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Il professor Rinaldi mi fissa da dietro gli occhiali sottili in fibra di carbonio

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Il professor Rinaldi mi fissa da dietro gli occhiali sottili in fibra di carbonio. Il silenzio inghiotte ogni suono. Deglutisco. L'aula è vuota, fatta eccezione per noi due. La sua imperturbabile espressione accigliata mi pesa addosso. Davanti a me, il foglio dell'esame scritto di teoria diplomatica. Ogni riga sottolinea il mio fallimento e il voto segnato in rosso è una ferita aperta nell'orgoglio.

«Zanardi» inizia il professore. La sua voce taglia come una lama. «Se questo è il meglio che riesce a fare, allora dubito seriamente che lei possa sopravvivere qui». Si toglie gli occhiali, mi squadra con occhi duri. «Warwick non è un posto per mediocri. Qui formiamo le menti più brillanti, i futuri leader del mondo diplomatico. Lei oggi ha dimostrato di essere molto lontano dal concetto».

Le parole mi trafiggono. Tento di dire qualcosa, di giustificarmi, ma la verità è che non ho scuse. Ho sottovalutato questo esame, ho pensato troppo a casa mia, ai miei problemi. 

«Non è solo una questione di conoscenza» continua Rinaldi, interrompendo i miei pensieri e il mio blaterare confuso. «Si tratta di dedizione, di serietà. Non c'è spazio per l'improvvisazione o la superficialità tra queste mura. Se non migliorerà radicalmente, Zanardi, potrebbe anche considerare di frequentare un'altra università. Non mi stupirei se fosse proprio così».

Scandisce ogni parola con un colpo leggero della mano sulla cattedra, ogni frase mi sommerge. Non so cosa rispondere. Annuisco, mortificato. 

Esco dall'aula senza una parola, con lo sguardo fisso al pavimento. I corridoi di Warwick sono interminabili, più lunghi del solito, e ogni passo pesa più del precedente. Il mondo intorno a me continua a muoversi, gli studenti mi passano accanto, qualcuno mi saluta, ma io mi sento immobile, congelato in quel momento. Come ho fatto a scendere così in basso?

Mi avevano avvertito che Warwick avrebbe richiesto impegno e sacrificio. Solo oggi ho capito davvero cosa significhi. Il dubbio di non essere all'altezza mi schiaccia. Non ho mai sentito tanta voglia di parlare con Sam, di sentire la sua voce. 

Svolto l'angolo di colpo e trovo Erin ad aspettarmi, seduta in terra accanto alla porta del mio dormitorio. «Mic». Le brillano gli occhi verdi e mi stringe distratta un braccio con il palmo bollente. «Allora? Com'è andata?»

Accenno un sorriso tirato. «Non bene».

Apro la porta e la faccio accomodare nella sala comune che a quest'ora della mattina è deserta. Le racconto a grandi linee le parole del professore e lei non sembra perdersi d'animo. «Io l'ho superato. Ti posso dare una mano! Non sarà un esame andato male a buttarci giù, no?»

Mi afferra la mano e mi trascina verso la porta. «Ti porto a mangiare qualcosa, dai. Ti faccio dimenticare questa mattinata orribile». 

Le sorrido. Erin ha un'energia brillante che emana dalla sua persona anche quando non cerca di attirare attenzione. Fa del suo meglio per tirarmi su di morale, ma c'è un'unica cosa che vorrei in questo momento. Le apro la porta e la lascio uscir, ma non la seguo. «Magari la prossima volta. Vorrei restare un po' da solo».

FALL IN WITH YOU (FIWY 2)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora