, era divenuto il luogo perfetto per studiare e restare ad ascoltare il silenzio insieme.
I raggi del sole trapassavano le vetrate, appoggiandosi sulla tua pelle pallida e su quei capelli dorati. Chiudevi gli occhi ogni volta, come un gatto in cerca di calore, allungavi leggermente il collo esponendo la gola sotto quei raggi d'un sole di Novembre che regalava un po' di calore in quel freddo pungente che faceva tremare le membra assopite e stanche dopo lunghe ore di lezioni.
I tuoi occhi si posarono finalmente sui miei, fu uno sguardo breve ma sufficiente per smorzare quella strana tensione e sensazione che si era creata tra noi ospiti, coinquilini, di quel piccolo posto ma perfetti sconosciuti e inconsapevoli, ignari del perché entrambi ci trovavamo sempre lì, fuggiaschi del mondo esterno che era troppo chiassoso, caotico e triste. Di quel mondo che un tempo ne conoscevamo delle vesti diverse, mutato in poco tempo ed entrambi privati e strappati della nostra normale adolescenza.
Un tempo ti odiavo, odiavo quel sorriso che mi stavi in quel momento rivolgendo, odiavo il tuo naso appuntito, il tuo viso spigoloso, il tuo corpo magro e flessuoso, odiavo la tua voce e il tuo acido e stupito sarcasmo, le battute crudeli e sprezzanti. E odiava quegli occhi che fin da bambino mi avevano fatto sentire giudicato, che penetravano nella mia pelle, anche quando non li vedevo sentivo che mi bruciavano addosso. Ma in quel momento era tutto cambiato, i tuoi occhi avevano fatto aggrovigliare il mio stomaco, fatto sussultare e avvampare. Il tuo sorriso aveva creato in me una sensazione di imbarazzo, abbassando così lo sguardo per evitarlo.
Un fruscio di vestiti, di libri che si chiudevano, mi fecero alzare nuovamente gli occhi su di te, sentivo il rumore dei tuoi passi farsi sempre più vicini, per la prima volta ti eri avvicinato.
Alzai lo sguardo puntandolo sul tuo.
Le tue dita si poggiarono sul dorso del libro che tenevo in mano, le avevi fatte scorrere lungo il dorso andando poi a depositarle sulle pagine.
« Ti serve aiuto con pozioni? » la tua voce era bassa, il tono era più maturo e caldo rispetto agli anni passati. Eppure non era trascorso molto tempo dal processo, dalla tua testimonianza che avevo sentito quando mi avevano chiamato per testimoniare contro o a favore verso di te. Al tribunale del Wizengamot la tua voce era flebile, tremante, la voce di un ragazzino che non doveva trovarsi seduto lì per essere condannato. Le spalle ricurve, il corpo esile e tremante, quelle vesti nere così pesanti da sembrare di schiacciarti e renderti una piccola macchia informe, schiacciata nel mezzo del tribunale sotto gli sguardi giudicanti.
Esitai prima di rispondere, cercando le parole adatte. Non immaginavo che prima o poi quel silenzio potesse venire rotto, che tu ti saresti avvicinato a me offrendo il tuo aiuto.
Era come tornare sul treno, il piccolo Draco che allungava la mano in cerca di amicizia e io lo rifiutai con disprezzo. Era come vederti lì, solo che non avrei fatto come un tempo, non avrei rifiutato la tua mano. Inumidendo le labbra con la punta della lingua e mordendomi il labbro inferiore, ti risposi: « Va bene, anche perché non sono minimamente portato per la materia ».Le sessioni di studio avevano aumentato i nostri incontri, parlavamo solo delle lezioni, nulla di più. Nessuno dei due sembrava voler toccare altri argomenti, quando capitava di citare Piton c'era un forte gelo a immobilizzare entrambi, un lutto condiviso e un senso di pentimento per quello che era successo. Lo vedevo nei tuoi occhi che si poggiavano altrove scostandosi da quelle formule di pozioni, le mani a stringersi a pugni e il labbro inferiore che veniva morso. Restavo a fissarti, senza dire niente, perché rivedevo ogni volta che veniva nominato Piton, la sera terribile in cui dovette uccidere Silente ed io ero stato pietrificato, impossibilitato a poter intervenire.
Le giornate trascorrevano così, la distanza si era totalmente distrutta, tanto che qualche volta sentivo le tue gambe scontrarsi contro le mie, il ginocchio a sfiorare il mio, il calore della tua coscia che si depositava contro la mia ed io rabbrividivo a quei tocchi leggeri e accidentali, creandone altri con le mie mani che sfioravano le tue, il mio ginocchio che si scontrava nuovamente con il tuo.
Era l'inizio di una storia che ci avrebbe trascinato in un vortice da cui siamo usciti a fatica, da una storia che ne sento ancora il peso e mi manca.
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Letter to Draco // Drarry
FanfictionUna breve e brevissima Fanfiction epistolare, di un Harry che dopo anni scrive a Draco raccontando del loro incontro dopo la guerra, di quel sentimento che era nato e a cui non aveva dato un nome. Non era la sua priorità, si diceva, eppure dopo tant...