CAPITOLO 1

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Velsia, 18 dicembre 1820.

I pesanti vapori che venivano emessi dalle ciminiere contribuivano a creare una coltre oscura che formava il cielo cinereo sovrastava sulla città di Velsia, rendendo l'atmosfera più cupa di quanto non avrebbe dovuto essere. La situazione celeste, però, non rendeva giustizia a ciò che accadeva sotto di essa: piccoli giornalai urlavano a squarciagola l'invenzione della settimana che appariva in prima pagina, aristocratici annoiati circolavano per i parchi sparlando tra di loro o guardando le immacolate vetrine, gli operai si affannavano ad aumentare la produttività nelle fabbriche, mentre nell'ombra dei bassifondi i reietti della società continuavano i loro loschi affari. Neanche nel Nucleo Investigativo della Questura di Velsia non tirava un'aria di calma. Le recenti  denunce stimolavano anche le menti più pigre nascoste dietro alla macchina da scrivere e le pile di scartoffie da compilare. Una giovane senza talento era arrivata ad aprire l'ufficio per prima, antecedendo la levata del sole. La sua più bassa posizione in gerarchia non avrebbe potuto concederle diversamente. Sistemò i rapporti scritti fino all'arrivo del capo-questore. Solo quando le sue dita iniziarono a fremere di stanchezza si rese conto dell'ora. Il rumore dell'affollamento dei passanti che aumentava e l'arrivo dei colleghi coi loro quotidiani, ma ben poco interessati, saluti le fecero intuire che erano già passate le otto. L'orologio della scrivania confermò il suo timore: erano le nove. Lo sguardo scivolò velocemente dai fogli solo nel momento esatto in cui una fredda voce non le rivolse la parola.

«Se continui così perderai la vista, Luisa. E a quel punto i tuoi occhiali non penso serviranno a qualcosa.»

La lunga chioma ramata non lasciò spazio ai dubbi su chi fosse l'interlocutore.

«Buongiorno anche a te, Serin.» rispose stizzita «Sappi che se continui ad arrivare in ritardo potresti perdere il lavoro. Non so cosa sia peggio.»

«Che mi licenzino pure.» troncò facendo spallucce «I soldi della mia famiglia basteranno per mantenermi a vita. Ad ogni modo... Non possono permetterselo, sono l'unica necromante della sezione investigativa, io servo al Capo Questore quanto le ali a un volatile.»

«Ti ricordo che un volatile ferito alle ali però può sempre camminare sulle sue zampe e sopravvivere.»

Serin prese posto davanti a lei e tolse il pesante mantello, ma si voltò con la sedia. I suoi compiti non erano molto diversi da quelli di Luisa per la maggior parte del tempo.

«Dunque? La capacità di volare è la caratteristica principale di ogni pennuto. Senza la mia capacità di parlare coi defunti tanti casi si sarebbero chiusi dopo mesi, se non anni.»

Luisa sospirò, arrendendosi alla cocciutaggine della collega.

«Mi chiedo cosa ci faccia ancora tu qui dato che oramai ti hanno decretata erede degli Ambervale. Inoltre tuo cugino non sembra voler accennare a una rivendicazione del suo posto, insomma - continuò ridacchiando - dopo dieci anni quello scandalo gli grava sulla testa come una sentenza di morte!»

«Raccolgo i frutti dei miei anni di studi e mi rendo utile alla società come tutti voi. È l'unica cosa che mi riesce bene.» tagliò corto infastidita, senza voler giustificare la mancata presa di posizione di Alaris «Così come a te si confà bene adulare i superiori.

Ah no! Mi sbaglio...

A quanto pare neanche in questo sei riuscita, dato che sei ancora qui, dietro di me.»

Un reciproco sguardo carico di energie negative fu susseguito da un increscioso silenzio tombale che venne ben presto sostituito dai click meccanici delle battiture. L'insidioso incantesimo di burocrazia lavorativa si attivò finalmente anche nelle meningi della maga.

EloniaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora