45.Gabriel

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Le parole di Amanda mi rimbombavano in testa come un eco assordante. Era tutta una bugia. Opera di quello stronzo per dividerci. Sofia aveva accettato di lasciarmi andare solo per salvarmi la vita, e io, come un vero coglione, ci ero cascato. Avevo dovuto indagare di più, sapevo che poteva essere falso.
Poi quelle ultime parole, il bambino. Cazzo! Mi tirai i capelli, disperato, mentre vedevo l'auto di Sofia sfrecciare via. Non potevo lasciarla andare così. Saltai nella mia macchina e la seguii fino all'ospedale.
Parcheggiai di fretta, correndo verso di lei. La trovai appena scesa dalla macchina, con lo sguardo duro, ma le guance rigate dalle lacrime.
"Sofia, ti prego, parliamo. Non potevo saperlo, mi dispiace. Non volevo ferirti." Cercai di avvicinarmi, ma lei alzò una mano per fermarmi.
"Non è quello che hai detto, Gabriel." La sua voce tremava, ma i suoi occhi erano fissi nei miei, pieni di delusione. "Come hai potuto anche solo dubitare che questo bambino fosse tuo? Hai davvero pensato che io potessi andare con qualcuno che non fossi tu? Questo mi fa più male di ogni parola che tu abbia detto per rabbia."
Abbassai lo sguardo, sentendomi uno schifo. "Hai ragione, hai tutte le ragioni di essere arrabbiata. Ma voglio esserci per questa visita. Ti prego, lasciami venire con te."
Mi guardò per un attimo, esitando, poi annuì lentamente. "Va bene."
Seguimmo insieme il corridoio dell'ospedale in silenzio. Ogni passo era pesante, e l'atmosfera tesa ci avvolgeva come una nube. Lei camminava davanti a me, rigida, e io non riuscivo a smettere di guardarle la schiena, cercando di capire come rimediare a tutto.
Entrammo nella sala d'attesa del reparto maternità, e Sofia si sedette senza dire nulla. Rimasi in piedi accanto a lei, le mani nei capelli, cercando di riordinare i pensieri. Quando chiamarono il suo nome, si alzò senza guardarmi, ma io le fui accanto.
Il medico, un uomo sulla cinquantina con un sorriso gentile, ci fece accomodare nella stanza. "Buongiorno, signora García" disse il dottor Harris.
"Immagino siate qui per un controllo di routine e per scoprire il sesso, giusto?"
Sofia annuì, stendendosi sul lettino. Io rimasi in piedi accanto a lei, incerto sul da farsi.
"Vuole che inizi?" domandò il medico, guardandola.
"Sì," rispose lei, la voce quasi un sussurro.
Il dottore prese il gel e lo applicò sulla sua pancia, mentre io trattenevo il fiato. Quando accese il monitor, il suono del battito cardiaco invase la stanza.
Era forte, rapido, e mi colpì come un pugno allo stomaco.
"Eccolo qui," disse il medico sorridendo, indicando lo schermo. "Un cuore che batte forte. Tutto sembra perfetto.Qui c'è il sesso del bambino." Ci porse una lettera bianca. Che avremmo dato ad Amanda per la festa.
Guardai Sofia. I suoi occhi erano fissi sul monitor, ma una lacrima le scivolò sul viso. Mi chinai verso di lei, prendendole la mano.
"Mi dispiace..." le sussurrai.
Lei non rispose, ma non ritrasse la mano. Per me, quello bastava.

"Perfetto, la prossima visita è tra qualche mese." Disse il dottore, porgendo un fazzoletto a Sofia per pulirsi il ventre. Il gel freddo le copriva ancora la pelle, e il battito del cuore del nostro bambino mi risuonava nelle orecchie, come un'eco che non volevo smettere di ascoltare.
Quando il medico se ne andò, lasciandoci un po' di privacy, mi avvicinai a lei.
"Faccio io." dissi piano, prendendo altri fogli di carta. Mi sedetti accanto al lettino e, con movimenti lenti, le pulii il ventre, cercando di essere delicato. Poi, senza pensarci troppo, lasciai un leggero bacio sulla sua pelle. Lei non disse nulla, ma vidi i suoi occhi riempirsi di emozione.
Uscimmo dalla stanza, mano nella mano, e trovammo Amanda ad aspettarci nel corridoio.
"Allora? Come sta il piccolo?" domandò, visibilmente sollevata.
"Molto bene, ha un cuore forte." disse Sofia, finalmente sorridendo.
"Perfetto. Voi andate pure, io riporto a casa la tua auto," aggiunse Amanda. Annuii, prendendo Sofia per mano, e ci dirigemmo verso la mia macchina.

Nel tragitto, il silenzio tra noi era carico di parole non dette. Quando fummo in macchina, girai appena il viso verso di lei.
"Perché non mi hai parlato della minaccia?" le chiesi, cercando di contenere la frustrazione. "Sai che posso badare a me stesso."
"Ah sì? Ti avrebbe ucciso, Gabriel!" rispose, guardandomi con occhi pieni di dolore. "Avevi un puntino rosso puntato al cuore quel giorno. Non potevo rischiare. Dovevo fare qualcosa per salvarti."
"Non capisci? Non posso accettare che tu metta a rischio te stessa per me." dissi, con la voce che tremava per l'emozione.
"Per adesso dobbiamo stare lontani." aggiunse, abbassando lo sguardo. "Non posso rischiare che ti succeda qualcosa. Non posso perderti."
La guardai a lungo, il cuore stretto in una morsa. Nonostante tutto, non potevo fare a meno di amarla ancora di più. Mi avvicinai al suo viso, cercando i suoi occhi.
"Mi perdoni almeno?" domandai, facendo una smorfia da cucciolo sperando di strapparle un sorriso.
Vidi le sue labbra tremare, come se volesse trattenere una risata. Alla fine, cedette.
"Eh va bene." disse con un tono arrendevole, prima di avvicinarsi e baciarmi con una passione che sembrava gridare tutto ciò che non poteva dire a parole. Mi baciava come se ne avesse bisogno, come se fosse l'unico modo per respirare.
Poi, improvvisamente, mi diede uno schiaffo sul petto.
"Dubita ancora di questo bambino e sarò io ad ucciderti," disse con uno sguardo serio.
"Mai più, amore mio." risposi con un sorriso sincero, prima di baciarla di nuovo.
Tornammo ,ognuno alle case proprie,con un peso nel cuore. Decidemmo di rimanere separati per il momento: doveva sembrare che ci fossimo lasciati. Dovevamo proteggere il nostro bambino, e lei aveva ragione, qualcuno ci stava osservando. Quel bastardo non avrebbe avuto la meglio su di noi.
Ma non sarei rimasto con le mani in mano. Avevo bisogno di scoprire chi fosse e dove si nascondeva. E avrei fatto qualsiasi cosa per proteggere la mia famiglia.

Quella sera, rimasi a fissare il soffitto della mia stanza per ore. Il pensiero di Sofia, sola in quella casa, sapendo che stava affrontando tutto questo per salvare me e il nostro bambino, mi divorava dall'interno. Non potevo accettarlo.
Presi il telefono e chiamai Theo. Da poco anche lui si era trasferito a New York. Insieme a Jason.
"Ho bisogno del tuo aiuto." dissi senza preamboli.
"Di che si tratta?" rispose, la sua voce subito seria.
"C'è qualcuno che ci sta minacciando. Non ho intenzione di aspettare che faccia la sua prossima mossa."
Theo rimase in silenzio per un momento, poi disse: "Ci vediamo al solito posto."
Il solito posto era un vecchio magazzino abbandonato che avevamo usato per anni come rifugio. Non era niente di speciale: muri scrostati, un tavolo traballante e qualche sedia rotta. Ma per noi era sicuro.

Theo era già lì quando arrivai. Mi aspettava seduto al tavolo, con una cartina aperta e un laptop acceso.
"Raccontami tutto." disse senza perdere tempo.
Gli spiegai quello che sapevo: la minaccia ricevuta da Sofia,del suo rapimento , dei suoi genitori e il puntino rosso sul mio cuore, il fatto che qualcuno ci stesse osservando.
"Questo Alex sa troppo di noi." dissi, cercando di mantenere la calma. Theo annuì, concentrato. "Dobbiamo scoprire dove si nasconde."
Theo iniziò a digitare velocemente sul laptop. "Potrei iniziare con una ricerca sui tuoi vecchi casi legali.Hai detto che c'entra pure Travor giusto? Gli hai pestato i piedi riguardo al tuo lavoro non so."
"Nel mio lavoro pestare i piedi è inevitabile."risposi con un mezzo sorriso amaro. "Soprattutto se c'entra Sofia con lui. L'ha sempre tormentata e l'ha quasi fatta violentare." Aggiunsi stringendo i denti dal nervoso.

Passammo ore a scavare, ma non trovammo nulla di concreto. Alla fine, Theo si appoggiò allo schienale della sedia, visibilmente stanco. "Potremmo avere bisogno di un aiuto più... diretto. Hai pensato a coinvolgere Amanda?"
"Amanda?"
"Sì, è la tua persona di fiducia. Inoltre, è molto più vicina a Sofia. Potrebbe notare dettagli che a noi sfuggono."
Ci pensai su. Coinvolgere Amanda significava esporla a un pericolo maggiore, ma era vero: lei era l'unica altra persona di cui mi fidavo ciecamente.
"Va bene," dissi alla fine. "Parlerò con lei domani."

La mattina seguente, mi svegliai presto e mi recai verso casa nostra. Appena entrai vidi Amanda seduta sul bancone mentre rideva con Sofia. Non avrei mai smesso di vedere come si divertivano insieme ed erano felici. Smise di sorridere appena Amanda mi vide sullo stipite della porta della cucina.
"Gabriel." disse con un sopracciglio alzato. "Che ci fai qui? Non dovreste vedervi, se volete che il piano funzioni."
"Abbiamo un problema," dissi, sedendomi accanto a lei.
Le spiegai tutto, di quello che avrebbe potuto fare per aiutarci. Amanda ascoltò in silenzio, il suo volto diventò sempre più serio.
"Ok," disse alla fine. "Farò tutto il possibile per proteggere Sofia e il bambino. Dimmi solo cosa devo fare."
"Devi essere i miei occhi e le mie orecchie," risposi. "Se noti qualcosa di strano, chiama immediatamente me o Theo."
Amanda annuì. "Puoi contare su di me." Salutai velocemente Sofia con un bacio e tornai nel motel in cui alloggiavo.

Mentre tornavo a casa, sentii un senso di sollievo mescolato all'ansia. Avevamo un piano, ma il pericolo era ancora lì, invisibile e pronto a colpire.
Guardai una vecchia foto di me e Sofia che tenevo nel portafoglio. Mi feci una promessa: avrei trovato il nascondiglio di quei bastardi , e li avrei fatti sparire dalla nostra vita. Non importa cosa avrei dovuto fare.

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