-il peso della fiducia-

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Una volta lontana dalla scena di Haru avvinghiato ad Harper, lascio istintivamente la mano di Liam. Il gesto mi imbarazza, e porto una mano tra i capelli nel tentativo di mascherare il disagio.

“Scusami, avevo bisogno di un po’ di tranquillità,” mormoro per smorzare l’imbarazzo, ma dentro di me i pensieri si accavallano. Che idea si sarà fatto di me? Avrà pensato che lo abbia portato qui per qualcosa? Mi sento avvampare, ma Liam, con mia sorpresa, si avvicina di scatto.

Le sue labbra si fermano a un centimetro dalle mie, il respiro caldo contro la mia pelle. Sussurra con una voce decisa: “So quello che vuoi, e mentirei se ti dicessi che non lo voglio anch’io.”

Prima che possa dire qualcosa, le nostre labbra si sfiorano ancora. Stavolta, però, mi coglie completamente alla sprovvista. Il battito del mio cuore accelera, ma non so distinguere se sia per sorpresa, confusione o timore. Non voglio che vada oltre, non voglio confondere i miei sentimenti. Quando le sue mani scendono intorno ai miei fianchi, scatto indietro.

“Perdonami, Liam... possiamo fermarci qui?” La mia voce è incerta, quasi timorosa.

Lui però non risponde. Continua a baciarmi, con le sue mani che scivolano ancora più in basso, insinuandosi verso il mio sedere. Il mio respiro si fa corto, e una morsa d’ansia si stringe intorno al mio petto. E se non si ferma?

Lo spingo leggermente, ma lui ignora il mio gesto, insistendo con un sorriso che mi fa rabbrividire: “Dai, non essere timida.”

Le sue parole mi gelano, e la mia mente corre a mille. Non sta ascoltando. Con uno scatto di adrenalina, lo spingo con più forza, riuscendo a divincolarmi dalle sue braccia. Il suo sguardo è impassibile, confuso, forse persino offeso. Credeva stessi scherzando?

Non mi fermo a chiedermelo. Scappo, scendendo le scale di corsa, cercando disperatamente di allontanarmi. Voglio solo tornare a casa, ma nella fretta urto Harper, che finisce per versarsi addosso il cocktail.

“Cazzo! Deficiente, svegliati!” mi urla contro, con una voce tagliente che mi ferisce.

“Perdonami, non ti ho vista...” provo a scusarmi, ma lei non mi lascia finire. Con uno scatto rabbioso, afferra un bicchiere dalle mani di un ragazzo vicino e me lo rovescia addosso. L’odore pungente dell’alcool impregna i miei vestiti e il mio respiro.

“Ops, scusami tanto, non ti avevo vista,” dice con un sorriso soddisfatto che mi fa salire il nodo in gola.

L’odore mi riporta a ricordi che vorrei dimenticare. La testa mi gira, e sento le gambe tremare. Devo uscire. Devo andare via. Mi dirigo verso l’uscita del locale, spingendo chiunque mi ostacoli. Finalmente raggiungo l’aria fresca, ma appena metto piede fuori, vengo fermata da delle braccia.

Haru? No. Liam.

“Perdonami, Ivy. Ti posso accompagnare a casa?” La sua voce sembra gentile, ma il mio cuore accelera, scosso. Non rispondo, troppo confusa e spaventata.

“Lei viene con me,” dice una voce decisa alle nostre spalle. Mi volto, e per un attimo il sollievo mi pervade: Noah.

Afferro il polso di Noah come fosse un’ancora di
Salvezza,e sussurro
sottovoce: “Ti prego, portami a
casa.”
Il suo volto si distende in
un'espressione di comprensione. Mi
prende per mano, con una sicurezza
che mi dà conforto, e mi guida verso
la sua auto. Una volta dentro, mi
porge un fazzoletto di stoffa, blu
notte, con un gesto premuroso
“Amica, tutto ok? Ti vedo scossa..” 
Il tono preoccupato della sua voce mi fa crollare
“Ho avuto paura, Noah. Grazie di
essere arrivato in tempo,”  riesco a
dire con un filo di voce spezzata
Una lacrima mi riga il viso, e con
essa ogni mia difesa cede
“Noah... era tutto troppo. Liam..
Harper..”
le immagini riaffiorano, e il
cuore mi martella nel petto. Un
attacco di panico mi coglie
all'improvviso, togliendomi il respiro.
Noah mi stringe in un abbraccio. Per
la prima volta nella mia vita, capisco
cosa significhi avere un fratello. In
quell'abbraccio sento il calore e la
sicurezza di una famiglia, qualcosa
che non ho mai avuto davvero.
“Ti porto a casa” dice piano, con una fermezza che mi tranquillizza
“Adesso ci sono io.”
Avvia la macchina, e mentre le luci
della strada scorrono accanto a noi,
mi lascio andare, finalmente al
sicuro.

Arrivati davanti al portico di casa, Noah parcheggia l’auto e spegne il motore. Si appoggia al volante, osservando la facciata della casa che ho imparato a chiamare "mia".

“Quindi, è questa casa tua?” mi chiede con curiosità.

Rimango in silenzio per un momento, titubante, poi inizio a raccontare. La mia voce è calma, ma dentro di me sento il peso di ogni parola. Cerco di essere sincera, ma ometto alcuni dettagli del mio passato.

“Più o meno. Vivo qui, a casa di Haru, che si potrebbe definire mio fratello,” concludo, cercando di mantenere un tono neutro, anche se dentro di me le emozioni si accavallano. Fratello. È davvero quello che è? O è solo un’etichetta vuota?

Noah mi osserva per un istante, poi annuisce. “Allora dovresti dirgli cosa è successo stasera. È tuo fratello dopotutto, vorrà sapere come ti senti,” dice con una gentilezza che quasi mi spezza.

Abbasso lo sguardo, stringendo il fazzoletto che mi ha dato poco prima. Le sue parole sono giuste, ma la realtà è più complicata. Come posso spiegargli qualcosa quando lui non vuole nemmeno vedermi?

“Vedi, Noah, sembri più tu mio fratello che lui,” confesso, sentendo una stretta al cuore mentre lo dico. “La verità è che non ci parliamo. Lui mi odia sin dal primo momento in cui ho messo piede in questa casa. Quindi no, non c’è bisogno che sappia di questa storia. Non cambierebbe nulla.”

Noah mi guarda per un lungo istante. Non dice niente, ma la sua espressione è comprensiva, quasi protettiva. Mi dà una pacca sulla spalla, un gesto semplice ma che mi trasmette un calore autentico.

“Allora dovresti parlarne con Grace,” suggerisce con dolcezza. “Se vuoi, posso raccontarle io quello che è successo.”

Lo fermo immediatamente, scuotendo la testa. “No. Voglio essere io a farlo. Ma ho bisogno di tempo,” ammetto, la voce tremante. “Non è facile per me confidarmi. Tu sei la prima persona con cui lo faccio.” Le mie parole sono sincere, e la verità che esce dalle mie labbra mi sorprende. Non mi sono mai aperta così tanto con nessuno.

Noah sorride leggermente, un sorriso che sa di incoraggiamento. “Lo so. E non sai quanto questo mi renda felice,” dice piano. “Ma adesso vai a riposare. Hai bisogno di dormire, di staccare un po’. E ricordati: se hai bisogno, chiama anche nel cuore della notte. Il tuo fratellone arriverà subito.”

Mi scappa un sorriso, un sorriso vero, forse il primo di questa serata devastante. Lo abbraccio stretto, sentendo ancora una volta quella connessione familiare che non credevo di poter avere con qualcuno. Quando scendo dall’auto, sento una piccola ondata di sollievo. Almeno per stasera, non sono sola.

Entro in casa, ancora avvolta dal silenzio della notte. L’odore dell’alcool sui miei vestiti è nauseante, e la prima cosa che faccio è dirigermi verso il bagno. Devo togliermi di dosso questa serata.

Sotto la doccia, l’acqua calda scorre sulla mia pelle, lavando via il freddo della paura e il ricordo di quelle mani su di me. Chiudo gli occhi e respiro profondamente, ma ogni volta che li riapro, la scena si ripresenta davanti a me come un’ombra che non riesco a scacciare. Quanto tempo ci vorrà prima di sentirmi di nuovo al sicuro?

Quando esco dal bagno, la casa è avvolta nel silenzio. Non c’è traccia di Haru, e non so se esserne sollevata o preoccupata. Mi asciugo rapidamente e mi fiondo sotto le coperte. Il mio corpo è esausto, ma la mia mente continua a correre.

Ci sarà mai tregua per me? Penso, fissando il soffitto.

Eppure, mentre chiudo gli occhi, una cosa mi conforta: il volto di Noah e quel suo sorriso gentile, come una promessa che non sarò mai veramente sola.

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