Apro gli occhi alla luce del sole che filtra dalla finestra, devo aver dimenticato di chiudere le tende, e mi colpisce proprio in faccia. Emetto uno sbadiglio, senza coprire la bocca con la mano, tanto non c'è nessuno, e stacco la sveglia che sta per suonare entro un paio di minuti, alzandomi con la poca voglia che mi rimane per andare a scuola. Mi dirigo in bagno, faccio i miei bisogni e lavo le mani, quest'ultimo gesto con più cura del necessario, poi getto uno sguardo alla bilancia lì per terra che sembra giudicarmi come qualsiasi altro essere a questo mondo, dunque con un sospiro decido di vedere se la mia dieta sta dando i propri frutti. Trattengo il respiro, sto tremando come una foglia al vento, ma devo farcela e rilasciando il fiato salgo sulla bilancia, fissando il muro di fronte a me senza il coraggio di guardare il numeretto che è apparso. Alla fine lo faccio e credo di sbiancare; 90 kg, non sono dimagrita per niente! Scendo immediatamente da quell'oggetto infernale, evitando di guardarmi allo specchio, e mi tuffo in doccia dopo essermi spogliata, trattenendo a stento i singhiozzi che mi stringono la gola ma sotto al getto caldo mi lascio andare alle lacrime come quasi ogni mattina.
Lo sfogo è durato anche troppo, mi asciugo velocemente, mi pettino e spazzolo i denti, poi scelgo di indossare una tuta over size grigia che forse mi fa apparire più grassa, ma è l'unico modo che conosco per nascondere il mio corpo schifoso e corro giù dalle scale sentendo già mia madre borbottare "Sei in ritardo, ma almeno eviti di fare colazione. Solo così potrai perdere peso". Le sue uscite mi feriscono, non è una cattiva madre, solo che sputa fuori tutto ciò che pensa con leggerezza e probabilmente nota la mia espressione ferita perché cerca di rimediare "Lo sai che ti voglio bene, ma una donna deve curare il proprio aspetto. Adesso sbrighiamoci o faremo tardi". Non spiccico una parola, annuendo semplicemente e seguendola verso la porta laterale della cucina che ci porta direttamente al garage, così potrà accompagnarmi a scuola, un vero inferno.
Arrivata al liceo classico Massimo D'Azeglio di Torino, saluto mia madre velocemente e scendo dall'auto, notando come già i miei compagni di classe e non siano vicino all'entrata a fumare una sigaretta come se avessero bisogno di sentirsi già grandi. "Ehi, c'è la balena, perché non torni in mare?" tutti scoppiano a ridere, non ho visto nemmeno chi è stato a parlare con gli occhi che fissano l'asfalto, in ogni caso non riconosco la voce segno che non è nella mia sezione. Rimango zitta e devio per raggiungere l'altra entrata che mi farà perdere più tempo per raggiungere la mia aula, ma da lì non incontro mai nessuno o così credevo fino ad oggi. So che non si dovrebbe guardare per terra mentre si cammina, ma ormai ho questa abitudine perché penso, o spero, la gente mi lasci in pace se non la guardo, invece questo mio vizio mi porta a sbattere contro qualcuno. Un petto e delle spalle muscolose, ampie e un'altezza smisurata, infatti sono costretta a piegare indietro il collo per riuscire a guardare il ragazzo che ho di fronte, tatuaggio all'altezza della carotide, una rosa rossa, capelli neri e occhi nocciola. Una bellezza da togliere il fiato. Sono sicura di essere arrossita, sento il viso scottare e mi rendo conto di essere zitta di fronte al suo sguardo duro, una smorfia sulle labbra carnose quindi cerco di rimediare "M-Mi dispiace, non ti avevo visto...". Lui rimane in silenzio a guardarmi dall'alto al basso, come ad ispezionarmi o a giudicarmi, ormai credo lo facciano tutti quanti, conta solo il mio peso e il mio aspetto. "Per fortuna faccio palestra o mi avresti buttato giù." finalmente parla e non per dire qualcosa di carino tipo "Non preoccuparti", ma per offendermi, come fanno sempre tutti. Ma chi è questo tizio? Non l'ho mai visto, non è un passante perché si trova nell'atrio della scuola, sarà un nuovo studente? Dio, ti prego no, un altro di cui preoccuparmi con le sue battute e frecciatine. Abbasso di nuovo lo sguardo, non so mai cosa rispondere alle offese degli altri, tanto per lui sembro solo un insetto che gli è volato troppo vicino, si sistema la maglietta troppo stretta per quel corpo e mi sorpassa, non dicendo nient'altro. Soltanto il suono della campanella mi scuote dai miei pensieri e ricordo di essere dall'altra parte dell'edificio, quindi inizio a correre per raggiungere la 5B il più in fretta possibile sperando che il professore di inglese non sia ancora arrivato. Una volta tanto la fortuna è dalla mia parte e mi intrufolo in classe senza guardare nessuno, come al solito, arrivando al mio banco in seconda fila dove posso seguire la lezione perfettamente, davanti a me solo i secchioni anche se non mi piace definirli così. Successivamente mi raggiunge anche la mia migliore amica, perennemente in ritardo, a cui sorrido davvero, l'unica persona con cui posso essere me stessa. "Ciao Eli, sei fortunata perché il prof non è ancora qui", la saluto con un veloce bacio sulla guancia che lei ricambia immediatamente. "Ciao Angy, come stai?" annuisco alla sua domanda e lei capisce subito che non sto bene come vorrei dare a vedere, ma non commenta perché il professore entra un minuto dopo e al seguito c'è il ragazzo incontrato nell'atrio e, non ci posso credere, sarà in questa classe? "Buongiorno a tutti, da oggi avrete un nuovo compagno: Patroclo Ferrara". Patroclo? Chi darebbe mai questo nome ad un figlio? Lo guardo di sottecchi e noto con grande stupore che lui ricambia il mio sguardo, poi un sorrisino gli si forma sulla bella bocca e non capisco se sia contento o meno. "Salve a tutti" è la sua breve risposta alla presentazione dell'insegnante, ho già capito che non è un tipo molto espansivo. A seguito delle presentazioni il signor D'Angelo indica un posto al nuovo arrivato e per un attimo sembra che il suo dito punti a me, poi capisco, dovrà sedersi alle mie spalle e questa è una sfortuna, lo so già. "Angy hai visto che figo?" si rivolge a me Elisa e io la guardo mordendomi il labbro inferiore, indecisa se riferirle del nostro incontro precedente, alla fine lascio perdere anche perché sta per iniziare la lezione e le lingue straniere sono le mie preferite.
Per tutta la lezione sento il suo sguardo gelido perforarmi la nuca, non so se me lo sto immaginando ma è una sensazione orribile che continua anche nelle ore successive, fino all'intervallo dove posso tirare un sospiro di sollievo ed allontanarmi da qui per un po'. "Andiamo alle macchinette?" domando ad Elisa, ricevendo il suo assenso e dunque usciamo dall'aula per fare una pausa raggiungendo le macchinette che si trovano giusto più avanti nel corridoio. Ci mettiamo in fila dietro ad altri ragazzi dello stesso anno e io vorrei sotterrarmi, odio stare vicino ad altre persone che non siano la mia migliore amica ma fortunatamente nessuno sembra degnarmi di uno sguardo e ne sono felice. "Tesoro, ti ho detto tante volte che dovresti vestirti meglio, quelle tute non valorizzano le tue forme" sospiro, guardando Elisa e scuotendo la testa, non è un argomento che voglio riprendere e per consolarmi, dalla macchinetta, prendo una barretta al cioccolato che manda a quel paese la dieta. "Non mi stupisco che tu sia così se mangi quella roba". Mi paralizzo sul posto, riconosco perfettamente questa voce e il suo proprietario, non ho il coraggio di voltarmi e dirgli qualcosa ma come a lezione sento i suoi occhi studiarmi da dietro e inevitabilmente arrossisco. "La mia amica può mangiare ciò che vuole, brutto cafone!" oh Eli, sempre pronta a prendere le mie difese perché io sono una rammollita. In un attimo di coraggio decido di girarmi e lui è ancora lì, a fissarmi, non sembra nemmeno aver sentito le parole della mia amica, con quel sorriso strafottente sulle labbra. "Andiamo via..." il "Per favore" è sottinteso, non voglio mettermi ancora più in ridicolo anche perché una piccola folla si è radunata attorno a noi e attirare l'attenzione è tutto ciò che non voglio. "No, adesso lui ti chiede scusa" ti voglio bene Eli, ma a volte esageri, non sai quando star zitta. Sento già i mormorii attorno a noi e posso perfettamente distinguere qualcuno dire "Balena", rendendomi conto che anche lui l'ha sentito perché il suo sorriso si allarga ancora di più senza però raggiungere gli occhi, mi sta provocando. "Balena, eh? Ti si addice alla grande" il mio cuore si incrina un po' di più, un altro essere umano che mi giudica e mi insulta senza nemmeno conoscermi, ma cosa ho fatto di male nella vita per meritarmi questo? Prima che Elisa possa dire altro mi volto a sinistra e corro via, in direzione dei bagni, dove non trovo nessuno e posso chiudermi dentro un cubicolo e piangere per la seconda volta quel giorno.
Questa giornata infernale è finalmente finita, dopo l'episodio alle macchinette, Patroclo mi ha ignorata anche se potevo percepire la sua attenzione sempre su di me ed è un tormento, sarà un ultimo anno devastante. All'uscita della scuola saluto la mia amica e raggiungo l'auto di mia madre, cercando di nascondere i segni del pianto perché non ho bisogno delle sue domande e, stranamente, sembra capire perché non mi chiede nulla, nemmeno un "Com'è andata a scuola?".
Arrivata in casa non voglio nemmeno pranzare, mi chiudo in camera e mi butto sul letto, rannicchiandomi su me stessa e mangiando quella barretta che ho preso a scuola come consolazione. So che è sbagliato, se voglio perdere peso non è il modo giusto, ma in questo momento ne ho bisogno come l'aria, è l'unica cosa che mi dà conforto.
Non mi rendo conto di essermi addormentata fino a quando non mi sveglio all'ora di cena, ho saltato tutto il pomeriggio di studio e dovrò recuperare questa sera e anche di notte, probabilmente. Decido di alzarmi e scendere le scale per raggiungere la cucina, dove trovo mia madre intenta a preparare qualcosa, credo pasta al sugo e mi dispiace averla ignorata tutto il giorno, quindi le do una mano apparecchiando la tavola. "Hai fatto i compiti per domani?" mi domanda con calma, so che odia quando dormo il pomeriggio, quindi mento "Sì, non era molta roba". Mi siedo al mio posto e aspetto pazientemente, guardo mia madre scolare la pasta e condirla con il sugo, per poi porgermi un piatto abbondante. "Mamma, è troppa e lo sai" la rimprovero gentilmente, ma lei agita la mano come a voler dire "Non ti preoccupare" e io non resisto, inizio a mangiare finendo tutto ciò che c'è nel piatto. Una volta lavato tutte le stoviglie, toccava a me visto che mamma ha cucinato, le do un bacio sulla guancia e ritorno incamera mia pronta a studiare per il giorno successivo.
STAI LEGGENDO
Il bullo che vorrei
RomanceAngelica è una ragazza di 18 anni, frequenta il liceo classico Massimo D'Azeglio di Torino ed è grassa. Vive la propria vita sotto le offese dei compagni che cerca di ignorare tenendo sempre gli occhi bassi e un atteggiamento passivo, a differenza d...