Capitolo 20: Il Gioco della Libertà

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Il giorno successivo, il clima nella casa di Dominic ed Evan era un po' diverso. Evan si svegliò presto, come al solito, ma quella mattina il suo umore era di gran lunga più teso del solito. L'evento della sera precedente, in cui aveva finalmente deciso di aprirsi, lo stava ancora turbando. Sebbene fosse sollevato da aver messo in parole i suoi sentimenti, una parte di lui si sentiva vulnerabile, come se avesse perso il controllo.

Seduto al tavolo della cucina, Evan guardava distrattamente il suo caffè, lanciando occhiate nervose verso Dominic, che si muoveva intorno come se niente fosse successo. In effetti, Dominic sembrava del tutto indifferente, o almeno cercava di apparire tale. Ma Evan non riusciva a scrollarsi di dosso quella sensazione di rabbia che gli serpeggiava dentro, una rabbia che non riusciva a incanalare. Decise che era arrivato il momento di dire la sua.

"Dominic!" disse, rompendo il silenzio, con tono più seccato di quanto avesse voluto.

Dominic, che stava preparando una colazione improvvisata con due fette di pane e marmellata, alzò gli occhi da quello che stava facendo, dando a Evan uno sguardo perplesso.

"Eh, cosa c'è?" rispose, con un sorriso divertito. "Hai fatto colazione o stai cercando di fare il muso lungo per niente?"

"Dici sul serio?" ribatté Evan, tirando su con la voce. "Perché mi hai obbligato a parlare ieri sera? Perché diavolo non mi hai lasciato tranquillo? Non mi avevi mai visto così, e tu... tu mi hai costretto!" La sua voce si alzò un po', non riuscendo a tenere dentro quella sensazione di frustrazione che si era accumulata.

Dominic lo guardò, senza riuscire a trattenere una risata leggera, come se tutto fosse una battuta.

"Ehi, Evan," disse ridendo, "non fare così. Sapevo che ti avrebbe fatto bene. Ti stavi praticamente soffocando con quelle parole, e tu ti stavi rendendo la vita più difficile. A me pare che sia andata abbastanza bene, no? Dai, non essere così serio, è solo una conversazione."

Evan sbuffò, ma la sua rabbia sembrava solo crescere. Non voleva che Dominic minimizzasse i suoi sentimenti, anche se capiva che, in fondo, l'intento del cugino non fosse cattivo.

"Non è una battuta, Dominic," disse con una certa durezza. "Mi hai messo in una situazione in cui non ero pronto. E non mi piace che tu pensi di sapere cosa è meglio per me! Ho bisogno di tempo, non di... non di essere spinto come se fosse tutto così facile!"

Dominic, che stava ancora ridendo sotto i baffi, smise di sorridere quando si accorse che Evan non stava scherzando. I suoi occhi si fecero più seri, e senza dire nulla, si avvicinò a lui.

"Okay, okay, calma," disse, cercando di capire dove stava andando la conversazione. "Non volevo metterti a disagio, amico. Ero solo preoccupato, sai? Pensavo che ti avrebbe fatto bene liberarti un po' da quella roba che hai dentro."

"Mi hai fatto arrabbiare, Dominic!" rispose Evan, la voce più bassa, ma ancora tesa. "Ma... alla fine mi hai fatto sentire... libero."

Dominic rimase in silenzio per un attimo, studiando il volto di Evan. Poi, con un sospiro di sollievo, annuì, rendendosi conto di quanto fosse importante per lui il benessere del cugino.

"Okay, scusa, lo capisco adesso," disse con sincerità. "Volevo fare qualcosa di buono, ma non avrei dovuto spingerti così. Non so perché pensavo che fosse la soluzione giusta... ma sembra che tu ce l'abbia fatta da solo." Si scusò, ma con la sua solita attitudine, tentando di mascherare la serietà con una battuta. "Comunque, non è che io mi faccia sempre capire bene, no?"

Evan fece finta di arrabbiarsi, ma non poté fare a meno di sorridere. "Non ti vorrei mai vedere arrabbiato, cugino. Se ti dovessi vedere troppo serio, sarebbe stato davvero inquietante."

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