THE HUNT

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Francesca

Era passata una settimana. Il tempo scorreva lento, quasi appiccicoso, come se il palazzo volesse imprigionarmi tra le sue mura dorate. L'imperatore mi aveva fatto rimanere qui. Non mi ero opposta. Ogni passo che facevo era calcolato, ogni parola pronunciata come una tessera di un puzzle che solo io conoscevo.

Avevo un piano. Volevo che lui e io ci sposassimo.

Hanna era solo un ostacolo. Debole, insignificante, perfino disprezzata da chi la circondava. Era una pedina inutile in questa partita. Io, invece, ero nata per governare. Lo sapevo. Lo sentivo. Sarei stata un’imperatrice perfetta per Hyperborea.

Ma non mi sarei fermata lì. No. Una volta sposata con lui, avrei preso il suo posto. L’imperatore non sarebbe sopravvissuto al nostro matrimonio.

Sorrisi al pensiero. Un sorriso che nessuno avrebbe capito, un sorriso che raccontava più di quanto le mie parole avrebbero mai potuto fare.

Spensi la sigaretta con un gesto lento e deliberato, osservando il fumo dissolversi nell’aria. Mi piaceva il whisky di prima mattina. Era un vizio, certo, ma anche una necessità. Un bicchiere caldo in gola per ricordarmi che ero viva, che respiravo ancora, che il mio cuore batteva per uno scopo.

Mentre il liquore scendeva, pensai a lui. Non era stupido, ma neppure invincibile. Aveva un punto debole, e quel punto ero io. Lo avevo visto nei suoi occhi, nei suoi gesti. Ogni volta che mi avvicinavo, ogni volta che gli parlavo, lo sentivo vacillare.

Era una danza sottile, questa. Una danza di potere, seduzione e controllo. Una danza che avrei condotto fino alla fine. Ma per adesso, il gioco continuava.

Bevvi un altro sorso, fissando il palazzo che si estendeva davanti a me. Quel posto sarebbe stato mio. Non era solo un desiderio; era una promessa. E io non avevo mai rotto una promessa.

Jack stava ancora dormendo, il suo respiro lento e regolare riempiva il silenzio della stanza. Lo osservai per un momento, distogliendo i pensieri che continuavano a ronzarmi in testa. Non riuscivo più a stare in questo palazzo.

Era un luogo soffocante, pieno di ricchezze che non significavano nulla per me. Dov’erano l’odore del mare, del legno salato e del pesce fresco? Mi mancava il vento che sferzava il viso durante una tempesta, il rollio instabile della nave sotto i piedi. Quella era la mia casa, non questa gabbia dorata.

Sospirai e mi alzai, i piedi nudi sfiorarono il pavimento freddo. Camminai lentamente verso la finestra, osservando la luce fioca del mattino che cominciava a illuminare il palazzo. Il corpetto stretto mi opprimeva. Mi ricordava ogni secondo quanto odiassi quei vestiti, quella finzione. Non ero fatta per le sete pregiate e i corsetti che toglievano il fiato. Io amavo la libertà dei pantaloni, la comodità di un pugnale legato alla cintura, pronto a essere usato.

Ringrazio mio padre ogni giorno per non avermi lasciata qui, come ha fatto con Alyssa.

Lei era diventata una parte di questo mondo, un pezzo del palazzo, una bambola perfetta. Io no. Io ero diversa. Lui lo aveva visto in me, lo aveva capito. Mi aveva portata via, mi aveva cresciuta tra il rumore delle onde e il fragore delle battaglie.

Ma ora ero tornata. Non per restare, ma per reclamare ciò che era mio. Un regno non si costruisce con le mani pulite, e io ero pronta a sporcarmi fino in fondo.

Mi sedetti sul letto, le lenzuola fredde contro la mia pelle. La schiena nuda di Jack sembrava quasi irreale nella luce del mattino, muscoli tesi e cicatrici che raccontavano storie di un passato che non mi aveva mai rivelato completamente.

Passai la mano sulla sua pelle, sentendolo sobbalzare leggermente. Ridacchiò sommessamente, quella risata profonda e bassa che avevo imparato a riconoscere.

Francy- la maledizione dell'imperatrice Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora