Capitolo 27 - L'ultima lotta

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Due giorni erano passati dalla morte di Cole, eppure il dolore nel cuore di Katherine sembrava ancora fresco, come se il colpo fosse appena stato inferto. II funerale era stato una cerimonia semplice, quasi spoglia, come se la vita di un uomo fosse stata poco più di un'ombra prima di essere spazzata via. Rose era stata accanto a lei, ma Katherine sapeva che, in fondo, anche lei stava cercando di elaborare il dolore a modo suo.

Quando rientrò nella sua villa, la solitudine la colpì come un pugno. Non c'erano più sorrisi, non c'erano più suoni di risate o discussioni sul set. Solo il vuoto. Il grande salone sembrava più freddo, le ombre più lunghe. Le luci soffuse non riuscivano a dissipare quella sensazione di essere osservata, come se qualcuno fosse già lì, in attesa.

Katherine si fermò sulla soglia, i suoi occhi abituati ormai a scrutare ogni angolo con diffidenza. La casa era silenziosa, ma quel silenzio era strano, troppo perfetto. Decise di ignorare l'istinto che le diceva di fermarsi, di non entrare. La porta si chiuse alle sue spalle, e immediatamente il respiro si fece più pesante.

Non fece in tempo a mettere giù la borsa, che sentì un rumore dietro di sé.

Si girò rapidamente, il cuore che batteva forte nel petto. Dalla penombra, una figura emerse. Alta, completamente vestita di nero, con il volto coperto da una maschera. L'assassino.

«Tu», sibilò Katherine, la sua voce roca per la paura e la rabbia che si mescolavano dentro di lei.

Il killer non rispose. Senza preavviso, si lanciò verso di lei con una rapidità disarmante. Katherine schivò il colpo, ma il coltello sfiorò la sua spalla, lasciando una traccia di sangue che scivolò lungo la pelle. La paura le fece dimenticare per un momento le sue capacità, ma il suo allenamento da attrice l'aveva preparata alla lotta per la vita.

Scivolò a terra, rotolando verso il lato della stanza dove aveva nascosto un oggetto pesante. Si trattava di una statuetta di ceramica, che afferrò e lanciò contro l'assassino con forza. Il killer parò il colpo con una mossa agile, ma Katherine non si fermò. Si alzò di scatto, cercando di disorientarlo.

I due si affrontarono per otto minuti. Un duello senza respiro, senza paura. Il suono dei colpi e dei respiri affannosi riempiva la stanza, e ogni mossa sembrava portare Katherine un passo più vicino alla morte. Il killer era preciso, ma Katherine non cedette. Si spostò, si lanciò, riuscendo a infliggere una ferita sul fianco del suo aggressore. Il sangue dell'assassino cominciò a macchiare il pavimento.

Ma proprio quando Katherine pensava di poterlo sopraffare, l'assassino si mosse con una velocità inaudita, sparendo nella penombra, come un fantasma. Il suono delle sirene della polizia si fece sentire da lontano. Katherine crollò a terra, il corpo dolorante, il respiro affannoso. Il killer era scomparso, come se non fosse mai esistito.

Quando Denis e la sua squadra arrivarono, trovarono solo Katherine, sanguinante e esausta. Non c'erano tracce dell'assassino, solo il silenzio che ormai regnava in quella villa.

«Non c'è più nulla da fare», disse Denis, guardando la stanza vuota. «Se n'è andato.»

Katherine, con gli occhi fissi sul pavimento insanguinato, rispose a fatica: «No... non è finita

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