Prologo

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Delica
Chi ama le rose nonostante
Le loro spine

🚨Avvertenze🚨
Il testo è consigliato a persone adulte e consapevoli si affrontano temi delicati come autolesionismo e disturbi alimentare, ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti è totalmente casuale

Trope (di tutte le relazioni)
Age cap
Forbidden love
Enemines to lovers
Children love
Second change

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(Selene, 12 anni California)

Il cuore mi si stava gelando in gola, avevo la pelle d'oca e l'odore della vernice mi stava frantumando le narici.

"Dove sei Selene...ti troverò" mormorò quella voce ripetutamente, non sentivo più le gambe e ormai ero completamente schiacciata sotto il tavolo che mi nascondeva.

Ma la mia preoccupazione era per Rayan, Sentivo i suoi respiri affannati nonostante il ticchettio del carillon.

"Selene....addio" mormorò Rayan prima di schiantarsi con tutte le sue forze contro l'uomo incappucciato.

"NOOO" mormorai con tutta la forza che avevo in corpo, le lacrime fredde mi bagnavano il viso e Rayan e perdeva sempre più sangue, davanti a me.

Non poteva morire
Non poteva morire
Non poteva morire

Chiamai i soccorsi mentre vedevo tutte e due le figure a terra, Rayan però stava perdendo più sangue mentre il killer aveva solo una macchia rossa sul maglione.

Quel volto bellissimo, lo rividi solo una volta prima che lo portarono via in ambulanza.

Non avevo nessuna certezza ma sapevo che se fosse morto Rayan sarei morta anche io, l'unica differenza è che solo il suo cuore smetterebbe di battere

È vivo?" chiesi, con un filo di voce.

Il medico mi guardò con uno sguardo grave. "Ha perso molto sangue, ma ce l'ha fatta. È stabile. Lo stiamo trasferendo in terapia intensiva."

Mi sentii crollare sulle ginocchia, il sollievo che mi investiva come un'onda. "Posso vederlo?" chiesi, ma il medico scosse la testa. "Non ancora. Deve riprendersi."

Mi strinsi le braccia attorno al corpo, cercando di calmarmi. La battaglia non era finita, ma per ora, Rayan era vivo. E per me, questo era tutto ciò che contava. Era sopravvissuto. E io avrei fatto qualsiasi cosa per assicurarmi che niente e nessuno potesse più fargli del male.

All improvviso il mio telefono inizio a vibrare, era una chiamata da parte di mio padre.

"Selene..senti il tuo amico potrebbe denunciare anche noi, dobbiamo andarcene dalla città"

Quelle parole risuonarono nella mia mente come se fosse una cantilena da cui nessuno può svegliarmi.

"E uno scherzo!?" Chiesi con tono ancora inconsapevole di quello che stava per succedere.

"No prepara le valige, da domani ci trasferiamo in Georgia"

Chiamai tutte le mie amiche, alcune scoppiarono a piangere altre mi rassicurarono.
Ma Miriam la mia migliore amica aveva il compito più importante dirlo a Rayan.

Lui era in quella situazione per proteggere me, e io me ne stavo andando via dalla città, non gli sto degnando manco di un ultimo saluto.

Faccio schifo
Faccio schifo
Faccio troppo schifo
Rayan non se lo merita
Nessuno si merita di essere mio amico.

Le lacrime mi rigavano il viso mentre fissavo il soffitto della mia stanza. Avevo trascorso l'intera notte a fissare il vuoto, incapace di dormire. Ogni volta che chiudevo gli occhi, vedevo il volto di Rayan, pallido e ricoperto di sangue, che mi fissava con quel suo ultimo, fragile sorriso.

La valigia era aperta sul pavimento, ancora vuota. Non riuscivo a muovermi, a prendere un solo oggetto. Ogni cosa che avevo mi ricordava questa città, questa vita, e soprattutto lui. Come potevo andarmene? Come potevo lasciarlo indietro, sapendo che si era messo in pericolo per me?

Miriam mi aveva mandato un messaggio durante la notte:
"Gliel'ho detto. Ha chiesto di te."
Quelle parole mi avevano trafitto come una lama. Lui voleva vedermi. E io stavo per scappare.

La mattina seguente, mio padre entrò nella mia stanza senza nemmeno bussare. "Selene, non hai ancora preparato niente? Partiamo tra due ore."
Lo fissai con occhi rossi e gonfi, la rabbia e il dolore che ribollivano dentro di me. "Perché lo stiamo facendo? Perché dobbiamo fuggire come dei codardi?"
"Non è fuga," rispose seccamente, evitando il mio sguardo. "È protezione. Per te, per noi. Non possiamo rischiare."
"Rischiare cosa?" sbottai, alzandomi in piedi. "Rayan è in ospedale per colpa mia, e noi ce ne andiamo? Non pensi che questo lo farà arrabbiare ancora di più? Non pensi che meriti almeno delle spiegazioni?"

Mio padre serrò la mascella. "Non è sicuro restare. Non discuterne più." Poi uscì dalla stanza, lasciandomi sola con la mia rabbia.

Dopo due ore che io trascorsi come cinque minuti era già arrivata l'ora di partire.

Il viaggio non fu molto lungo e gli anni in Georgia passarono lentamente, ma il mio obbiettivo era solo uno ritornare in California insieme a i miei fratelli.

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