34.Sofia

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Appena Gabriel chiuse la porta, mi sedetti sul divano, cercando di calmarmi. Sentivo ancora un po' di agitazione, anche se lui era appena uscito. Scrissi un messaggio a Amanda ed Emily: "Allora vi aspetto."

Dopo qualche secondo arrivò la risposta: "Siamo ferme per via del traffico, ma stiamo arrivando."

Stavo per rispondere con un'altra battuta quando improvvisamente sentii una pressione sulla mia bocca. Mi bloccai, il cuore mi saltò in gola. Un fazzoletto bianco premette contro le mie labbra e un odore pungente mi colpì le narici, mandando il mio corpo in allarme.

Provai a divincolarmi, a sfuggire alla stretta, ma era tutto inutile. Sentivo le forze scivolare via, come se ogni mio muscolo stesse sprofondando in una melassa densa e opprimente. La vista iniziò a sfocarsi, i contorni del salotto si fusero in ombre confuse, mentre le pareti sembravano avvicinarsi e allontanarsi.

Volevo gridare, ma l'urlo rimase intrappolato dentro di me, soffocato dal fazzoletto. Sentii le palpebre diventare sempre più pesanti, e, nonostante cercassi disperatamente di rimanere cosciente, la mia mente si arrese.

Aprii lentamente gli occhi, e un'ondata di panico mi travolse subito: le braccia erano bloccate, i polsi legati così stretti che ogni movimento sembrava solo farli stringere di più. Il dolore della corda ruvida contro la pelle mi fece sussultare, ma continuai a muovere le mani, cercando inutilmente una via di fuga. Mi guardai intorno, cercando di capire dove fossi. La stanza era buia, le pareti grezze, senza finestre o vie di uscita. Un silenzio pesante mi circondava, rotto solo dal suono del mio respiro affannoso.
Poi, un rumore metallico mi fece bloccare il fiato in gola: la porta di ferro si aprì con un cigolio che risuonò come un tuono in quel silenzio. Una figura apparve sulla soglia, una silhouette indistinta contro la luce fioca che filtrava dall'esterno. Provai a mettere a fuoco, a cercare di capire chi fosse, e più la figura si avvicinava, più un senso di familiarità mi invadeva. No... non poteva essere.
Quando finalmente avanzò abbastanza da essere illuminato da un debole spiraglio di luce, lo riconobbi. Il sangue mi si gelò nelle vene, e un'ondata di paura mista a confusione mi travolse. Mi paralizzai, incapace di distogliere lo sguardo.
Perché era lì? Perché mi stava facendo questo?
"Stellina, da quanto tempo." La sua voce mi colpì come un pugno, insieme a quel soprannome che solo lui usava, un ricordo distorto di un passato che avrei voluto dimenticare. Il suo viso, quel ghigno arrogante e sprezzante, non era cambiato per nulla.
"Non chiamarmi in quel modo," dissi, cercando di mantenere la voce ferma, anche se dentro di me ero un fascio di nervi. Gli lanciai uno sguardo colmo di disprezzo, sperando che potesse percepire il disgusto che provavo per lui.
"Posso chiamarti come voglio." Si piegò in avanti, appoggiando le mani sul manico della sedia a cui ero legata, avvicinandosi con una familiarità che mi fece rabbrividire. Potevo sentire il suo respiro sul mio viso, la sua vicinanza soffocante e prepotente, come se stesse rivendicando un possesso che non gli apparteneva più.
Quando inclinò il volto verso di me, cercai di scostarmi, girando il viso di scatto prima che potesse baciarmi. La tensione era palpabile, e ogni istante con lui lì vicino mi faceva sentire intrappolata, senza via di fuga. Mi afferrò il viso, costringendomi a guardarlo negli occhi. Quegli occhi azzurri che un tempo avevano il potere di rassicurarmi, ora erano freddi, glaciali, e mi incutevano solo paura.
"Perché sono qui, Alex? Cosa vuoi da me?" cercai di mantenere la voce ferma, di non far trasparire il terrore che provavo, anche se sentivo il cuore martellare nel petto.
"Da te, nulla. Ma dai tuoi genitori... tutto."

Le sue parole mi lasciarono interdetta. "I miei genitori? Che c'entrano loro? Sono morti." Cercavo disperatamente di dare un senso a quella follia.
Alex sorrise, un sorriso carico di cinismo. "Ed è qui che ti sbagli."
Un brivido mi percorse. Cosa voleva dire? Cosa stava cercando di insinuare? "Che significa? E cosa c'entri tu con loro?"
"È semplice. Tuo padre ha mandato in rovina la mia famiglia," rispose lui con calma glaciale, come se stesse parlando del tempo. "E chi ero io per non vendicarmi, per non riprendermi quello che ci era stato tolto?"
Le sue parole erano come un coltello che affondava lentamente. Tutto cominciava a prendere una forma crudele nella mia mente. "Mi stai dicendo che... era tutto un piano? Avvicinarti a me, conoscermi, la nostra relazione... tutto finto? Era solo una trappola?" Le parole mi uscivano in un sussurro tremante, perché in fondo già sapevo la risposta.
"Esattamente. E tu, ingenua come sei, sei caduta nella mia trappola."Sentii un vuoto spalancarsi dentro di me.

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