-un nuovo destino?-

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Una volta scesa dall'auto, i miei occhi si posarono su una grande casa bianca che sembrava emergere dal nulla, quasi surreale nel suo aspetto perfetto. L'enorme porta nera, maestosa e imponente, emanava un'eleganza fredda e distaccata. Il giardino, invece, raccontava un'altra storia. Ogni singolo fiore sembrava disposto con attenzione, le aiuole rigogliose di colori accesi che contrastavano con la neutralità della casa. C'era un profumo nell'aria, una fragranza dolce e sottile che mi avvolgeva, un senso di pace che non sapevo di poter ancora provare. Forse era solo un'illusione, o forse, semplicemente, la natura aveva ancora il potere di affascinarmi. Da quando ero piccola, piante e animali erano il mio rifugio. Eppure, nonostante la bellezza che mi circondava, un senso di vuoto si faceva strada dentro di me.

Tina mi poggiò una mano sulla spalla, il suo tocco delicato ma fermo sembrava volermi trasmettere sicurezza, come a dire "Andrà tutto bene". Ma io sapevo che niente sarebbe mai più stato come prima.
Anche se mi ripeteva che era solo una sistemazione temporanea, quel cambiamento così improvviso e radicale mi stava già scavando dentro, chiudendo a chiave le mie emozioni. Il mondo intorno a me si stava spegnendo, ed io con lui. Non ero altro che una bambina spezzata, spenta, con lo sguardo vuoto.

Arrivammo alla porta d'ingresso, e Tina estrasse dal suo cappotto un grosso mazzo di chiavi, appeso a un portachiavi a forma di cuore. Il disegno sembrava fatto a mano, con tratti incerti e imprecisi, come se fosse stato creato da un bambino. Per qualche motivo, quella piccola imperfezione mi colpì. Nonostante tutto il lusso intorno, c’era qualcosa di reale, di umano.

Quando la porta si aprì con un lieve cigolio, davanti a me si svelò un lungo corridoio. Il pavimento lucido rifletteva la luce che filtrava dalle finestre, i muri erano ornati di vasi dai colori vivaci e quadri astratti che conferivano all'ingresso un'atmosfera calda e accogliente. Era una casa moderna, quasi lussuosa, ma con un tocco giocoso e stravagante. Qua e là c’erano oggetti strani, di forme irregolari e bizzarre, che rendevano l'ambiente meno formale e più vivido, più... vivo. Ogni angolo sembrava raccontare una storia, diversa dalla mia, certo, ma comunque una storia.

Era così diverso da casa mia. La mia casa era spoglia, priva di quei colori e di quella vita. Mi sentii fuori posto, come se non appartenessi a quel mondo, come se stessi solo attraversando un sogno che non era il mio.

Poi, mentre il mio sguardo vagava incerto, lo vidi. In piedi sulla scala, con lo sguardo fisso su di me. Era un bambino, forse della mia età, ma il suo volto era rigido, immobile.

"Ivy, lui è Haru, mio figlio," disse Tina con voce dolce, ma c'era una leggera tensione che avvertii nelle sue parole. Haru non disse nulla, restava lì, impassibile. Tina lo invitò ad avvicinarsi, con un gesto quasi impercettibile. Lui esitò, come se stesse combattendo un conflitto interno, poi obbedì, ma i suoi passi erano lenti, quasi trascinati.

Quando fu abbastanza vicino, potei vederlo meglio. Non c’era somiglianza tra loro, almeno non evidente. Haru aveva capelli scuri, lisci e dritti, e i suoi occhi, di un profondo marrone scuro, erano quasi vuoti, come se non volessero lasciar trapelare nulla. I suoi lineamenti erano delicati, ma con una forza nascosta che faceva trasparire una sorta di resistenza. Il suo aspetto aveva un’evidente origine asiatica, il che rendeva ancora più chiara la distanza tra lui e Tina.

Ma più di tutto, quello che notai era l’assenza di calore. Haru non mi guardava con curiosità o con apertura. C'era solo una barriera invisibile tra noi, un muro che sembrava impossibile da abbattere. E, in quel momento, sentii che in quella casa, nonostante i colori e l’apparente calore, ero ancora una straniera.
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"Haru, perché non mostri a Ivy la sua stanza?" disse Tina con un dolce sorriso, ma non potevo ignorare il velo di apprensione che traspariva nei suoi occhi mentre guardava me, una bambina estranea che ora faceva parte della sua vita.

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