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⟪💿 Тёмная ночь   Mark Bernes 💿⟫

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‖ 𝐍𝐞𝐰 𝐄𝐧𝐭𝐫𝐲 👤‖ ‖ 𝐃𝐞𝐞𝐩 𝐌𝐞𝐦𝐨𝐫𝐢𝐞𝐬 🕰️ ‖ ‖ 𝐏𝐨𝐢𝐧𝐭 𝐎𝐟 𝐕𝐢𝐞𝐰 🔄‖
‖ 𝐍𝐨𝐢𝐬𝐞𝐥𝐞𝐬𝐬 𝐓𝐞𝐧𝐬𝐢𝐨𝐧 🎯‖ ‖ 𝐁𝐫𝐮𝐭𝐚𝐥 🩸‖

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👀 𝐍𝐎𝐓𝐀 𝐁𝐄𝐍𝐄 : Il simbolo ⟪?⟫ in questo capitolo di transizione indica un passato/presente/futuro imprecisato, parallelo alla linea degli eventi della storia principale. I personaggi potrebbero essere gli stessi. Auguro buon lavoro di approfondimento.

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‖ 𝐀𝐧𝐨𝐭𝐡𝐞𝐫 🎲‖
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«𝒩𝒾𝓍 𝒶𝓁𝓉𝒶 𝒾𝒶𝒸𝑒𝓉»

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‖ 𝐀𝐧𝐨𝐭𝐡𝐞𝐫 🎲‖


23 Novembre 1991
Новосибирск
(Ленинский район)

Novosibirsk (Distretto di Lenin)


Il vento colpiva i parabrezza delle macchine e la statua di Lenin non si riconosceva più sotto gli strati di neve. Una ragazza, sotto la tettoia della fermata del tram, prese dalla tasca una sigaretta e la accese. Nonostante indossasse una puffer jacket¹ imbottita, sentiva molto freddo. Quando apriva la bocca, espirava il fumo e al contempo le si ghiacciava la gola. 

«Чёрт» imprecò con voce roca. «La nonna mi aveva detto di vestirmi meglio».

La ragazza mostrava una ventina d'anni. Aveva i capelli corti al collo e mossi come quelli dell'attrice Anna Samokhina in "Kardinal'shchik". Il trucco le aveva allungato le ciglia e il naso che usciva dall'ampio collo in lana era arrossato dal freddo. Ai piedi teneva degli stivaletti di pelle nera. Nel complesso la sua figura, schiacciata sui vetri del tram e abbandonata al movimento, imbacuccata in quel lungo vestito, era piccola e graziosa. 

Scese al capolinea, vicino al Teatro dell'opera. Anche le colonne squadrate dell'edificio erano ricoperte di neve, così come le panchine e i marciapiedi: i pochi passanti camminavano a testa bassa, attenti a non scivolare. La ragazza si diresse in una delle vecchie abitazioni che circondavano la piazza. Salì le ripide scale fino ad arrivare davanti ad una porticina verde, rovinata dal tempo. 

«Lev!» chiamò, bussando. «Sono arrivata».

Qualcuno da dentro gridò di entrare. La ragazza si abbassò e aprì la porticina. L'appartamento era piccolo e vecchio, fatto solo di un salotto e un bagno non murato. Faceva freddo e non c'era il camino. Quando la ragazza si accorse che le finestre erano spalancate, imprecò. «Lo sai che odio il freddo, Lev. Per favore, chiudile».

Lev era al centro della stanza, accovacciato. Stringeva con forza le braccia di un altro ragazzo, immobilizzandolo sulle assi di legno del pavimento. «Ti sembra il momento?» le chiese, con una smorfia.

La ragazza serrò le labbra. Si sfilò gli stivaletti e li lasciò vicino alla porta, poi avanzò verso i due tenendo le mani nelle tasche per scaldarsi.

Lev continuava a trattenere l'avversario con una stretta feroce. Il suo viso era una maschera di pietra, le sue nocche si erano sbiancate dallo sforzo. Quando la ragazza si inginocchiò accanto alla vittima, Lev guardò entrambi con un lampo di soddisfazione.

«Allora, sei pronta?» chiese, mentre il ragazzo immobilizzato sotto di lui emetteva gemiti di dolore.

La ragazza annuì lentamente, distogliendo lo sguardo per un istante. Poi, senza una parola, tirò fuori dalla tasca della puffer jacket uno stiletto d'argento: cavò gli occhi a Lev, gli penetrò con lo stiletto in bocca, gli ruppe la mandibola, gli fracassò il retro del cranio. Lev cadde in uno schizzo di sangue sulle assi del pavimento. 

Il ragazzo, inorridito, si liberò dalla stretta del morto e cercò di scappare.

Rapida, la ragazza gli diede un calcio allo stomaco e lo fece cadere, quindi prese dalla tasca una Makarov¹ e puntò il silenziatore verso la sua testa. Ansimava. «Cosa sai di me?» chiese.

«Nulla, io non so nulla» rispose lui, coprendosi il volto schizzato. 

La ragazza inspirò, quindi guardò il corpo mutilato di Lev. Era molto stanca e aveva freddo, soprattutto. Abbassò l'arma caricata e cercò di sorridere. «Non è vero» disse, sedendosi di fronte al ragazzo. «Non è vero perché in tal caso non saremmo qui e io non avrei commesso un gesto del genere. Ho dovuto uccidere un mio compagno per salvarti e capire cosa sai. Per favore, rispondimi. Sono stanca» disse, accavallando le gambe. «E ho freddo. Chiudi le finestre e parliamone».

Il ragazzo rimase accasciato sul pavimento. Fuori era scesa la notte e non aveva ancora smesso di nevicare.

«Io sono un Occhio» esordì allora la ragazza, alzandosi la frangia per mostrare la fronte. Su di essa, era impressa come a fuoco un'iride nera con tre ciglia. «Aleksei, hai già visto questo marchio, vero? Dimmi dove e ti lascio andare».

Aleksei fissava il corpo di Lev, paralizzato. Pronunciare il suo nome non aveva sortito alcun effetto. «No» disse in un rantolio. «Io non su nulla».

La ragazza piegò la testa di lato e prese dalla tasca una tavoletta di pastiglie bianche. Ne ingoiò due senza acqua e poi si accese una sigaretta. «Hai mai fatto l'amore, Aleksei?» chiese, massaggiandosi le tempie. «È una cosa che ti svuota, ti stanca, credimi. Diventi un animale e non capisci più nulla» la ragazza buttò il mozzicone di sigaretta sul petto di Lev. «Ieri ho fatto l'amore con lui. Con Lev, intendo. Mi ha promesso che oggi ti avremmo ucciso e che avremmo scontato la nostra punizione. E c'eravamo quasi, devo ammettere. Mancava poco».

Una folata di vento entrò dalla porticina aperta, sulla quale si era affacciata una vecchia signora imbacuccata. Si teneva in piedi con un bastone ricurvo e guardava il corpo dilaniato di Lev nella pozza di sangue.

La ragazza fece una smorfia e imprecò a bassa voce. «Aleksei, ti ordino di rispondermi» disse, ma questo si era accasciato sul pavimento e aveva iniziato a piangere. 

«Чёрт» imprecò allora lei, scoprendosi il marchio dell'occhio per poi scuotere la testa, sparare al corpo in spasmi di Aleksei, ricaricare l'arma per due volte, sparare di nuovo e, rivolgendo ai due morti un ultimo sguardo, scappare via. La ragazza spinse la vecchia verso il muro e scese le scale con il volto coperto dal cappuccio. Buttò in strada sia lo stiletto sia la pistola, che affondarono in un'angolo di neve e fango, e si allontanò a grandi passi dal Teatro dell'opera.

Salì sul tram e si sedette sull'unico posto libero. Di fianco, un uomo leggeva un giornale. Aveva degli occhiali Pince-nez e quando parlò la ragazza ebbe un sussulto. Il suo russo, dal timbro un po' nasale, aveva un forte accento francese.

«Mademoiselle, lei ha appena ucciso qualcuno, non è vero?».


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¹Makarov pistola semiautomatica sovietica progettata negli anni '50, camerata per il calibro 9x18 mm Makarov. È compatta, lunga circa 16 cm e pesa circa 800 grammi, con un caricatore da 8 colpi. È nota per la sua affidabilità e facilità d'uso.

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𝐂𝐇𝐀𝐒𝐈𝐍𝐆 𝘵𝘩𝘦 𝐒𝐔𝐍𝐒𝐄𝐓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora