36.Gabriel

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La ragazza alzò lo sguardo verso di me, e quel lieve barlume di speranza che intravedevo nei suoi occhi svanì, dissolvendosi come fumo. Mi ritrovai a fissarla, confuso e vulnerabile, mentre una consapevolezza amara mi travolgeva come un'onda. Non era Sofia. Non era lei quella che avevo sperato di vedere. La realtà mi colpì come un pugno allo stomaco, lasciandomi senza fiato, e in un istante, tutto sembrò perdere colore.
La delusione e il peso delle mie aspettative infrante mi assalirono, quasi soffocandomi. Sentii il mondo crollarmi addosso, come se tutto ciò che avevo immaginato e sperato non fosse altro che un'illusione. La ragazza abbassò lo sguardo, come se avesse colto il mio smarrimento, forse intuendo quanto quella rivelazione mi avesse scosso. Mi avvicinai piano, cercando di non spaventarla, e iniziai a sciogliere le corde che le stringevano i polsi. Le sue braccia, ormai prive di forze, caddero lungo i fianchi, mentre i segni rossi delle legature spiccavano sulla pelle. Lei mi guardò, con occhi pieni di paura e smarrimento.
"Chi ti ha fatto questo?" le chiesi sottovoce, cercando di rassicurarla. Fu allora che notai la collana al suo collo, la stessa che avevo regalato a Sofia. Un brivido mi attraversò. Il bastardo aveva usato questa ragazza come diversivo, facendoci perdere tempo prezioso. Aveva giocato con noi, e io avevo seguito il suo piano senza rendermene conto.
Un'ondata di preoccupazione mi colse. Ora Sofia poteva essere ovunque, e io non avevo idea di dove cercarla.

Stringendo la collana tra le dita, sentii il peso dell'ansia sul petto. Quella mezza luna d'argento, così leggera eppure così significativa, era un simbolo del nostro legame, un ricordo delle risate e dei momenti condivisi. Adesso, tenerla in mano senza di lei accanto mi faceva sentire un vuoto incolmabile.
Immaginai Sofia, da qualche parte là fuori, lontana e vulnerabile. Mi chiesi cosa stesse provando in quel momento. La paura mi attanagliava lo stomaco; non riuscivo a pensare a nulla se non a come avessi lasciato che ci ingannassero. Mi sentivo impotente e frustrato, come se il mondo attorno a me si fosse bloccato, lasciandomi solo con questo oggetto che non poteva sostituire la sua presenza.
Sapevo che dovevo agire. Non avrei potuto restare fermo mentre lei era in pericolo. La determinazione iniziò a farsi strada tra i miei pensieri confusi. Dovevo trovare Sofia, non importava quanto fosse difficile o quanto tempo ci volesse.

Uscendo da quel posto con gli agenti, sentii il freddo dell'aria colpirmi il viso. "La troveremo," disse uno di loro per cercare di rassicurarmi. Annuii, ma dentro di me, il timore cresceva. Entrai nell'auto e chiusi la portiera, il suono del metallo che si serrava sembrava risuonare con la mia impotenza.

Mentre ci allontanavamo, il paesaggio scorreva veloce oltre il finestrino, ma la mia mente era tutta per Sofia. Le mie dita iniziarono a torturarsi nervosamente, pizzicando la pelle. Ogni movimento era un tentativo di alleviare l'ansia che cresceva in me, ma nulla sembrava funzionare.

Immaginai il suo volto, la sua risata che riempiva la stanza, e mi chiesi come stesse in quel momento. Aveva paura? Pensava a me? Il silenzio nell'auto pesava come un macigno, mentre l'agente alla guida parlava di cose pratiche, ma io non riuscivo a seguire.

Riuscivo a sentire solo il battito del mio cuore, che sembrava sempre più forte. "Deve stare bene," pensai, cercando di convincermi. Dovevo trovare un modo per aiutarla, per riportarla indietro. La determinazione si fece strada tra le mie ansie, e in quel momento capii che non avrei smesso di cercarla fino a quando non l'avessi trovata.

Tornai a casa, il cuore pesante e la mente confusa. Ringraziai gli agenti che rimanevano sul vialetto, alcuni di loro pronti a fare il turno di notte. Entrai in casa e fui accolto da un'atmosfera pesante. Lì, in soggiorno, vidi Amanda, il volto rigato di lacrime.

"Cosa c'è? Dimmi che non è quello che penso, ti prego," dissi, sperando di avere torto.

"No, no, non pensarlo neanche," rispose, ma il suo tono tradiva una profonda angoscia.

"Allora cosa c'è?" chiesi, ansioso di capire.

"Gabriel, Sofia non è sola."

"Che significa?" la incitai, la mia mente già in preda al panico.

"L–lei ieri ha scoperto di essere..."

"Di essere..." la stimolai a continuare, il cuore che batteva all'impazzata.

"Di essere incinta."

Le parole colpirono come un pugno. Mi paralizzai, un'ondata di emozioni mi travolse. Ogni frammento di conversazione che avevo avuto con Sofia quella mattina tornò a galla, ogni sorriso, ogni battuta, ogni momento che avevo pensato fosse normale ora sembrava carico di un significato completamente diverso. La domanda che mi aveva posto, il modo in cui cercava di mascherare la sua ansia... Tutto si ricomponeva in un terribile puzzle.

"Cazzo!" esclamai, sentendo il mondo intorno a me sgretolarsi. "Ma... perché non me l'ha detto?" La mia mente correva a mille all'ora, chiedendosi se fosse spaventata, se avesse pensato che non sarei stato pronto. Un turbinio di pensieri e preoccupazioni si accavallavano, rendendo difficile respirare.

Il respiro iniziò a farsi corto, un affanno inaspettato che mi colse di sorpresa. Mi appoggiai al divano, cercando di trovare un punto di riferimento nella confusione che mi circondava. Stavo avendo un attacco di panico. Non ne avevo avuti da tempo, e questa sensazione di impotenza mi risucchiava sempre più.

Amanda si avvicinò, posando delicatamente una mano sul mio petto. "Respira con me. Bravo così," disse con calma, e io cercai di seguire il suo ritmo. Sollevai il petto mentre la sua mano si muoveva su e giù, e lentamente iniziai a sentirmi meglio, il caos nella mia mente che si placava un po'.
Improvvisamente, un rumore di porta interruppe il silenzio. Mi voltai e vidi una chioma castana. Appena il suo viso entrò nel mio campo visivo, una sensazione di sollievo mi invase.
"Sofia," dissi, gli occhi lucidi di emozione. Vidi che zoppicava, il cuore mi si fermò per un momento. Non ci pensai due volte e mi avvicinai a lei, stringendola forte a me.
La sentii singhiozzare, un suono che mi spezzava il cuore e mi faceva capire quanto avesse sofferto. La sua fragilità mi colpì, ma nel momento in cui la tenni tra le braccia, sentii che non avrei mai voluto lasciarla andare.

Aveva un sopracciglio spaccato e varie ferite sul volto, un chiaro segno del dolore che aveva affrontato. "Vi lascio soli," disse Amanda, uscendo dalla cucina e lasciandoci in un momento che sembrava fragile e prezioso.

"Sei al sicuro, amore mio," dissi, stringendola a me mentre continuava a piangere. Volevo rassicurarla, ma sapevo che le ferite interiori erano più difficili da curare. "Vieni, ti disinfetto queste ferite." La guidai verso il bancone, dove la feci sedere con delicatezza. Presi un panno bagnato e iniziai a pulire il suo viso sporco e macchiato di sangue, cercando di cancellare le tracce di quel brutto incontro.

"Ho creduto di perderti," dissi, accarezzando il suo viso, mentre le lacrime scendevano lungo le mie guance. Non riuscivo a trattenere la mia angustia, e quel momento di vulnerabilità sembrava finalmente liberarmi.

"Sto bene, amore mio, adesso sto bene," rispose, cercando di forzare un sorriso tra i singhiozzi. Ma sapevo che il suo dolore andava oltre le ferite fisiche.

"Come sei riuscita a scappare?" le chiesi, mentre continuavo a esaminare il suo volto.

"Mi ha lasciato andare, ma non è finita qui. Devo fare quello che mi ha detto," ammise, gli occhi pieni di paura. "Ho paura."

"Non farai nulla di quello che ti ha detto," dissi con fermezza, cercando di infonderle coraggio.

"Invece sì, i miei genitori sono vivi e potrebbe fargli del male. Io non posso..."

"Adesso pensa a stare bene. Poi la risolveremo insieme, te lo prometto," dissi, baciandole la fronte con dolcezza mentre continuavo a disinfettare il sopracciglio ferito.

"Perché non mi hai detto nulla del bambino?" dissi all'improvviso, il pensiero che mi attanagliava.

"Amanda te lo ha detto, a quanto pare... Non ho detto nulla per come avresti reagito. Ti avrei perso," rispose, la sua voce tremante.

"No. Non mi avresti perso. Credi davvero che un bambino possa allontanarmi dall'amore della mia vita? È solo una ragione in più per credere che tu sei quella giusta per me," affermai, cercando di rassicurarla. "Sì, ho detto che era presto per programmare una gravidanza, ma se è capitata, doveva andare così. Ovvio che sono felice lo stesso."

La guardai negli occhi, cercando di trasmetterle tutto l'amore e la determinazione che provavo. In quel momento, sapevo che avremmo affrontato tutto insieme, qualunque cosa fosse accaduta o fosse destinata a succedere.

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