13.Sangue

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DEMETRA


Camriel era il mio unico appiglio in un turbinio di sensazioni che avevano preso il controllo sul mio corpo.
Gli strinsi le mani come mi aveva chiesto, intrecciammo le dita, mi ci aggrappai come se potessi divampare e dissolvermi nell’aria da un momento all’altro.
Era stato tutto così improvviso che non avevo avuto il tempo di capire cosa stesse succedendo. Era stata Dafne a dirmi che stavo andando a fuoco, io sentivo solo un grumo di rabbia bloccarmi il respiro e il battito del cuore. Tutto per colpa mia.
Avevo detto a Dafne dei miei poteri e che Nathaniel, studiando il mio sangue, aveva capito che era in parte angelico. Così avevo iniziato il discorso, dicendo che la telepatia che avevamo usato da piccole e che io non ero più stata capace di utilizzare dopo il terremoto, non era dovuta ad un potere speciale solo nostro, ma al sangue angelico che, forse, aveva anche lei.
Le avevo detto che avrebbero dovuto controllare il suo sangue e che io avevo manifestato altre capacità. Poi avevo continuato buttando fuori tutte le emozioni che avevo accumulato in
quei giorni: l’attacco in metropolitana, la fuga durante l’appuntamento con Nathaniel, il rapimento, le torture, il pericolo per la mia famiglia, la scoperta di avere dei poteri.
Era stato troppo, impossibile da metabolizzare. Cose che avevo solo accantonato per permettermi di andare avanti, ma che non avevano fatto altro che accumularsi l’una sull’altra.
Così ero andata fuori di testa.
Avevo pianto, avevo urlato, però non avrei mai pensato di poter andare a fuoco. Letteralmente.

«Inspira, Demetra. Espira».
Chiusi gli occhi e pensai solo a riempire i polmoni di ossigeno e svuotarli piano, seguendo la voce di Camriel.
Inspira, espira.
«Adesso, immagina il fuoco dentro di te, è una palla rovente al centro del petto. Lo vedi?». La sua voce era calda come le fiamme che mi evocava alla memoria.
«Sì».
Era stato fin troppo facile vederlo.
«Bene. Ora, continua a respirare e pensa di dare quel fuoco a me. Tutto, fino all’ultima scintilla. Immagina di farlo fluire dalle tue dita alle mie. E non smettere di respirare».
Le sue parole sicure mi avvolgevano, mi aiutavano a concentrarmi su quello che dovevo fare ed escludere tutto il resto.
Mi chiusi in quella bolla fatta dalla sua voce e dal mio respiro lento, i polmoni
che si gonfiavano e si sgonfiavano e il cuore che rallentava. Per la prima volta, mi sentii al sicuro con qualcuno che non fosse Nathaniel.
Non avevo idea di quanto tempo fosse passato, ma a un certo punto Camriel fece scoppiare quella bolla.

«Ok, puoi lasciarmi andare e aprire gli occhi». Quando lo guardai mi fece l’occhiolino. «Tutto finito. Visto?».
Si voltò verso la porta e fece un cenno mentre mi accompagnava al letto, dove mi fece sedere semplicemente mettendomi una mano sulla spalla e spingendomi giù. Le mie mani erano tornate normali, così come le sue.
Nathaniel lasciò la porta e mi fu accanto. «Stai bene?».
Scossi la testa. «No. Decisamente no».
«Nate, va a dire a quell’imbecille di Gabriel di rimanere dov’è. Io e Demetra dobbiamo parlare».
«Ok. Dafne, vieni con me, hai l’aria di aver bisogno di qualcosa di forte».
Mia sorella saltò su, mi guardò incerta e poi annuì convinta avviandosi con Nathaniel.
Camriel invece si accucciò davanti a me. «So che non ci conosciamo e che è difficile fidarsi di uno come me», cominciò. «Ma quello che ti è successo poco fa... non è una capacità degli angeli. Non c’entra niente con i loro poteri». Un leggero sospetto si fece strada dentro di me.
«Il fuoco... controllarlo, crearlo e domarlo è una cosa che fa parte dei miei poteri. Ora, dimmi Demetra... ti è mai successa una cosa simile?».
Scossi la testa.
Non sapevo accendere il fuoco neanche con i fiammiferi, figurarsi con le mie stesse mani.
«Ma tu sei un demone. Nate mi ha detto che... ho sangue angelico».
Camriel si sedette accanto a me e tirò fuori una sigaretta. «Dimmi che non ti dà fastidio». Accennai un no.
«Sia lodato l’inferno. Io e te andremo d’accordo».

Schioccò le dita e accese una fiamma, poi la avvicinò alla sigaretta che prese a brillare. Dopo aver tirato, si toccò i capelli.
A un tratto, pensai che fosse davvero bello, bello in modo strappato, difettoso, sfumato, graffiato. I tratti simili a quelli di Nathaniel lo facevano tendere a una bellezza perfetta, ma le cicatrici sul collo, i capelli spettinati e il petrolio degli occhi deturpavano quella figura eterea, rendendola più vera. Aveva l’espressione di chi aveva commesso un’infinità di peccati e se li era goduti tutti.
«Vuoi anche vedermi nudo o ti basta analizzarmi vestito?».
Arrossii fino alla punta dei capelli all’ironia nella sua voce. «Scusa.
Stavo solo...».
«Pensando che sono un criminale», m’interruppe. «Tesoro... non hai idea quanto».
Fece un sorriso storto e un occhiolino malizioso. Se avesse continuato così, avrei ripreso fuoco.
«A ogni modo, so quello che ti ha detto Nate e non ho proprio idea di come diavolo sia possibile conciliare il potere delle fiamme con il sangue angelico», tirò e ingoiò il fumo.
Tutto.
Non avevo mai visto nessuno fumare in quel modo.
«Ma mi viene in mente un solo motivo per cui potresti fare una cosa del genere».
«Cioè?».
Lui aveva un modo di parlare che infondeva calma, sembrava che
niente potesse turbarlo. Però ero talmente angosciata da quanto successo che neanche un litro di camomilla mi avrebbe fatto stare tranquilla.
«Credo che tu abbia anche una parte di sangue demoniaco. Nate mi ha detto che quando lo ha assaggiato ha avvertito una nota aspra e stonata che lo ha disgustato al punto di farglielo sputare. Suppongo che sia stato per quella traccia demoniaca».
Avevo il cuore di nuovo a mille. «E come facciamo a saperlo?».
Tirò dalla sigaretta, indicò il mio braccio. «Mi dai il tuo sangue, io me lo gusto un po’ e il gioco è fatto».
Sgranai gli occhi. «Sei serio?».
Si alzò, mise una mano in tasca. «Lo hai fatto con Nate. Puoi farlo anche con me», sorrise, si inginocchiò davanti a me. Mi sentii avvampare. «Farti prendere il sangue, intendevo. Non altro», mi guardò come se volesse mangiarmi.
Non sapevo se fidarmi così tanto di lui.
Non sapevo quanto fosse diverso da un vampiro o quali capacità avesse, quanto potente fosse. Non conoscevo nulla dei demoni e Camriel mi era sconosciuto tanto quanto gli angeli. Però si era occupato di me in quella situazione scottante e non solo, si era preoccupato per me.
Forse un po’ di fiducia la meritava.
Stava per aggiungere qualcosa, quando alzai le mani per bloccarlo.
«Ok. Facciamolo».

La sua espressione divenne stupita, curiosa. Strinse quello che restava della sigaretta nel palmo, poi si alzò e andò a gettare la cenere dalla finestra. Poggiò un ginocchio sul pavimento, prese il mio braccio tra le mani. Anche se la sua pelle era caldissima, rabbrividii.
«Aspetta... ma il sangue angelico non dovrebbe farti male?».
«Tu pensa a non svenire. Al resto penso io».
Ok, mi fece paura.
La sua stretta sulla pelle, invece, sciolse qualcosa dentro al mio stomaco, qualcosa che avevo provato solo con
Nathaniel. Ignorai quella strana attrazione magnetica che provocava in me, e forse in qualunque donna con un paio di occhi funzionanti.
Distolta da quei pensieri, non mi resi conto del suo movimento improvviso.
Non fu come con Nathaniel: lui era stato delicato e veloce, aveva prelevato pochissimo sangue, il minimo indispensabile per capire di che natura fosse.
Camriel no.
Affondò i canini giganteschi e io avvertii una stilettata di dolore che risalì dal braccio alla testa. Incordai i muscoli, trattenni un grido di dolore perché non volevo che qualcuno sapesse cosa mi stesse facendo.
Poi il dolore si tramutò in qualcosa di più intenso e profondo, che mi scaldò parti del corpo molto più intime del braccio.
Per fortuna, a quel punto si staccò.
Mi girò la testa, mi appoggiai sull’altro braccio.
«Ehi», disse, con voce roca. Tossì un paio di volte e tornò in sé.
«Ti ha fatto male?», gli chiesi.
Scosse la testa, si toccò la gola. «Sto bene, brucia solo un po’. Sto bene. Tu?».
«Bene».
Abbassai lo sguardo e notai i buchi che mi aveva lasciato sull’avambraccio: non erano due punture come quelle di Nathaniel, erano veri e propri buchi.
«Chiamo Angel per quelli. Te li guarirà in un attimo».
«Ok, ma... che hai scoperto?».
Lui si alzò in piedi, sospirò. «Non ho mai visto una cosa del genere. Giuro. Su... quanti? Un migliaio di anni di esistenza su questa fottuta Terra? Cristo, mai vista una roba del genere».
Continuai a guardarlo senza capire, ma con l’ansia che cresceva in me. «Cosa?».
«Sangue demoniaco e angelico insieme. Nate ne aveva sentita solo una traccia, ma io le ho sentite entrambe. In parti uguali».
«E… quindi?».
«Quindi, più usi i poteri e più le parti sovrannaturali si modificano.
Aumentano, in qualche modo».

Oh. Wow. Oddio.

Camriel si stava appoggiando al muro accanto alla porta, pensieroso, quando l’anta si aprì ed entrò Nathaniel. Mi vide seduta sul letto, con il braccio ferito, e si precipitò da me.
«Ma che diavolo...?».
Si girò di scatto verso Camriel, poi verso me, poi di nuovo suo fratello, sempre più incazzato. «Ti avevo detto di aiutarla, non di berle il sangue!»
«Gli ho detto io di farlo. Era l’unico modo per capire perché ho preso fuoco», intervenni.
«E l’ha capito?», mi sfiorava i fori col tocco leggero delle sue dita, l’aria preoccupata.
Guardammo entrambi il demone che si strinse nelle spalle. «Sì e no. Ora sappiamo che ha anche sangue demoniaco, che coesiste in modo inspiegabile con quello angelico. Ma non tutti i demoni possono controllare il fuoco. Anzi, molto, molto pochi». Incrociò le braccia, serio.
«Vuol dire che ti hanno iniettato il sangue di un demone specifico. O che ne sei la discendente».
«Stai scherzando», risposi.
Camriel andò alla porta. «Mando su Angel».
Stava per uscire, ma lo chiamai prima che se ne andasse. «Cam».
«Eh».
«Grazie».
Ero sincera. In pochi minuti mi ero sentita in una decina di modi diversi con lui. Diffidente, compresa, sostenuta, spaventata, imbarazzata, affascinata e, infine, grata.
Grata per il tempo che aveva perso con me, per il suo aiuto e il rischio che aveva corso bevendo il mio sangue senza neanche sapere se gli avrebbe fatto male oppure no.
Avevo cambiato opinione su di lui e sui suoi modi scontrosi, forse, al di là delle apparenze, in fondo non era così male.
«Quando vuoi riprovare, sai dove dormo», rise.
Nathaniel lo fulminò. «Vaffanculo, Cam», ma se n’era già andato.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 18 ⏰

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