18- "Sei una di noi"

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Tu rimani in silenzio, lo sguardo impassibile. Le forbicine che hai usato contro i bulli della scuola sono ancora nella tua tasca, e la tua mente è ancora annebbiata dal ricordo di quella sensazione di potere. Non sai bene cosa stai cercando in quello sguardo, forse una giustificazione, forse la libertà di continuare per la tua strada senza sensi di colpa.

Alla fine, Jane fa un passo avanti, con cautela, le mani leggermente alzate in segno di pace. “So che sei arrabbiata,” sussurra. “E so che non ti senti capita. Ma non devi fare tutto questo da sola.”

Ancora una volta, il silenzio è la tua unica risposta. Il suo volto si incupisce leggermente, ma non cede. “Non importa cosa sia successo, o cosa hai fatto. Sei ancora una di noi.”

La tua mascella si serra, ma non riesci a sostenere il suo sguardo. Le sue parole fanno breccia, anche se non vorresti ammetterlo. Quella parte di te che si sente persa, sola, si aggrappa a quel barlume di accettazione, ma il fuoco della rabbia è ancora lì, troppo vivo per spegnersi così facilmente.

Senza un’altra parola, ti volti, decisa a non lasciare che qualcuno, neanche Jane, ti riporti indietro. Con uno scatto rapido, inizi a camminare fuori dal vicolo, lasciando Jane lì, sola, ancora una volta con la tua ombra che scompare nella notte.

Lei non tenta di fermarti. Rimane a guardarti andare via, il cuore pesante, ma la determinazione nei suoi occhi è più forte che mai.

Ti fermi all’angolo della strada, la schiena appoggiata contro il freddo muro del vicolo. L’adrenalina comincia a svanire, e rimani sola con le parole di Jane che risuonano nella tua mente. Hai cercato di ignorarle, di spingerle via, di continuare a camminare come se niente potesse scalfirti. Eppure, quelle parole rimangono, si aggrovigliano dentro di te come spine.

La rabbia ti attraversa le vene, una fiamma impossibile da spegnere. Gli occhi ti bruciano, un calore sordo che cerca di liberarsi in qualche modo, ma non puoi, non vuoi cedere. Trattieni il fiato, serri la mascella, e provi a pensare a qualcos’altro, qualsiasi cosa, purché non sia quella sensazione che sembra voler traboccare.

Stringi i pugni, le unghie che scavano nei palmi, una pressione costante per mantenere il controllo. Senti il mondo intorno a te farsi più distante, come se fossi avvolta in una nebbia. L’eco della tua rabbia ti satura la mente, rendendoti difficile respirare. Ti dici che non hai bisogno di loro, che stai bene da sola. Ma non riesci a scacciare quel peso nel petto, un dolore che pulsa a ritmo lento, insidioso.

Una lacrima ti scivola involontariamente giù per la guancia, bruciante e amara. La cancelli in fretta, quasi con rabbia, come se rifiutassi di riconoscerla. Nessuno dovrebbe vederti così, fragile, nemmeno tu stessa.

Jane torna alla creepyhouse con il cuore pesante, i passi lenti e stanchi. Ogni metro percorso la avvicina alla casa, ma il suo pensiero è ancora fisso su di te. Ti aveva trovata, ti aveva guardata negli occhi, eppure sembrava di non averti raggiunta affatto. Le tue parole, o meglio il tuo silenzio, le sono rimasti impressi come spine.

Raggiunge il vialetto davanti alla creepyhouse e si ferma un istante, tirando un respiro profondo. Il cielo sopra di lei è nero, immobile, quasi a riflettere il suo stato d’animo. Un nodo le stringe la gola, e si rende conto di avere gli occhi lucidi. “Dannazione, T/N,” sussurra a denti stretti, come se potesse parlarti anche se sei lontana.

Sente un’ondata di rabbia mischiata a delusione. L’aveva ferita vedere il modo in cui l’avevi ignorata, la freddezza nei tuoi occhi, quel muro impenetrabile che hai alzato per tenerla fuori. Jane stringe i pugni, le unghie che premono contro i palmi, e trattiene le lacrime che minacciano di scendere. Non vuole ammettere quanto le faccia male vederti così, persa in quella spirale che sembra allontanarti sempre più.

Quando finalmente entra, cerca di mascherare la propria stanchezza, ma non può nascondere del tutto la tensione nei suoi movimenti. Slenderman è assente, e in qualche modo Jane si sente sollevata; non vuole affrontare le sue domande, non ancora. Incrocia Jeff nel corridoio, ma lo ignora, ignorando anche il suo sguardo curioso e sprezzante. Senza una parola, si rifugia nella propria stanza e chiude la porta dietro di sé, poggiando la schiena contro il legno freddo.

Sospira, lo sguardo fisso nel vuoto, e si accorge che la rabbia non si è placata. “Cosa ti sta succedendo...T/N...” mormora piano. Non può fare altro che sperare che tu riesca a capire, a trovare il modo di tornare.

Sono diventata una creepypastaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora