19- "Adesso basta"

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Ti aggiri per le strade della città come una presenza oscura, invisibile e letale. I lampioni gettano una luce fioca sui marciapiedi, le ombre lunghe danzano sul cemento, e il silenzio notturno è rotto solo dai tuoi passi decisi, dal battito del cuore che, freddo e costante, scandisce il ritmo della tua missione. È come se ci fosse un fuoco, una fiamma divorante che ti spinge ad avanzare, a cercare chi ha scelto di calpestare l’umanità e abbracciare il lato più oscuro. Hai smesso di riflettere, di analizzare; segui solo un istinto, uno scopo che non sai spiegare, ma che senti pulsare forte e chiaro.

Nel buio di un vicolo, noti il primo: un uomo con il viso sfatto, una bottiglia in mano, gli occhi iniettati di sangue e persi nel vuoto. Lo osservi per un attimo, lo senti, e qualcosa nel suo modo di muoversi ti suggerisce che non è solo uno sbandato, ma qualcuno che ha deciso di approfittarsi degli altri, di calpestare chiunque si metta sulla sua strada. Ti avvicini lentamente, il cuore batte più forte ma i tuoi movimenti sono leggeri, silenziosi. L’uomo non si accorge di nulla finché non è troppo tardi. Con un gesto rapido e letale, gli afferri la gola e stringi con forza, lasciando che il panico gli dipinga il volto mentre tenta invano di liberarsi dalla tua stretta. I suoi occhi si spalancano, e un muto grido di terrore gli si spegne tra le labbra prima che possa fuggire.

Lo lasci cadere a terra, il corpo che scivola inerme nel buio. Ti senti stranamente soddisfatta, e continui a camminare, lasciandoti alle spalle quel vicolo e quella vita appena spezzata. Ma la tua missione è lontana dall’essere conclusa. Procedi, avanzando nei quartieri più malfamati, cercando nuove prede, nuove prove del fatto che sei diventata qualcosa di più di una ragazza qualunque.

In un altro vicolo, noti due figure che stanno discutendo animatamente, le voci alterate e un sacchetto pieno di polvere bianca che brilla alla luce intermittente del neon di un’insegna. Uno dei due alza il pugno, minaccioso, ma prima che possa colpire l’altro, sei già su di lui. Senza esitazione, lo colpisci con un tubo arrugginito trovato a terra, dritto sulla tempia. Il suono sordo dell’impatto riecheggia nel vicolo mentre l’uomo crolla, svenuto o morto, non ti interessa saperlo. Il suo complice, paralizzato dalla paura, non riesce a reagire mentre ti avvicini a lui con uno sguardo freddo e deciso. Prima che possa scappare, lo afferri e con un gesto violento gli torci il braccio fino a spezzarglielo. Le sue grida risuonano nella notte, ma sei già sparita prima che qualcuno possa intervenire.

Prosegui, lasciando dietro di te una scia di corpi e di vite spezzate, come un angelo vendicatore che purifica la città dai suoi peccati. Ogni volto che incontri, ogni preda che identifichi, sembra un altro tassello che si incastra perfettamente nel quadro oscuro che stai dipingendo. Ti muovi come un’ombra tra gli edifici, silenziosa e letale, guidata da un istinto che non sai spiegare, ma che sembra impossibile da ignorare.

E poi, mentre il tuo sguardo si sposta su un’altra figura nel buio, qualcosa di diverso accade. Vedi un piccolo corpo rannicchiato, una figura fragile nascosta tra due bidoni della spazzatura. È solo, impaurito, e nel buio sembra quasi indistinguibile. La tua mente, offuscata dall'adrenalina e dalla furia, non distingue subito la realtà. Ti avvicini come hai fatto con tutti gli altri, la tua mente cerca giustificazioni, si convince che anche lui, come gli altri, sia colpevole. Prima ancora di rendertene conto, afferri il piccolo collo e stringi, ripetendo il gesto con una freddezza meccanica, il viso che ti si scolora nella consapevolezza.

Ma è quando senti quel piccolo corpo debole e fragile tra le tue mani che capisci. La morsa si allenta, e per la prima volta nella notte, un’ombra di esitazione si dipinge sul tuo volto. L’innocenza di quegli occhi ti paralizza, la sua espressione terrorizzata ti trapassa come una lama affilata. Lasci la presa, il cuore che batte all’impazzata mentre ti rendi conto, con orrore, di cosa hai fatto.

Il bambino crolla a terra, e rimani a fissarlo, immobilizzata dal peso di ciò che hai compiuto. Non era come gli altri, non meritava di finire in quel modo. Un senso di colpa ti travolge, opprimente, e per un lungo istante non riesci a muoverti. La rabbia, che fino a poco fa ardeva così viva dentro di te, si spegne di colpo, lasciando solo un vuoto devastante.

Ti abbassi, quasi a volerti assicurare che stia ancora respirando, ma il corpo è immobile, silenzioso. Un tremito ti attraversa e fai un passo indietro, incapace di sostenere quella visione. Una parte di te vorrebbe gridare, sfogare il dolore e la colpa, ma non trovi la forza. Respiri a fatica, gli occhi fissi su quel piccolo volto innocente, e senti il mondo intorno a te diventare freddo e silenzioso.

Infine, senza una meta precisa, ti allontani. Ogni passo sembra più pesante del precedente, come se il terreno ti inghiottisse, come se l’oscurità stessa cercasse di risucchiarti.

Sono diventata una creepypastaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora