Una lieve pioggia scivolava sui vetri dell'elegante studio medico, lasciando piccole scie d'acqua che deformavano la vista della strada oltre le finestre. Dall'esterno, si percepivano gli effluvi dolci di una pasticceria vicina, un richiamo confortante in una mattinata altrimenti grigia. Dentro però, tra le luci artificiali di quelle quattro mura, la scena era ben diversa. Il dottore, seduto alla scrivania, osservava perplesso le analisi sullo schermo del suo computer. Aveva visionato i referti più e più volte, quasi sperando che il significato delle parole e dei numeri potessero cambiare all'improvviso. I valori tuttavia erano chiari e c'era rimasto poco spazio per l'interpretazione.
Chiuse cosí le finestre del sistema operativo e rivolse lo sguardo alla sua paziente, seduta di fronte a lui, fissandola con occhi calmi ma profondi. La sua espressione era seria, ma con una nota di quella compassione che si sviluppa dopo anni di pratica, una compostezza che nascondeva la gravità della situazione. "Dalle analisi si evince che il tumore è riuscito a diffondersi, questa volta," disse, cercando le parole giuste, "formando delle metastasi."
"Che opzioni rimangono allora?"
Il dottore inclinò leggermente il capo. "Possiamo provare a cronicizzare la malattia con l'immunoterapia," rispose, con una voce che cercava di infonderle speranza senza creare illusioni. "Ci sono ottime probabilità di successo." Lei allora si irrigidì, cogliendo subito la sfumatura nascosta. "Cronicizzare? Quindi lei sta dicendo..."
"Mi dispiace..." rispose il medico, scuotendo leggermente la testa. "Quando sorgono le metastasi, non c'è più spazio per la guarigione."***
Nina fece scorrere il dito sul lettore di impronte digitali e un leggero clic confermò il riconoscimento. La porta del suo appartamento si aprì con un suono discreto, accogliendola in uno spazio di comfort e benessere che contrastava con la pioggia fredda e incessante che continuava a cadere fuori. La giornata era uggiosa e, mentre entrava, accese le luci che si diffusero lungo il soffitto, illuminando l'ambiente con una luce calda e tenue. Poggiò il cappotto sull'attaccapanni e lasciò l'ombrello bagnato nel portaombrelli accanto all'ingresso. Si fermò un istante davanti allo specchio all'ingresso per sistemarsi il suo cappello senza visiera, l'unico accessorio a cui non rinunciava mai: lo usava per coprire i capelli cortissimi, tagliati a causa delle terapie. Quell'abitudine era diventata quasi un riflesso, una maschera silenziosa che portava ovunque andasse.
Si diresse verso la cucina, ordinata alla perfezione, piena di apparecchiature moderne e superfici lucide. Aprì allora il frigorifero: una leggera luce si accese rivelando file ordinate di frutta fresca, verdura croccante, formaggi, bevande di ogni sorta. In una Zona di Residenza Selezionata come Brussels tutto era a disposizione, senza limitazioni, eppure sentiva un vuoto strano, come se tutto fosse irrilevante.
Dopo un momento di esitazione, richiuse lo sportello con un leggero senso di insofferenza.
Realizzò che aveva solo voglia di una cosa: un tè caldo. Prese allora il bollitore e aprì il rubinetto per riempirlo. Il getto uscí cosí abbondante che rimbalzò sui bordi dell'elettrodomestico, schizzando tutt'intorno. Gli spruzzi di acqua le macchiarono la manica, il piano di lavoro, persino il pavimento. Chiuse quindi di colpo il lavello, posò il bollitore e subitò afferrò uno straccio per asciugare tutto.Fu proprio in quell'istante che qualcosa dentro di lei si spezzò. Sentí il fiato farsi corto, c'era in lei un dolore che non riusciva più a ignorare. Un accumulo di frustrazione, rabbia e dolore emerse con una forza incontenibile. Gettò lo straccio per terra, con violenza, e un grido soffocato salí su per la sua gola. Le lacrime arrivarono all'improvviso, senza controllo, e scivolarono sul suo viso come quell'acqua che, poco prima, le era esplosa attorno. Non riuscí a fermarsi, a trattenere quel pianto a fiotti. Appoggiò le mani sul piano della cucina, il capo chino, i singhiozzi profondi che le scuotevano le spalle. Lí, in piedi, da sola in quell'appartamento silenzioso, Nina lasciò che la disperazione la travolgesse completamente.
***
Dopo essersi calmata, Nina si versò il tè fumante in una tazza e si spostò verso il salotto, Si avvicinò a una delle grandi finestre che occupavano quasi l'intera parete, attraverso cui poteva osservare il panorama sottostante. Il complesso residenziale in cui viveva era di nuova costruzione, pulito e ordinato, con spazi verdi perfettamente curati e aiuole fiorite. Anche la sua casa era piena di verde. Piante rigogliose ovunque, disposte in vasi lungo il salotto, sul tavolino e sui davanzali delle finestre. Erano tutte curate con attenzione, foglie verdi e fiori dai colori vivaci a cui lei si era sempre dedicata con grande cura. Era l'unica decorazione che ammetteva negli spazi in cui viveva, almeno da quando era stata accettata per vivere nelle Zone di Residenza Selezionata.
C'era anche un parco giochi e diversi bambini correvano e ridevano spensierati, i loro schiamazzi schermati dalle robuste vetrate. Il suo sguardo si perse ad ammirare la loro felicità spontanea, quando il passato tornò a travolgerla con un'ondata di ricordi intensi e lontani.
Ripensò al giorno del funerale di sua madre, quando il mondo da piccola le crollò addosso e lei decise di fuggire da esso.Durante il rinfresco organizzato dopo le esequie, Nina si era barricata nella cabina armadio della camera da letto. Tra i vestiti appesi e l'odore ancora presente della sua mamma, Nina aveva cercato conforto, avvolgendosi nel buio della cabina come in un bozzolo. Fu suo nonno Tibor a scovare il suo rifugio improvvisato. Le fece allora una promessa: se fosse uscita di lí, lui quella sera stessa le avrebbe mostrato qualcosa di meraviglioso.
Così, quando il sole calò e gli ospiti se ne andarono, Tibor prese la mano di Nina e la condusse nel giardino sul retro. La casa, una tipica abitazione dei sobborghi, era avvolta dalla quiete della sera, e nell'aria si sentiva il profumo dell'erba umida e delle siepi ben curate.
Nel giardino, Nina notò con sorpresa un telescopio montato, puntato verso il cielo scuro e profondo. Tibor, un astronomo, la fece avvicinare e la sollevò in modo che potesse guardare attraverso l'oculare. Il cielo, quella notte, era limpido e disseminato di stelle che brillavano come diamanti. Il nonno le spiegò cosa stava vedendo: i pianeti, le stelle, le galassie. Le parlò della vastità dell'universo, di quei corpi celesti che si muovevano silenziosi, lontani da tutto il dolore della Terra. "Vedi quelle luci?" le disse, indicando un punto lontano. "Ognuna è una stella, come il nostro Sole, e attorno a molte di loro potrebbero esserci pianeti, mondi interi che non possiamo vedere, ma che possiamo immaginare."
Nina lo ascoltò, incantata, sollevandosi per un momento dalla tristezza che l'aveva accompagnata per giorni. Sentì la bellezza della notte avvolgerla e l'infinità dello spazio le sembrò quasi una promessa: esisteva qualcosa di più grande, di più luminoso, capace di trascenderla. Fu quella notte, sotto lo sguardo affettuoso di suo nonno, che Nina sentì per la prima volta la magia dell'universo e, in fondo a sé stessa, un desiderio nascente di esplorare quel mondo sconfinato. Era stato in quel momento che lei, ancora bambina, aveva sentito dentro di sé il bisogno irresistibile di cercare, di non limitarsi a ciò che la vita offriva, ma di scoprire l'altrove, quella possibilità di ribellarsi alla finitezza del mondo conosciuto.
Era stata proprio quella scintilla a spingerla a dedicarsi allo studio degli esopianeti. L'idea che ci potessero essere altri mondi, che l'universo potesse riservare segreti ancora insondati, l'aveva fatta diventare l'astronoma che era.
Eppure, ora tutto ciò le sembrò solo tempo sprecato. La malattia avanzava inesorabile e, con essa, anche l'idea che il sogno di Proxima Altaris, il pianeta che aveva cercato e studiato per tutta la vita, sarebbe rimasto irrisolto. Non ci sarebbe stata una scoperta, nessuna eredità duratura che avrebbe portato il suo nome; presto, ogni traccia di lei sarebbe svanita. Quel sogno, nato sotto il cielo stellato insieme a suo nonno, si sarebbe dissolto nel nulla, assieme all'umanità tutta.
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Un mondo alla fine del mondo
Science Fiction"Esiste un mondo alla fine di questo mondo e noi lo troveremo" 04/09/24 🥉 classificato Contest Estivo di @maidireteam categoria fantascienza In un mondo devastato dai cambiamenti climatici e dal caos derivante dalle guerre per le risorse scarse, l...