Capitolo 1

40 1 3
                                    

7 Febbraio 2006.
È una fredda giornata invernale, il cielo è cupo e le nuvole nere indicano solo una cosa: pioggia.
Sono le 6:30 del mattino e la sveglia suona. Odio quel bip fastidioso.
Mi alzo controvoglia dal letto dirigendomi in cucina con una coperta addosso. Prendo il latte dal frigorifero e lo metto a scaldare, prendo i cereali dallo scaffale e li immergo nel latte. Mescolo qualche secondo per farli ammorbidire e inizio a mangiarli. Mi dirigo poi in camera per vestirmi, mi lavo il viso e le mani, un filo di eyeliner e sono pronta.
Prendo la giacca e lo zaino prima di uscire e vado verso la fermata dell'autobus.
Una volta arrivata mi siedo sulla gelida panchina in attesa del veicolo a quattro ruote che mi porterà al mio inferno personale: il liceo.
L'autobus arriva ed è più pieno del solito, giusto per iniziare la giornata al meglio.
Un ragazzo che prima era seduto scende e io mi affretto a occupare il posto da lui lasciato libero. È vicino al finestrino, proprio come piace a me. Il veicolo parte e inizio a guardare tutto ciò che si trova oltre quel finestrino: gli alberi scuri, il fumo nero che esce dagli altri veicoli, ragazzi che si dirigono a scuola a piedi. Penso di essere fortunata a potermi permettere il pullman.
Giunta alla fermata alla quale devo scendere suono il campanello e l'autista si ferma. Con me scendono tanti altri ragazzi e alcuni di questi li conosco, chi più chi meno. Mi dirigo verso l'entrata e, dopo aver salito la prima rampa di scale, svolto a sinistra e mi ritrovo davanti alla porta della mia classe, chiusa come sempre. La apro e una mano mi tira dentro per poi richiuderla.
"Meredith! Devi bussare prima di entrare!"
I soliti simpaticoni.
Mi siedo sistemando le mie cose sul banco e attendo il suono della prima campanella.
Passano lentamente le prime tre ore: storia, italiano e matematica. Finalmente suona la tanto attesa campanella che indica l'inizio della ricreazione, tutti chiudono i libri ed escono dalla classe. Tutti tranne me e Mary, la mia compagna di banco.
"Dith, puoi darmi un attimo il quaderno di filosofia?"
"Sì, prendilo.. È il solito verde"
Non esco mai dalla classe senza Mary, siamo essenziali l'una per l'altra ma non siamo comunque migliori amiche. È più un amicizia con benefici. Diciamo che ci sfruttiamo a turni in base alle nostre necessità.
"Ho dimenticato la merenda.. Mi accompagni a prenderla?"
"Devo copiare due esercizi interi.. Vai da sola"
Faccio una faccia delusa. Non sarei mai andata senza di lei.
"Allora? Non vai?" mi chiede Mary.
Sospiro e mi decido ad uscire dalla classe da sola. Cosa potrebbe succedermi, dopotutto? Forse sembra un atteggiamento infantile ma ho paura perfino della mia ombra, figuriamoci ad andare in giro da sola per un edificio così grande. Non ho paura di perdermi, semplicemente mi turba il fatto che gli altri possano etichettarmi come sfigata perché sono sola. Chiunque frequenta questa scuola mi vede solo ed esclusivamente con Mary e se adesso andassi da sola scoppierebbero pettegolezzi del tipo "Le incollate hanno litigato!". Già, siamo state soprannominate così perché se esistesse una colla in grado di attaccare due mani insieme probabilmente la useremmo. La mia grande paura è dunque quella di apparire debole di fronte a una scolaresca fatta di gruppi di tre, quattro, anche dieci persone. E io mi ritrovo a contare su un'unica persona, in parte però. A Mary non confesso i miei timori, le mie paure, la mia prima cotta, la mia ansia prima del saggio di pianoforte, non c'è nessuno a incitarmi durante le partite di pallavolo della scuola. È insopportabile quando tutti gridano nomi e fanno il tifo, e quando manca solo il tuo nome non lo senti comunque. Lo definisco "heartbreaking".
Dopo queste numerose riflessioni (o paranoie?) mi accorgo di essere arrivata dinanzi al distributore. Osservo oltre la vetrata: schiacciatine, patatine, merendine colme di cioccolato.. Cosa potrei prendere? Opto per le patatine, così inserisco la monetina e premo il numero corrispondente, ma non scende nulla. Dietro di me inizia a crearsi una piccola fila e i ragazzi più grandi si lamentano urlando. Mi giro e la prima cosa che vedo è un ragazzo che ride in lontananza con i suoi amici. Prendo coraggio e, lasciando perdere i centesimi sprecati, vado verso quel gruppetto di ragazzi.
"Ciao ragazzina, vuoi un prestito di cinquanta centesimi per le tue patatine?" disse il più alto di loro. Gli altri scoppiano in una fragorosa risata mentre io inizio a perdere la pazienza.
"Come se a te non si fosse mai bloccato il distributore" rispondo a tono.
"Nessuno si è mai lamentato dietro di me, o ha riso"
"Stai facendo un dramma inutile, ciao va" dico spazientita.
"Sei stata tu a venire qui, chi è che fa i drammi?" dice un ragazzo con la camicia blu.
"Lasciate perdere" risponde il terzo ragazzo del gruppetto. "Nessun distributore si è mai bloccato e nessuno ha mai riso. Fine" conclude.
Lo guardo con immensa gratitudine e filo in classe, notando che Mary non c'è. Chiudo la porta alle mie spalle e vado a sedermi, rimettendo il mio quaderno verde nello zaino, ma la porta si apre nuovamente.
"Meredith! Allora sei qui"
"Potrei dire la stessa cosa anch'io, Mary"
"Ti stavo cercando. È appena suonata la campanella, ci toccano altre due ore.."
"È il sette di febbraio, non possiamo mollare ora!" dico per incoraggiare sia me che la ragazza, ma rendendomi conto di non essere particolarmente motivata spero di avere almeno incoraggiato lei.
Le due ore passano relativamente in fretta e suonata l'ultima campanella tutti si sbrigano a uscire. Saluto la mia vicina di banco e corro alla fermata del pullman. Per fortuna non piove, altrimenti sarebbe stato un perfetto disastro: la fermata è stretta e le persone non sono poche. Mi sistemo sulla panchina per estrarre gli auricolari dalla tasca della giacca e quando alzo lo sguardo noto quel ragazzo che ha chiuso la questione a ricreazione, così corro verso di lui.
"Ehi!"
Il ragazzo si gira sorpreso e si ferma aspettando che lo raggiunga.
"Volevo ringraziarti per oggi"
"Non c'è di che" risponde in tono freddo e riprende a camminare per conto suo.
"Avrebbe potuto rispondere più gentilmente" penso fra me e me. Intanto il pullman è arrivato così mi affretto per non perderlo.

***

"Sono a casa!"
Nessuno risponde.
Vado in cucina e trovo un biglietto che leggo ad alta voce.
"Oggi non torno a pranzo per lavoro, ci sentiamo stasera. Se non trovi nulla da mangiare vai dalla nonna o al ristorantino self service qui vicino. Baci, mamma"
Mi tolgo lo zaino dalle spalle e lo butto a terra, liberandomi di un gran peso.
Ah, ancora non sapete nulla di me: mi chiamo Meredith Switz, ho sedici anni e sono in terza liceo scientifico. Sono figlia unica e vivo con mia madre dato che i miei genitori sono separati da ormai otto anni. Me la cavo a scuola, ho la media del 7 attualmente e non ho intenzione di migliorarla. Non ho particolari amicizie dal momento che io e la mia vicina di banco ci sfruttiamo a vicenda. Può sembrare un atteggiamento brutto ed egoista, ma quando non ti importa nulla della persona con cui hai questo tipo di rapporto ti senti comunque a posto con la coscienza. Un po' come il sesso senza amore. Adoro la pallavolo e sono nel team della scuola: abbiamo collezionato ben tre vittorie dall'inizio di quest'anno. Ah, una cosa importante: amo la musica. Suono il pianoforte da cinque anni e adoro il genere rock, punk e metal. Avete presente i Green Day? Quelli di Basket Case e American Idiot? Ecco, sono la mia band preferita. Ho la camera tappezzata di loro poster e non vedo l'ora di andare a un loro concerto.
Non avendo molta fame decido di saltare il pranzo e accendo la tv per poi sdraiarmi sul divano, cadendo in un sonno profondo.






[Salve a tutti! Contro le aspettative di tutti (le mie incluse) ho pubblicato il primo capitolo! È principalmente un susseguirsi di azioni ed è presente solo una riflessione (o paranoia?) perché rileggendo il capitolo mi sono accorta di aver scritto una sottospecie di verbale della polizia, così ho aggiunto una piccola parte introspettiva in modo che qualcuno possa confrontarsi con essa e perché no, rivedersi in essa.
Chiedo venia in anticipo per gli eventuali errori di ortografia, ho riletto più e più volte ma essendo l'una di notte gli occhi potrebbero tradirmi. Stessa cosa vale per periodi troppo lunghi o interruzioni troppo ravvicinate, io e le virgole siamo due rette parallele che non s'incontrano mai. Scusatemi anche per il "finale" secondo me brusco, ma non sapevo proprio come concludere.
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vi abbia incuriositi un minimo sulla storia! I prossimi conterranno più parti introspettive, cercherò di mettere in risalto al massimo le riflessioni di ogni personaggio.
Considerato l'orario, buona notte!]

Il Patto delle StelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora