-la fine di un incubo-

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Sono passati quasi due giorni da quando sono rinchiusa qui... ma niente. Nessun segno di Tina. Solo io, mia madre, e queste pareti spoglie, testimoni silenziosi delle ultime quaranta ore trascorse in questa casa che ormai sembra trattenere il respiro insieme a me. L'attesa è diventata un peso insopportabile, e l'idea che Tina non verrà mai a cercarmi inizia a insinuarsi sempre più profondamente. Ho perso le speranze.

Per distrarmi da quei pensieri cupi che continuano a riempire la mia mente, prendo un foglio e inizio a disegnare. I colori delle matite scivolano veloci sul foglio, e per qualche istante riesco a lasciarmi andare. Dipingo la casa di Tina: grande, bianca, con le finestre che riflettono la luce del sole. Intorno, alberi alti che sembrano sfiorare il cielo e fiori dai mille colori che esplodono come macchie vivaci. Mi sembra quasi di sentirne il profumo, come se il disegno potesse riportarmi a quella sensazione di sicurezza che provavo quando ero lì.

Poi, con un tratto più delicato, disegno Tina. La sua figura prende forma lentamente, dolce e gentile come la ricordo, con i capelli castani raccolti in una coda morbida e uno sguardo premuroso. Ha circa quarant'anni, ma il suo sorriso ha qualcosa di eterno, capace di far sentire a casa chiunque.

Infine, quasi senza rendermene conto, giro il foglio e inizio a disegnare Haru. Lo faccio in modo furtivo, come se volessi nasconderlo persino a me stessa. I tratti del suo viso sono sfumati, non nitidi come quelli di Tina, come se la mia mente fosse ancora incerta su di lui. Disegno i suoi capelli neri e scompigliati mentre sfreccia tra gli alberi con la sua bicicletta verde scuro. Lo immagino mentre pedala veloce, lasciando dietro di sé solo il fruscio delle foglie e la scia di una libertà che non riesco a provare.

Mi fermo a guardare il disegno, con una leggera ansia che si fa strada nel mio stomaco. Avevo lasciato quel foglio sotto il letto nella casa di Tina, come un piccolo segreto nascosto. Spero che Haru non l’abbia trovato... penso, mordicchiandomi le labbra. Immagino la sua reazione se mai lo vedesse, e arrossisco al pensiero. Che figura farei...

Ma quel momento di pace svanì in un istante. Dall'altra parte della stanza, mia madre iniziò a lanciare oggetti, prima piccoli, poi sempre più grandi, contro le pareti e sul pavimento. Il rumore era assordante, rimbombava nelle stanze vuote, mescolandosi alle sue urla stridenti che facevano vibrare l'aria.

"IVY, CORRI QUIIII!" urlò con una voce così rauca e distorta che quasi non la riconoscevo più. Sentii il mio cuore fermarsi per un secondo, poi mi precipitai da lei.

Appena la vidi, mi bloccai per un istante. La sua figura era irriconoscibile, persino peggio di quanto ricordassi. I suoi capelli arruffati le cadevano sul viso, gli occhi rossi e gonfi pieni di rabbia, e il suo corpo barcollava come se fosse sul punto di crollare. Strillava come una belva, lanciando tutto ciò che trovava a portata di mano: bottiglie vuote, libri, vestiti. Ogni rumore sembrava esplodere nella stanza, e l'odore di alcol era così forte da farmi girare la testa.

"LE BIRRE! DOVE SONO LE BIRRE?!" urlò ancora, con un tono disperato e furioso. "LE HAI NASCOSTE, VERO? STREGHETTA!"

Il suono della sua voce mi trapassava come un coltello, e io mi sentivo impotente, paralizzata dalla paura. Non c’era traccia della donna che conoscevo, quella che un tempo mi aveva cullato tra le braccia. Ora era solo una figura oscura, consumata dall'alcol e dalla rabbia.

In pochi istanti, mia madre si avvicinò a me con passi vacillanti, gli occhi iniettati di odio. Mi afferrò per il colletto della mia piccola camicetta a righe blu, strattonandomi con forza. Sentii il tessuto stringersi intorno al collo e il panico mi invase.

"DAMMI DA BERE, ORA!" urlò, sputandomi addosso le parole, con il viso a pochi centimetri dal mio. Il suo respiro puzzava di alcool stantio e rabbia. "O TI FARÒ MOLTO MALE!"

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