Capitolo 8 - Rivelazioni

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Nicholas rimase immobile, osservandomi con labbra arrossate e schiuse, ancora bagnate dal nostro bacio.

«No, no, no.» mormorai, più a me stessa che a lui.

«Delia...» sussurrò, cercando di placare la mia reazione istintiva.

«È tutto sbagliato.» mormorai guardandolo, gli occhi che iniziavano a velarsi di lacrime.

Mi sentii inadeguata, profondamente sbagliata. Come avevo potuto anche solo pensare di baciare un paziente? Un serial killer agli occhi del mondo? Cosa credevo di fare, esattamente? Nonostante fossi ormai certa della sua innocenza, non potevo concedermi un avvicinamento simile, non adesso.

Un senso di sporco mi pervase, e una profonda vergogna prese il sopravvento. Lui mi guardò, confuso, ferito forse, ma non disse nulla.

Mi alzai in piedi, cercando di mettere distanza tra di noi. Il peso di ciò che era appena accaduto rimase sospeso nell'aria, un muro invisibile che entrambi avremmo dovuto affrontare. La cosa peggiore, però, fu rendermi conto che iniziavo a provare sentimenti forti, intensi e incontrollabili per lui. Era qualcosa di inconfessabile, nato nell'ombra e destinato a rimanere tale, tanto assurdo quanto irresistibile.

Sapevo che mi avrebbe condotto solo alla sofferenza, eppure mi sentivo inevitabilmente attratta verso Nicholas, come se un legame ineluttabile ci unisse. Sentivo che desiderarlo era sbagliato, eppure non trovavo modo di liberarmi da quella tormentosa attrazione.

«Delia, per favore.» mi pregò il ragazzo, cercando di farmi ragionare.

Quando notai i suoi occhi inumidirsi, mi voltai dalla parte opposta.

«Non posso.» sussurrai. «Ma ti prometto che ti farò uscire di qui.» terminai, uscendo di fretta dalla cella e sbattendo la porta alle mie spalle con un fracasso che mi fece sobbalzare.

Non saprei descrivere la sensazione che provai in quel momento, un misto tra agitazione e paura, senso di colpa e il desiderio di averne di più. Qualsiasi legame si fosse creato tra di noi era impossibile da approfondire, non poteva andare oltre per ragioni fin troppo evidenti. Se fossi riuscita a provare la sua innocenza, forse un futuro insieme sarebbe stato possibile, ma fino ad allora non potevo permettermi di essere così avventata da lasciarmi andare in quel modo con lui.

La mattina seguente mi svegliai decisamente tardi. Continuai a rimandare la sveglia, scegliendo di restare avvolta tra le calde coperte ancora per un po'. Non volevo affrontare la giornata, perché sapevo che sarei ricaduta nei pensieri che mi tormentavano dalla notte precedente.

Ricevetti diversi messaggi e chiamate perse da Genevieve, ma decisi di ignorarli. Sentivo il bisogno di recuperare le ore di sonno arretrate, così rimasi a letto fino al tardo pomeriggio.

Mi alzai dal soffice materasso solo verso l'ora di cena. Scesi le scale e raggiunsi nonna Carmen al piano di sotto. Non feci neanche in tempo a salutarla che lei iniziò subito a farmi la ramanzina per aver trascorso tutto il giorno a letto, dandomi della ragazza svogliata e pigra. Cercai di spiegarle che avevo fatto non solo un turno aggiuntivo, ma anche quello di notte, il che rendeva inevitabile che dormissi praticamente tutto il giorno. Con uno sguardo glaciale, Carmen sembrò capire il mio punto di vista. Alla fine lasciò cadere l'argomento e mi ordinò di aiutarla con il pasto.

Mentre eravamo fianco a fianco, intente a preparare la cena, dentro di me fremevo dalla voglia di domandare alla donna qualcosa riguardo mio padre. Qualsiasi informazione sarebbe stata preziosa, dato che non sapevo assolutamente nulla di lui, nemmeno il suo nome. Tentennai a lungo, il coltello che scorreva sul tagliere quasi seguiva il ritmo dei miei pensieri confusi. Più volte cercai di trovare il momento giusto per fare una domanda del genere, ma ogni volta mi fermavo, incapace di parlare. La paura mi bloccava. Ero spaventata, sia dalla reazione di Carmen che da ciò che avrebbe potuto rivelarmi.

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