"Oh Me"

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"Ma guarda che bel visino, da grande sarai davvero una bella ragazza!".

Dicevano loro.

"E guarda com'è bella pacioccosa, è così tenera! Sarà anche una ragazza dolce e premurosa."

Dicevano anche questo, loro.

"Che bambina forte, non oso immaginare il dolore che sta provando nel sapere che sua madre non sarà più accanto a lei. Sarà una ragazza forte."

Pioveva. Eravamo tutti ad un funerale. Il funerale di mia madre, per l'esattezza. E loro parlavano di me, di come sarei stata da grande. Una ragazza bella, dolce e forte. Questo dicevano. E questo io immaginavo. Un' adolescenza perfetta con tante persone intorno, un ragazzo premuroso e una migliore amica con cui parlare di tutto. Forse immaginavo troppo perchè quello che mi facevano credere sarebbe dovuto essere il periodo più bello della mia vita, si è rivelato quello più brutto.

Il mio nome è Loraine e passarono esattamente 16 inverni (dopo la morte di mia madre) prima che arrivasse una svolta nella mia vita.

-

Erano le otto e un quarto quando guardai la sveglia con la vista ancora offuscata per il sonno. "A quest'ora avranno già iniziato la lezione di biologia" pensai. Era ormai diventata un'abitudine svegliarmi tardi ed entrare alla seconda ora, o non entrare proprio. Andare a scuola mi dava un forte senso di nausea e stare in mezzo a quelle persone mi faceva sentire male; quando ero lì il mio unico pensiero era uscire fuori. Andarmene in un posto tranquillo a leggere o a disegnare, fumando due o tre sigarette e liberandomi di tutto lo stress e la tristezza che avevo accumulato nella giornata.

Con malavoglia mi alzai dal letto e andai in bagno, guardando basso e senza mai alzare gli occhi. Lo facevo tutte le mattine, ma alla fine non serviva a nulla. In un modo o nell'altro mi imbattevo sempre in quell'immagine; e nessuno oltre a me sapeva cosa succedeva quando guardavo quella "cosa". Non capivo davvero come alcune ragazze o ragazzi potessero amare quell'oggetto. Per me era puro portatore di verità e di conseguenza, di odio.

In tutta fretta mi spogliai, entrai nella doccia fredda e ci rimasi sotto per circa un quarto d'ora. Ferma immobile, con gli occhi chiusi, sentivo l'acqua di un freddo pungente cadermi sulla pelle come un milione di spilli. Ma non feci niente. Ho sempre pensato che il dolore fosse una cosa fisiologica, un sintomo vitale ed essenziale a renderci più forti. Uscii dalla doccia altri dieci minuti dopo ed eccola lì ad aspettarmi, pronta a sbattermi in faccia la realtà e a farmi vedere per l'ennesima volta la cosa che odiavo di più di tutte.

La mia immagine riflessa.

Due occhi verdi, spenti, erano lì a guardarmi; a guardare me e tutte quelle cazzo di imperfezioni che odiavo; a guardare le cicatrici ovunque e i tagli del giorno prima che, invece, dovevano ancora chiudersi del tutto.

Le mie braccia erano ormai diventate un campo di guerra. E in effetti tutte quelle cicatrici me le ero procurate in una lotta: una lotta contro me stessa che era iniziata poco più di un anno fa e continuava ad andare avanti. All'inizio era, come dicono tutti, un taglietto piccolo per sfogare la rabbia; ma andando avanti i taglietti si fecero di più e più grandi. Ora erano tagli profondi e non mi interessava più neanche il punto in cui lo facevo. Nessuno faceva caso a me. Nemmeno mio padre che, dopo la morte di mia madre iniziò a parlare di meno e a stare sempre fuori. "E' il lavoro" diceva lui. Così ero sempre sola, sia a casa che fuori.

Quegli occhi mi stavano ancora fissando, ma stavolta notavo molto più odio e senso di ribrezzo. Riuscii solo a girarmi di scatto e inginocchiarmi a vomitare nel gabinetto per colpa di quell'orribile "cosa" che mi fissava. Sapevo che non sarei mai riuscita ad accettare che quella che chiamavo "orribile cosa, ripugnante" ero io. Alla fine la persona che odiavo più di tutte ero io, senza se e senza ma.

Mi rialzai, sentendo le gambe deboli e pulendomi la bocca con la mia stessa mano, per poi tornare in camera a vestirmi. Presi degli skinny neri, una canottiera anch'essa nera e una felpa larga, di qualche taglia in più, grigia scura; era marzo e faceva ancora un pò freddo ma era una delle poche cose che amavo, il freddo: riuscivo a coprirmi quanto bastava a non far vedere qualche cicatrice o anche qualsiasi parte del mio corpo. Se avessi potuto sarei andata anche giro con un sacchetto di plastica nero in testa: a mio parere avrei fatto sicuramente più bella figura.

Presi il mio zaino quasi vuoto e uscii di casa senza mangiare, come al solito. L'aria fredda era pungente e mi attraversava la pelle; mi vennero i brividi, ma mi abituai subito alla temperatura accendendomi una sigaretta. Iniziai ad incamminarmi verso la scuola, consapevole del fatto che avevo ormai più di un'ora di ritardo. Per strada vidi una donna al telefono camminare velocemente, troppo impegnata a guardarsi le unghie per badare alla figlia piccola esattamente alla sua destra, ma non appena le passai affianco ricevetti un' occhiata piena di odio e notai con quanta fredda quella persona prese per mano la figlia e la trascinò lontano da me. Probabilmente per lei non ero un buon esempio, e non lo negavo. Probabilmente per lei ero tutto ciò che sua figlia non sarebbe dovuta diventare e in effetti era vero. Ero diventata tutto ciò di cui avevo paura da bambina: una ragazza sola.

Quando arrivai il cancello della scuola era chiuso, quindi dovetti suonare alla segreteria. Aspettai cinque minuti poi risuonai, visto che nessuno mi aveva ancora aperto. Iniziai a spazientirmi, così presi in mano il cellulare, mi misi le cuffiette e lentamente andai a sedermi su uno dei muretti che circondava la scuola. Chiusi gli occhi per godermi a pieno la voce di Kurt Cobain nella mia testa cantare uno dei suoi pezzi che preferisco della canzone 'Oh Me' e mi misi a canticchiare uno dei versi finali che mi rispecchiava un sacco: 'I can't see the end of me. My whole expanse I cannot see, I formulate infinity. And store it deep inside of me'. Proprio mentre la canzone finiva due ragazzi uscirono dall'istituto e si incamminarono nella mia direzione fino ad arrivare di fronte a me. Mi alzai e ritornai verso l'entrata. Eravamo separati solo dalle sbarre del cancello ma potevo sentire su uno dei due un forte odore di Marijuana. Erano due ragazzi apparentemente normali, ma di quelli che non si confondono facilmente tra la massa: uno dei due era leggermente più basso ma con una corporatura decisamente perfetta; aveva i capelli tutti scompigliati di un castano spento con un ciuffo che ricadeva sul viso in maniera perfetta; portava gli occhiali da sole, anche se di sole non ce n'era per niente quella mattina, ma la cosa che mi colpì di più furono il suo anellino al naso e i suoi mille tatuaggi sulle braccia e sul collo. Erano meravigliosi e ne rimasi quasi affascinata. L'altro era più alto, con i capelli corti ben pettinati e lisci. Non notai nulla di particolare come tatuaggi o piercing, ma il suo viso era perfetto, sembrava quasi che fosse stato scolpito divinamente. Quest'ultimo fu il primo a rivolgermi la parola:

-Ehi tesoro, niente sveglia stamattina?- Mi chiese con un sorrisetto beffardo.

-Senti vaffanculo.-

Feci per girarmi e tornare al mio muretto ma la sua voce mi bloccò.

-Okay okay, non c'è bisogno di essere così acidi ora ti apro.-

-Grazie.- Risposi freddamente

Non so perchè ma mi dimenticai completamente della presenza di quello più basso. Mentre parlavo con l'altro mi soffermai per un pò di tempo sui suoi occhi: erano strani, ma belli. Erano castani con delle sfumature grigie e verdi. Non avevo mai visto dei colori così particolari, in un occhio. Mentre osservavo ancora i suoi occhi, mi riportò alla realtà facendomi vergognare ancora di me stessa.

-Se continui così finisci per sciuparmi tesoro, forse è ora che tu vada in classe eh?-

Gli lanciai un' occhiata di ghiaccio e gli mostrai il dito medio prima di girarmi e iniziare a camminare.

Me ne andai con le guance che andavano a fuoco per l'imbarazzo e con la rabbia per la figura di merda che avevo appena fatto. Mi calmai subito dopo essere arrivata in classe. "Tanto è inutile, io so solo rovinare tutto. Anche le più piccole cose" pensai, e mi accasciai nel mio banco senza dare tanta importanza al professore che spiegava il fissismo e altre cose.

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