Cap. X

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La mia intervista aveva attirato un vasto numero di gente

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La mia intervista aveva attirato un vasto numero di gente.
Ricordo ancora la chiamata che arrivò a mezzogiorno da parte del signor Wilson in persona, dove si era appena complimentato con me con tanto di gratitudine.
<<Sei andata alla grande, Feyer, il tuo articolo sta facendo molto discutere in città, finalmente abbiamo tutti i fari puntati.>>

O meglio, io avevo sfortunatamente i fari puntati addosso. In quella mezza giornata di fine settembre, iniziarono ad arrivare varie email da parte di terze new agency, proponendomi specialmente dei contratti vantaggiosi per la mia carriera.

Non risposi nemmeno ad una email, caro lettore, non c'era alcun motivo per la quale avrei dovuto fare il contrario.

Quel lavoro mi era capitato per caso, l'avevo fatto perché costretta, e nonostante questo stava riscontrando parecchio successo. Io stavo riscontrando parecchio successo, anzi, non io direttamente, ma Jane Feyer. Avevo ovviamente firmato l'articolo che pubblicai la mattina seguente, ed il mio nome era già motivo di chiacchiere.

Chi era questa Jane Feyer? Come ha fatto a riuscire ad intervistare uno degli uomini più ambiti di Londra? Come ha fatto ad incontrare Henry Mirren per una subdola intervista, lui che non parla mai di sé e nemmeno degli affari di famiglia?
Chi era questa giornalista, e cosa aveva di così speciale?

Io che giornalista non ero nemmeno. Ma da una parte fui felice del successo che aveva scalpito Jane Feyer e la sua mitica intervista. Almeno non sarò licenziata, pensai.
Il profumo del gelsomino inebriò le mie narici quando rientrai in camera mia dopo una lunga doccia terapeutica, che accompagnò una lunga riflessione che parve risucchiare tutta la soddisfazione che provai nel vedere che il mio articolo fu definito il gioiello del daily mail da un noto critico giornalistico.

La mia contentezza sparì perché il mio pensiero fu rivolto al frutto del mio ventre e alla mia più grande priorità, Hannah.

Un senso di colpa pervase tutto il mio corpo bagnato, l'espressione rilassata nel mio viso si ruppe, trasformandosi in un'espressione di tristezza. Dolore, afflizione, strazio si fecero spazio nella mia mente, costringendomi a chinarmi in due a causa dello spirito affranto che mi stava abbracciando, servendosi di me come un demone prende controllo di un essere vivente.

Le lacrime non tardarono a fare visita alle mie guance diventate rosee per colpa delle mani che continuamente sfregavo sul mio viso nel tentativo di asciugare quell'acqua di miele. Piacqui, e lo feci seduta nella vasca da bagno. Il pensiero di dover sopravvivere con un'identità che non era la mia, ed una figlia che probabilmente mi credeva morta mi uccise per qualche minuto.

La mia bambina era sola, senza sua madre, ed io ero qui a gioire dell'esito positivo di un lavoro che nemmeno avevo scelto io.

Che pena che fai, Ines.
Dopo tanto tempo sussurrai il mio nome.
Faceva strano persino sentirlo pronunciare dalla sottoscritta.
Ines. Quanto ancora dovrai fingere prima di rivedere tua figlia e tornare alla vita di prima?
Non lo sapevo. Non sapevo quando questa storia avrebbe avuto la sua fine.

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