Camminavamo ancora e il braccio di Brando mi stringeva contro il suo fianco in modo risoluto. Evidentemente temeva ancora che potessi sfuggirgli e tentare qualche altro colpo di testa. Io, invece, ero stordita.
Per un lungo tratto di strada avevo avuto gli occhi completamente offuscati dalle lacrime e mi era impossibile capire la direzione che avevamo preso. Mi affidai a lui, mi lasciai guidare, certa che mi avrebbe tenuta al sicuro.
Quando la rabbia aveva iniziato a scemare e il dolore a farsi spazio al suo posto, mi preoccupai di ciò che avevo fatto quella mattina. Non avevo pensieri, ma le parole che mia madre mi aveva rivolto riecheggiavano costantemente nella testa senza lasciarmi scampo.
Di tanto in tanto, lanciavo occhiate verso il viso dell'Orso, studiandone il profilo alla ricerca di eventuali pensieri o emozioni. Il suo volto era una maschera inespressiva, solo ogni tanto si accigliava quando qualcuno si avvicinava troppo a noi.
In quei momenti ebbi modo di studiare il suo abbigliamento. Non lo avevo mai visto così elegante e formale. Indossava pantaloni aderenti blu scuro coordinati con la camicia che si intravedeva sotto il cappotto abbottonato sul davanti e di una sfumatura leggermente più chiara di blu, attorno al colletto della camicia vi era la cravatta annodata e perfettamente raccolta nelle pieghe del cappotto. Gli abiti che indossava evidenziavano il colore dei suoi capelli, biondo cenere, e gli occhi marroni.
Dovevo averlo fissato a lungo perché il suo sguardo si abbassò su di me e colsi una punta di sorpresa sul suo viso. Mi limitai a sbattere le palpebre un paio di volte prima di tornare a guardare la strada. Non ci eravamo scambiati una sola parola da quando mi aveva portata via dalla chiesa di San Michele Arcangelo. E la cosa aveva fatto evidentemente comodo ad entrambi, soprattutto a me.
"Spero che questo lungo peregrinare ti ha fatto ritornare in te."
Coglievo nella sua voce una nota di ironia e il mio viso avvampò. Probabilmente dovevo essergli sembrata una pazza nel modo in cui mi dimenavo nella sua presa ferrea. Non risposi e quel silenzio lo indusse a parlare ancora.
"Posso capire quello che provi ma venire qui da sola, senza saper usare i tuoi poteri o un'arma, è stata un'idea stupida e insensata." Sospirò e i suoi passi diminuirono di velocità, di conseguenza anche i miei. "Ti ho detto in passato che per qualsiasi cosa tu avessi bisogno potevi chiedermela e ti avrei aiutato. Se mi avessi detto di questo tuo bisogno di vedere la tua famiglia, forse io..."
"Cosa?" sbottai, interrompendo il suo monologo. "Avresti organizzato un incontro pacifico con la mia famiglia fedele al culto micaelico?!"
Sprizzavo ironia acida da tutti i pori e ne sentii il sapore amaro anche sulla lingua. Aggrottai le sopracciglia e mi morsi nervosamente le labbra.
"Avrei tentato, Azaria." Non sembrò curarsi delle mie parole acide e continuò. "Forse solo io, più di tutti gli altri membri dell'Accademia, posso capirti fin nel profondo. È del tutto normale e giusto che tu abbia voluto incontrare i tuoi genitori e cercare un chiarimento."
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FOEDUS
FantasyNapoli, 1821. Nel ventre della città, sotto la superficie, si nasconde un'Accademia che forma streghe e guerrieri da sempre impegnati nella faida contro i seguaci del culto micaelico. Azaria, una giovane di salute cagionevole, cresciuta in una famig...