"Quanti ne hai fatti oggi?" mi chiese John il giorno seguente, quando presi posto sui sedili posteriori.
"Cinque."
Ne avevo fatti nove.
Un raggio di sole perforava il finestrino e andava a stagliarsi sulla testa del bastone da golf, rompendosi in mille riflessi che mi disturbavano gli occhi, impedendomi di dimenticarne la presenza.
Continuai a mentire a John per tre mesi, lui non si accorse di nulla. Non lo feci mai a cuor leggero, qualcosa dentro di me mi diceva che non sarei riuscita a farla franca.
Quando finalmente ebbi risparmiato abbastanza soldi, mi recai a un'agenzia di viaggi e, incredula per essere riuscita ad arrivare fino a quel punto, comprai un biglietto last minute per Londra. Sarei partita il pomeriggio del giorno dopo.
Avevo paura, più di quanta ne avessi avuta in tutte le settimane precedenti, ma ormai ero giunta al punto di non ritorno. Quell'assenza di dubbio mi conferì una risolutezza che mi guidò attraverso tutta la giornata in una sorta di stato onirico.
Lasciai l'appartamento prima dell'alba, in spalla la stessa sacca sportiva che mi aveva accompagnata nel viaggio dal mio paesino a Campinas, tre anni prima.
Mi avviai furtiva verso la stazione degli autobus, evitando le strade dove battevano le ragazze, con il cuore in gola e le orecchie tese.
Non mi accorsi che qualcuno mi stava seguendo fino al momento in cui sentii un dolore lancinante alla spalla. Girai lentamente lo sguardo e carpii il bagliore della mazza brillare al chiaro di luna. Il mio cuore fece un tuffo.
Del resto non ricordo più nulla, se non un'immagine: la figura di Helèna che si stagliava alta sopra di me:
"Se non ti hanno distrutto la faccia, è solo grazie a me" disse.
Fui svegliata da una sensazione di malessere generalizzato.
Aprii gli occhi. Dopo qualche secondo riuscii a mettere a fuoco lo sguardo. Giacevo supina su un letto a due piazze. Non conoscevo la stanza. Capii subito che non mi trovavo in un ospedale. L'arredamento era curato e femminile, sui toni del rosa. Notai dei peluche su una poltrona vicino al letto. Intuii che doveva essere l'abitazione di una giovane donna. Provai ad alzarmi, ma al più piccolo movimento ogni arto mi doleva terribilmente. Persino allungare il collo richiedeva uno sforzo sovrumano.
Improvvisamente mi tornò alla memoria il volo per Londra. Non avevo bisogno di sapere che ora fosse per avere la certezza che quell'aereo stava volando alto nel cielo, la mia poltrona vuota. Forse era addirittura già atterrato.
Chiusi gli occhi e mi lasciai sprofondare nel materasso morbido e spesso che avvolgeva il mio corpo come un oggetto di vetro in una nuvola di ovatta. Un oggetto frantumato, come frantumato era il mio sogno. Eppure, vedete, malgrado tutto, nemmeno allora, senza sapere le mie condizioni di salute né dove mi trovassi, neanche in quel momento ho dubitato che mi sarei riaggiustata.
Neppure per un istante ho pensato che quella sarebbe stata la resa.
Sentii il respiro caldo di un altro essere umano sulla faccia. Spalancai gli occhi di nuovo e me ne trovai davanti un paio di così scuri da non riuscire a distinguere l'iride dalla pupilla.
Profumava di zucchero e vaniglia.
"Ti sei svegliata, finalmente" disse la ragazza allontanandosi dal mio viso. Tutto quello che riuscii a scorgere fu una lunga chioma di capelli castani di riflessi ambrati.
"Stavo cominciando a preoccuparmi."
"Chi sei?" le chiesi.
"Mi chiamo Sabrina. Alvaro non sapeva dove portarti, ha pensato che magari all'ospedale potessi avere dei problemi con la polizia, e allora ti ha portata da me."
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L'Appartamento di Bond Street
Teen FictionA diciannove anni Luca lascia il paese natale, si trasferisce a Londra e inizia una nuova vita, dei cui dettagli i suoi cari sono all'oscuro. Cosa succede quando Luca scompare all'improvviso?