Capitolo 22: Un respiro alla volta

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Le sirene dell'ambulanza risuonarono nell'aria, avvicinandosi sempre di più.

Greta rimase accanto a me, continuando a parlarmi sottovoce, come se ogni parola fosse una promessa di sicurezza.

La sua mano non lasciava la mia, stretta con tutta la forza che riusciva a trovare.

Quando l'ambulanza si fermò, i paramedici scesero in fretta e corsero verso di noi.

Uno di loro posò una mano sulla spalla di Greta, invitandola a fare spazio per permettere loro di avvicinarsi.

Lei esitò per un attimo, come se avesse paura di lasciarmi, ma alla fine si spostò di qualche passo, rimanendo comunque vicina.

-Stai con me, Dadda, sono qui- mi disse, il suo sguardo mai distolto dal mio mentre i paramedici iniziavano a visitarmi.

Sentivo la sua voce anche mentre loro mi parlavano, chiedendomi se riuscivo a rispondere, se sentivo dolore.

-Signora, dobbiamo trasportarlo subito in ospedale- uno dei paramedici le disse, con un tono fermo ma gentile.

Greta annuì, il viso segnato dalla preoccupazione, ma non si lasciava scoraggiare.

Mentre mi caricavano sulla barella, lei si avvicinò, prendendomi di nuovo la mano.

-Vengo con te- sussurrò, come se quelle parole fossero un giuramento.

Il paramedico le fece un cenno, permettendole di salire sull'ambulanza accanto a me.

Durante il tragitto verso l'ospedale, Greta non smise mai di parlarmi, raccontandomi frammenti di storie, piccoli ricordi che conoscevamo solo noi, cercando di distrarmi dal dolore.

Guardai il suo viso, il modo in cui mi fissava con quel misto di amore e preoccupazione, e trovai in quello sguardo la forza di resistere.

Ogni parola di Greta era come un anello di una catena che mi teneva ancorato, e capii che, finché ci sarebbe stata lei accanto a me, avrei trovato la forza per affrontare qualsiasi cosa.

L'ospedale era un mondo completamente diverso, tutto bianco e sterile, ma il mio cuore batteva forte, e l'unica cosa che riuscivo a sentire era il dolore di vedere Dadda così, vulnerabile e ferito.

Lo seguivo passo dopo passo mentre i paramedici lo portavano via, cercando di non farmi sopraffare dal terrore che mi stava invadendo.

Ogni battito del suo cuore, ogni respiro che faceva con difficoltà, sembrava un richiamo alla mia anima.

-Dadda...- sussurrai, ma la mia voce non era che un filo.

Non mi allontanai, nonostante tutto, nonostante la frenesia che ci circondava.

Lui aveva bisogno di me, e non avrei mai permesso che la paura mi distogliesse da quel compito.

Lo osservavo mentre lo sistemavano su un letto, le mani che tremavano, ma poi mi accorsi di quanto la sua presenza fosse ancora stabile, anche in un momento così critico.

C'era una forza in lui che mi dava speranza, come se il suo spirito combattivo non volesse arrendersi.

-Dadda, guardami-dissi, avvicinandomi lentamente al suo fianco.

-Non ti lascerò, non te ne vai. Resta con me, per favore...-

Le sue palpebre tremarono, ma non riusciva a rispondere subito.

Sentivo ogni battito del suo cuore come un richiamo, una preghiera silenziosa.

Con un gesto quasi impercettibile, la sua mano si mosse, cercando la mia.

Non lasciarmi quiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora