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Era una notte d'autunno quando accadde la tragedia: i miei occhi assistettero al massacro dei miei genitori. Ero immune da qualsiasi movimento, da qualsiasi pensiero. I loro corpi, sui quali io mi abbandonai più volte, furono massacrati da interminabili colpi di lame. Sentì il mio cuore morire lentamente, ogni battito affievolirsi. Fu la prima volta che chiesi alla morte di rapirmi, ma lei non mi ascoltò. Gettai lacrime interminabili su quei corpi ormai privi di ogni soffio vitale, ma che portavano con sé non solo il dolore ma la speranza di un ritorno. Credetti che ormai le mie urla di dolore e di bisogno non sarebbero servite a niente, e che nessuno volesse darmi ascolto. Così decisi che quella sarebbe stata la mia ultim notte di pianto. Passarono anni da quella maledetta notte, giorni dedicati a soddisfare la mia sete di vendetta. A trovare l'uomo colpevole della morte dei miei genitori. Rimasi solo, senza una casa, senza una famiglia, senza nessun amico. Ho dovuto cavarmela sempre da solo. Non ho mai permesso a nessuno di entrare nel mio cuore, avrebbero trovato solo del male. Tenevo tutti alla larga o, forse, erano loro a tenere alla larga me. Comunque, era la miglior scelta che potessero fare. Altri invece, erano molto curiosi di conoscere la persona che ero. Peccato che questa curiosità non portasse altro che repulsione. Sentivo il dovere di proteggere il mio scudo, nessuno avrebbe mai capito. Ogni giorno cercavo di riempire la mia mente con distrazioni, ma l'unico che riuscii a trovare fu lo studio. La mia vita è sempre stata una sopravvivenza, ma questa volta decisi di vivere. Mi cercai un lavoro e pian piano, tutto trovava un equilibrio. Trovai un piccolo appartamento in affitto, acquistai una montagna di libri e mi iscrissi all'università. I giorni trascorrevano serenamente. Ringraziai il cielo di trovarmi in un'aula abbastanza grande da potermi isolare. Volevo solo sentire le parole dei professori entrare nella mia testa e cercare di accumulare tutto quello che la mia mente riusciva ad assorbire. Evitando di ascoltare i racconti delle vite perfette dei miei ''colleghi''. Ma sapevo benissimo che la mia vita non sarebbe continuata per sempre così. Ero nei corridoi dell'università quando la mia vita fu travolta di nuovo. Molto spesso mi capitava di sentire delle voci rimbombarmi nella testa, ma mai ne presi davvero interesse, non m'importava più di tanto. Ma questa volta qualcosa m'infastidì parecchio: un gruppo in lontananza ridacchiava e commentava sui miei vissuti. Non accettavo il fatto che la gente dovesse sapere di me, perché me ne vergognavo. E non c'entra nulla con quello che era accaduto ai miei genitori, ma alle sue conseguenze. Appena cominciai ad avere dei soldi in tasca non persi tempo a spenderli in droghe. Mi drogavo, e non pensavo che ci fosse qualcosa di più liberatorio. Pensavo fosse l'unica cura per le mie sofferenze; così quando cominciai a capire davvero quale effetto facesse alla mia mente, ne assunsi dosi sempre più pesanti e forti, finché non arrivai al limite della morte. Effettivamente volevo che la morte una volta e per tutte cercasse di prendermi, ma qualcosa mi riportò alla mente l'immagine dei miei genitori morti, e quella del bastardo che li aveva uccisi. Così decisi che prima di lasciare questo mondo bastardo, dovevo compiere l'ultima mia missione: ucciderlo.

Lasciate qualche commento, ho davvero il grande desiderio di sapere cosa ne pensiate! un bacio xoxo.

Credevo nella speranzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora