capitolo 1

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- "Che facciamo? Dove andiamo?" si affrettó a dire Mark mentre il padre lo spingeva verso le ormai poche capsule di emergenza rimaste.

Senza dire una parola ,Lord Byron aveva già impostato le coordinate.

"Perché andiamo dalla zia? L'hai sempre odiata.."

Il silenzio continuava a venire colmato dal frastuono delle esplosioni che li circondavano, squadrando ció che stava accadendo al di fuori della nave, Erle Byron strinse il figlio un'ultima volta, prima di precipitarsi repentinamente fuori dalla nave.

Mark non ebbe il tempo di dire una parola, in un lampo fu sparato in fretta e furia fuori dall'atmosfera simulata, e si ritrovó solo, pietrificato dal terrore, in grado solo di lanciare un ultimo urlo "PERCH PAPÁ?" -

Il suono della sveglia interruppe quello che, dopotutto, sembrava essere un sogno, per l'ennesima volta.

Mark era riuscito a dormire solo pochi minuti, tormentato dallo stesso sogno che ripeteva giorno dopo giorno e dal fastidioso ronzio dei vecchi G32 che perlustravano la zona dall'alto, quella notte in particolare piú numerosi di sempre.

Si sforzó di guardare fuori ma la luce quasi lo accecó, senza dubbio era giorno e,ma in ritardo, le fatiche del lunedì avevano cominciato a farsi sentire.

"Non é un giorno qualunque" - pensó il giovine tra uno sbadiglio e l'altro- "Oggi rivedrò il mio angelo! Dopo i 3 mesi più lunghi della mia vita, come potrei vivere senza il suo sguardo, il suo sorriso.." -fantasticava Mark mentre non si accorgeva di aver cominciato a parlare a voce alta, attirando cosí l'attenzione del piú bel cagnolone di tutti i tempi (secondo la sua opinione) , il quale non si fece sfuggire l'occasione di qualche affettuosa leccatina sul viso.

"D'accordo Alan, mi sto alzando, dai smettila" - disse Mark ridendo e disfandosi delle coperte- il cane obbedí immediatamente e si sedette di fianco al letto in attesa di qualche coccola.

Il ragazzo si alzó sorridente, giá dimentico della notte insonne e dell'inquietante sogno che lo tormentava da giorni, dette un rapido sguardo al quadro che il padre aveva appeso molti anni prima di fronte al suo letto: al suo interno vi era un esile pezzo di carta evidentemente vecchio e rovinato sul quale si riusciva ad intravedere una frase apparentemente profonda ma della quale lui non capiva il significato "I due giorni piú importanti della vita sono quello in cui sei nato e quello in cui capisci perché - Mark Twain".

Il padre gli aveva detto che ne avrebbe capito il significato solo quando sarebbe stato il momento, ma lui continuava a fissarlo ogni mattina in attesa di quel momento, come se non aspettasse altro.

I deboli raggi del sole, intorpiditi dalla barriera, fecero brillare la vecchia cornice di legno; bastó per riportare il giovine sognatore alla realtà, appena in tempo per non fargli far tardi al primo giorno di scuola del suo secondo anno all'accademia.

Quell'anno in particolare l'accademia era più piena che mai: migliaia di ragazzi avevano cambiato scuola con l'avvento dei nuovi "K78 impulse", i nuovi prototipi di astronave erano quasi veloci quanto costosi, ció aveva fatto desiderare ad ogni ragazzo di essere il comandante di una di quelle, un giorno.

Tuttavia Mark non era uno di loro, lui coltivava il suo sogno sin da piccolo, grazie infatti all'ambita carriera del padre, riuscí a salire all'età di 4 anni su uno di quei vecchi G32, che adesso anch'egli considerava un pó antiquati; da allora il suo sogno é sempre stato quello di volare.

Tentó di mettersi in punta di piedi, ma per via della sua bassa statura non riusciva a vedere oltre l'enorme folla dei nuovi iscritti, così si guardó intorno in cerca dei suoi compagni di corso, e sopratutto dei suoi "migliori amici", un termine per lui alquanto relativo dato che non avevano avuto contatti durante l'estate.

L'apertura delle porte diede il via ad una vera e propria ecatombe: i novizi, totalmente disorientati, si riversarono in massa sulle varie ale dell'accademia, bloccando il passaggio di tutti i corridoi; a Mark non restó scelta se non aspettare fuori mentre la borgia generale andava calmandosi.

Si sedette su uno dei gradini mentre veniva continuamente spintonato dal flusso di persone che sembrava infinito, persino i professori non sapevano che fare, così si unirono alla folla tra spintoni e scambi di parole ben poco cortesi.

Mark era totalmente perso nei suoi pensieri, sembrava che nulla potesse distoglierlo dalla fase in cui l'enfasi di pochi minuti prima veniva totalmente sciolta dal chiasso intorno a lui; nulla eccetto che un frastuono assordante, il quale in pochi secondi sovrastó tutti i rumori precedenti e portó la folla a girarsi di scatto verso il piccolo cortile dietro di loro.

Mark sorrise, quel meraviglioso frastuono lo avrebbe riconosciuto tra mille, era una delle nuove K78 , che adesso , sfavillante e soave, stava mostrando tutta la sua potenza schiacciando totalmente il malandato prato del cortile.

Sotto la K78, in meno di 3 secondi, si materializzó una figura femminile magra e slanciata, che con un gesto timido e quasi angelico premette un tasto al lato di quello che dava tutta l'aria di essere un casco, in un attimo sparì la visiera e il casco si compose in un piccolo cubo che adesso la ragazza teneva in mano mentre lasciava fluire la sua meravigliosa chioma di un biondo che sembrava oro.

Mark se ne stava lí a fissarla, come il resto della scuola, d'altronde, ma per lui non era lo stesso, non era la prima volta che la vedeva : era Bea, il suo "angelo" , che adesso aveva puntato i suoi occhi blu oceano addosso a lui e aveva sorriso, Mark arrossí, quasi sveniva, e non potè fare a meno di rimanere a bocca aperta.

"Cosa c'è? Hai visto un fantasma per caso? - disse una voce in tono ironico proveniente da dietro di lui- "Bernard!" urló il ragazzo, ritrovando quell'entusiasmo che un attimo prima aveva perduto.

L'altro giorno in cui si nasce.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora