3-UN INTENSA GIORNATA DI STUDIO.

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Quando entrai nella sua stanza, sentii l'aria cambiare. Non era più lo stesso posto in cui avevamo passato pomeriggi interi da bambini, ridendo e giocando. Ora c'era un silenzio teso, quasi palpabile. Rayan chiuse la porta con più forza del necessario, facendomi sobbalzare leggermente.
E
"Selene," iniziò, con una voce fredda che non gli avevo mai sentito. "Sai perché non volevo lavorare con te?"

Sospirai, posando il mio zaino sul pavimento. "Immagino di no, ma sono sicura che stai per illuminarmi."

Lui rise, ma non c'era niente di divertito nel suo sorriso. Si sedette sul bordo del letto, fissandomi con quegli occhi azzurri che sembravano voler scavare dentro di me. "Perché lavorare con te significa ricordarmi tutto quello che è successo. Tutto quello che non hai fatto."

Sentii un nodo stringersi allo stomaco. "Di cosa stai parlando?"

"Non fare finta di non sapere," scattò lui, alzandosi in piedi. La sua figura era imponente mentre si muoveva nervosamente per la stanza. "Ero lì, Selene. Io c'ero. E tu no."

Le sue parole erano un colpo diretto, ma non capivo ancora del tutto a cosa si stesse riferendo. "Se hai qualcosa da dirmi, fallo chiaramente, Rayan. Non girarci intorno."

Si fermò di colpo, fissandomi con un'espressione carica di rabbia e... dolore? "Quando mio padre se n'è andato, quando tutto è andato a pezzi, dov'eri tu? Dov'era la mia migliore amica?"

Rimasi senza parole. Non mi aspettavo quella domanda, e di certo non mi aspettavo quella furia. "Io... non sapevo cosa fare," ammisi infine, la voce spezzata.

"Non sapevi cosa fare?" ripeté lui, incredulo. "Non dovevi fare niente, Selene. Dovevi solo esserci. Ma no, te ne sei andata. Hai fatto finta che non stesse succedendo niente. E sai una cosa? È stato allora che ho capito che non potevo contare su di te."

Le sue parole mi colpirono come pugnalate. Non avevo mai pensato che la mia assenza avesse avuto un impatto così profondo. "Non è vero," dissi, cercando di difendermi. "Ero una ragazzina, Rayan. Non sapevo come gestire tutto quello che stava succedendo."

"E io sì?" ribatté lui, il tono tagliente. "Eppure ho dovuto farlo. Da solo."

Mi mordicchiai il labbro, cercando di trattenere le lacrime. Non volevo cedere davanti a lui. "Non è giusto," mormorai. "Non è giusto che mi incolpi per qualcosa che non potevo controllare."

"Non è giusto?!" sbottò, avvicinandosi a me. "Sai cosa non è giusto? Perdere tutto e rendersi conto che la persona che pensavi fosse al tuo fianco è sparita nel momento in cui avevi più bisogno."

Non potevo rispondere. Non potevo difendermi. Aveva ragione.

Un silenzio pesante cadde tra di noi, rotto solo dal respiro affannato di Rayan. Alla fine, si voltò e si sedette di nuovo sul letto, passando una mano tra i capelli.

"Possiamo lavorare sul progetto," disse, la voce più calma ma piena di rancore. "Ma non aspettarti che io dimentichi."

Non dissi nulla. Aprii il quaderno con mani tremanti e iniziai a scrivere appunti, anche se non riuscivo a concentrarmi. Dentro di me, sapevo che quella giornata non sarebbe finita bene.

Capitolo 3: L'incontro di due mondi

Il silenzio nella stanza si fece quasi insopportabile. Entrambi eravamo concentrati — o almeno ci provavamo — sul progetto, ma l'aria era satura di tensione. Ogni volta che alzavo lo sguardo, trovavo Rayan a fissarmi, e ogni volta abbassavo gli occhi, il cuore che batteva più forte.

"Passami il libro," disse lui improvvisamente, spezzando il silenzio.

Gli porsi il volume senza dire nulla, le dita che sfiorarono per un istante le sue. Era un contatto quasi impercettibile, ma bastò per farmi sobbalzare. Lui, invece, sembrava impassibile, ma c'era qualcosa nei suoi occhi che non riuscivo a decifrare.

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