39.Gabriel

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Mi avvicinai lentamente, fino a sfiorare le sue labbra. Le baciai con calma, assaporando ogni secondo. Mi erano mancati quei momenti, quella sensazione familiare. Le sue labbra erano morbide, proprio come le ricordavo.

"Sei tutta la mia vita," dissi a bassa voce, cercando di controllare l'emozione. "Se ti fosse successo qualcosa, io..."

Lei mi fermò subito, posandomi un dito sulle labbra. "Shhh, sto bene, Gabriel. Sono qui, con te." Si accoccolò contro di me, poggiando la testa sul mio petto. La strinsi forte, cercando di trasmetterle tutto quello che provavo.

"Non ti lascerò più sola. Mai più," promisi, con tutta la determinazione che avevo.

Lei sollevò il viso per guardarmi. "Sai che non è colpa tua, vero?" chiese, cercando di convincermi.

Abbassai lo sguardo, incapace di accettare quelle parole. "Invece lo è. Avrei dovuto essere qui. Avrei dovuto proteggerti. Non dovevo lasciarti sola."

"Gabriel, smettila. Non potevi fare niente. Dovevi andare, non avevi scelta. La colpa è solo di quello stronzo."

Non risposi. Sapevo che aveva ragione, ma non riuscivo a scrollarmi di dosso il senso di colpa. Dovevo fare qualcosa per lei, proteggerla da tutto e da tutti. E avevo già in mente un piano. Mi avrebbe odiato? Forse sì. Ma non importava, perché l'unica cosa che contava era la sua sicurezza.

Arrivata la sera, decisi di prepararle qualcosa da mangiare. Non volevo che si sentisse trascurata, non dopo tutto quello che era successo.

"La mia principessa, cosa vuole mangiare stasera?" le chiesi con un sorriso, aggiustandomi i pantaloni mentre la osservavo.

Lei mi guardò con quegli occhi brillanti e rispose con una voce dolce, quasi infantile: "Pizza."

"Ti va di farla insieme?" proposi. Non era solo per cucinare. Volevo passare del tempo con lei, condividere qualcosa di semplice e autentico. Volevo che capisse che la nostra relazione non era basata solo sul sesso. Volevo momenti reali, ricordi che avremmo custodito per sempre.
Lei annuì, un sorriso luminoso le illuminò il volto. "Sì, va bene."
In quel momento, avrei fatto qualsiasi cosa pur di vedere quel sorriso restare lì, fisso. Era un'immagine che avrei voluto imprimere nella memoria, un ricordo da custodire nei giorni difficili.

"Andiamo allora," dissi, porgendole la mano. Lei intrecciò le dita alle mie, e la guidai al piano di sotto.

In cucina, raccolsi tutti gli ingredienti e una ciotola grande per l'impasto. La osservai mentre sistemava gli ingredienti sul bancone, concentrata. Ogni suo movimento era naturale, semplice, ma incredibilmente affascinante. Notai come i suoi polsi si muovevano con delicatezza per mescolare e lavorare l'impasto. Mi appoggiai con il gomito al bancone, incapace di distogliere lo sguardo.

Aveva un po' di farina sulla guancia e i capelli raccolti con una molletta che lasciava scoperte le linee del suo viso. Era bellissima, e non riuscivo a non notarlo.

"Che c'è?" chiese, voltando appena il capo verso di me, senza smettere di impastare.

"Nulla, stavo solo pensando a quanto sei bella."

La vidi arrossire, il rossore che si diffondeva sulle guance mentre abbassava lo sguardo, imbarazzata ma compiaciuta. Non potevo resistere. Mi alzai e la raggiunsi, abbracciandola delicatamente dai fianchi. Appoggiai il mento sulla sua spalla, inspirando il profumo  dei suoi capelli.

"Ti amo tanto." sussurrai, con la voce che si incrinava leggermente. Non potevo fare a meno di pensare ai giorni che avevo passato senza di lei, al peso dell'ansia che mi aveva schiacciato ogni volta che immaginavo il peggio. Ora era qui, al sicuro tra le mie braccia, e niente al mondo mi avrebbe fatto rinunciare a questo momento.

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