𝐂𝐀𝐏𝐈𝐓𝐎𝐋𝐎 𝟐𝟔

4 1 0
                                    

ARCHER

Mi lasciai cadere sul divano, il cellulare stretto in mano, perso nella mia app di musica preferita. Con il dito, scorrevo tra playlist e brani sul touch screen . Alcuni erano pezzi che conoscevo a memoria, mentre altri, i miei, mi sfidavano ancora con ogni ascolto, come se ogni nota avesse qualcosa di nuovo da dire. Stavo per premere play su una traccia, quando uno scricchiolio interruppe il flusso dei miei pensieri. Alzai lo sguardo verso le scale.

Skye stava scendendo i gradini in silenzio, il viso ombrato da un'espressione assorta, quasi inquieta. «Tutto bene?» le chiesi, cercando il suo sguardo per capire se la mia era solo un'impressione o se si fosse improvvisamente incazzata per qualcosa.

Lei sospirò, e fu come se quel semplice respiro le bastò per portare via una parte della sua tensione. «Sì, ho solo rotto una cosa per sbaglio» I suoi passi si fecero più lenti mentre si avvicinava al divano, gli occhi che evitavano di incrociare i miei. Si lasciò cadere accanto a me, spingendo via Gaia che, nonostante lo spostamento, rimase avvolta in un sonno profondo, la bocca aperta e le piccole mani chiuse a pugno. Era incredibile quanto pesante fosse il sonno dei bambini, come se nulla al mondo potesse turbarli.

«Qualcosa di importante?» le chiesi, soppesando le parole. Non volevo sembrare troppo invadente, ma allo stesso tempo mi preoccupava vederla così.

Skye mi guardò, i suoi occhi per un attimo persi altrove. «Diciamo di sì, ma verrà riparata prima che mamma se ne accorga». C'era una punta di sfida nella sua voce, come se stesse cercando di convincere anche se stessa. Poi, abbassando lo sguardo, aggiunse a mezza voce, quasi come un pensiero che le era sfuggito: «...o almeno lo spero.»

Volevo dirle che andava tutto bene, che avrei fatto qualsiasi cosa per aiutarla a risolvere qualsiasi problema, ma mi limitai a darle una piccola spintarella sulla spalla, un gesto che era tanto familiare quanto rassicurante. «Se ti serve una mano, sai dove trovarmi.»

Poi infilai una mano nel taschino e tirai fuori le cuffiette. Gliene passai una con un sorriso. «Ho scritto una nuova traccia. Mi dai un parere?»

In famiglia, Skye era l'unica che ascoltasse davvero quello che componevo. Non si limitava a dirmi "carino" o a fare un cenno distratto come nostro padre, né a criticare le mie scelte come faceva mamma, che considerava la mia passione una perdita di tempo. Skye invece ci credeva, ci credeva come ci credevo io, e questo faceva tutta la differenza. Era lei la prima a cui volevo far ascoltare ogni nuova melodia, la prima a cui mostravo quelle tracce che parlavano di me, anche se a volte non avevo il coraggio di ammetterlo.

La osservai infilarsi l'auricolare, e con un respiro profondo avviai la canzone. Ogni singola nota era un frammento della mia anima, qualcosa che non sapevo come spiegare con le parole, ma che speravo potesse trovare significato nelle sue orecchie. "Fade" era il nome della canzone, e rappresentava qualcosa di difficile da descrivere, da confessare.

Guardai la sua espressione, attento a ogni lieve movimento delle sue labbra, a ogni impercettibile cambio nel suo sguardo. Avevo passato due settimane a scrivere quelle barre, a cercare di renderle perfette, a trasmettere qualcosa di me che non potevo esprimere in altro modo. Mentre lei ascoltava, mi trovai a chiedermi se avrebbe colto quelle sfumature, se avrebbe sentito l'eco delle mie paure e delle mie speranze che avevo cercato di nascondere tra le note.

Una volta che la canzone fu finita, Skye si voltò verso di me, e nel suo sguardo vidi qualcosa di più che semplice apprezzamento. I suoi occhi brillavano, e per un attimo non disse nulla. Poi sorrise, il suo viso si addolcì, e senza esitazione mi abbracciò. «È bellissima, Arch» mormorò contro la mia spalla.

Sentii il calore del suo abbraccio attraversarmi come una scossa, sciogliendo quel nodo che tenevo stretto nel petto. La strinsi a mia volta, lasciandomi andare per un attimo. Respirai a fondo. Skye era l'unica persona al mondo che riuscisse a farmi sentire visto, capito. E in quel momento, mentre mi teneva, sembrava credere in me con una certezza che non avevo mai osato avere.

«Ricordati di me quando diventerai famoso» disse con una risata, cercando di sdrammatizzare quel momento intenso. Si stacco da me con una spinta scherzosa, gli occhi leggermente lucidi. Cazzo, non emozionarti stupida di una sorella! Pensai mentre sentivo il groppo salire in gola. Quasi mi venne da piangere.

«Se diventerò famoso» mormorai, cercando di dissimulare il tremolio nella voce. «Ho ancora molto da imparare».

Ma lei mi guardava con la stessa espressione sicura di sempre. «Credimi, ce la farai». La sua voce era dolce e ogni parola che pronunciava sembrava una promessa. «E ora voglio la mia copia» aggiunse, allungando la mano con finta impazienza. «Mandamela sul telefono, immediatamente!»

Sorrisi, sentendo una piccola fiammella accendersi dentro di me, un residuo di quella passione che credevo stesse scomparendo lentamente sotto il peso della mia vita. Forse non avevo più la band, e forse mi sentivo ancora invisibile, ma almeno c'era qualcuno che mi ascoltava, qualcuno che mi vedeva.

«Te la mando subito!»

Storm-Bound VeinsWhere stories live. Discover now