Capitolo 3: La Prima Mossa

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La pioggia continuava a cadere sulla Capitale, trasformando le strade in fiumi scuri e scivolosi. Le torri del Concilio si stagliavano contro il cielo grigio, mentre le luci tremolanti delle lanterne disegnavano ombre sulle mura di pietra antica. Era una notte che sembrava non voler finire, e i tre figli di Arno Lysand stavano già tracciando le loro prime mosse.

***

Selene camminava con passo deciso nel corridoio principale del quartier generale militare. I suoi stivali risuonavano sul pavimento di marmo, un suono ritmico che annunciava la sua presenza. La sala strategica era piena di ufficiali e generali, i loro sguardi si alzarono all’unisono quando lei entrò. Nessuno osò parlare fino a quando Selene si posizionò al centro della stanza.

«Abbiamo poco tempo,» disse, puntando un dito su una mappa olografica che mostrava la Capitale e le sue periferie. «Le rivolte nelle zone esterne stanno crescendo. Non possiamo permettere che il caos si diffonda al cuore della città.»

Un generale anziano si avvicinò, il viso segnato da anni di esperienza. «Con rispetto, Generale Lysand, un intervento militare diretto potrebbe aggravare la situazione.»

Selene lo fissò, il suo sguardo gelido come acciaio. «Non possiamo aspettare che il caos si spenga da solo. Ogni giorno perso rafforza il nemico. Stabiliremo blocchi nelle periferie e isoleremo i quartieri più instabili.»

Un giovane ufficiale prese la parola, con un tono esitante. «Ma se chiudiamo le periferie, rischiamo di scatenare una reazione violenta. Potrebbe essere visto come un atto di oppressione.»

Selene strinse i pugni per un momento, poi li rilassò. «Non mi interessa come sarà visto. Il mio obiettivo è mantenere l’ordine. E lo faremo.»

La sala rimase in silenzio. Quando la riunione terminò, Selene si trattenne, osservando la mappa con lo sguardo perso. Era convinta delle sue decisioni, ma un pensiero le si insinuava nella mente: era pronta a tutto pur di preservare lo Stato, anche a sacrificare la fiducia del popolo?

***

Nella sala privata di una villa ai margini del quartiere centrale, Seraphin alzò il calice, osservando il vino scuro riflettere la luce delle candele. Attorno a lui erano seduti uomini e donne dell’élite politica della Capitale: consiglieri, mercanti, e rappresentanti delle antiche famiglie.

«Miei cari amici,» iniziò, il suo tono morbido e accattivante, «in tempi di incertezza, l’unico modo per sopravvivere è unirsi. Mio padre lo capiva bene. Ora tocca a noi garantire che il caos non consumi ciò che abbiamo costruito.»

Una donna elegante, con una collana di perle che le scintillava al collo, rispose. «Seraphin, le tue parole sono sempre così... rassicuranti. Ma come possiamo essere certi che tu sia la scelta giusta per guidare questo Stato?»

Seraphin sorrise, un’espressione calda ma calcolata. «Non sono qui per chiedervi fedeltà cieca. Sono qui per offrirvi stabilità. Con me al comando, le vostre famiglie e i vostri affari rimarranno intatti. Con altri...» Lasciò la frase in sospeso, un gesto studiato che fece rabbrividire alcuni presenti.

Mentre le conversazioni si svolgevano, una giovane servitrice si muoveva tra i tavoli, riempiendo i calici e raccogliendo frammenti di parole. Quando la cena si concluse, la donna scomparve nell’ombra, con un messaggio cifrato nascosto nella piega del grembiule.

Seraphin si alzò, osservando gli ospiti lasciare la sala. «Tutti pensano che il potere si conquisti sul campo di battaglia,» mormorò a se stesso, «ma io preferisco ottenerlo con il cuore e la mente. E qualche promessa ben calibrata.»

***

Nelle periferie, la pioggia era più feroce. Gocciolava dai tetti scrostati e si accumulava nelle strade dissestate, trasformandole in un pantano. Eryk camminava con il cappuccio tirato sulla testa, il mantello bagnato che si attaccava al corpo. Era invisibile in quel luogo, un’ombra tra le ombre.

Entrò in una fabbrica abbandonata, dove un gruppo di ribelli lo attendeva. Erano uomini e donne segnati dalla fatica, ma i loro occhi brillavano di determinazione. Una donna alta con una cicatrice sul viso si fece avanti, scrutandolo con attenzione.

«Lysand,» disse con voce ferma. «Perché sei qui? Non sei uno di noi.»

Eryk si tolse il cappuccio, mostrando il volto serio. «Sono qui perché so che il sistema è marcio. Mio padre lo ha costruito, e io voglio distruggerlo.»

Un uomo anziano sbuffò, incrociando le braccia. «Parole. Ne abbiamo sentite tante.»

Eryk fece un passo avanti, incontrando il loro sguardo. «Non sono qui per promettere. Sono qui per agire. Voi avete la forza, io posso darvi i mezzi per usarla. Ma dobbiamo lavorare insieme.»

La donna con la cicatrice lo fissò per un lungo istante, poi annuì lentamente. «Ti daremo una possibilità. Ma se ci tradisci, sarà l’ultima cosa che farai.»

Eryk annuì, consapevole del peso di quelle parole. «Non vi tradirò. Il mio obiettivo è lo stesso del vostro: vedere crollare questo sistema.»

***

La notte continuava a cadere sulla Capitale, avvolgendo tutto in un’oscurità densa. Selene, Seraphin ed Eryk avevano fatto la loro prima mossa, ciascuno seguendo un cammino diverso. Ma le loro strade non erano mai state così intrecciate. In quella pioggia, ognuno di loro portava il peso del futuro dello Stato Unico, un peso che nessuno era ancora pronto a sostenere.

La Successione del VuotoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora