twenty-eight

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Ester's POV

La scritta "Sfida" troneggia sulla mia felpa rosso fiammante nuova di zecca.
I pensieri riguardanti la lettera e i miei genitori volteggiavano nella mia testa mentre ballavo, o almeno cercavo di portare a termine decentemente l'esibizione.

L'amarezza mi mangia lo stomaco mentre mi chiudo la porta della sala oreo alle spalle.
Seduta davanti allo specchio si trova Deborah, che mi accoglie con un sorriso comprensivo e le braccia aperte.
L'abbraccio mi avvolge e immediatamente sento le lacrime ricominciare a sgorgare dai miei occhi.

Sono passate quasi due ore dalla fine della puntata e per tutto il tempo mi sono chiusa in bagno.
Il senso di sconfitta e la delusione mi perforano dentro, come se un trapano stesse scavando al mio interno.

Chiara e Teodora, anche loro purtroppo con le maglie della sfida, mi tenevano compagnia da fuori dal bagno.
Di tanto in tanto entrava qualcuno e lasciava qualche parola di conforto, ma non accennavo ad uscire.

Anche Gabriel si era fatto vivo, era rimasto al di là della porta per una buona mezz'ora. Dopo un discorso quasi motivazionale, l'ho liquidato con una scusa.
So che ci è rimasto male ed è l'ultima cosa che volevo, ma la mia testa aveva così tante informazioni da metabolizzare che nessuno poteva tirarmi su il morale.

«Allora, che è successo?» chiede la mia professoressa, invitandomi a prendere posto di fronte a lei.
Stringo le spalle, asciugandomi gli occhi con la manica della felpa.
«Lo siento, Deborah... i pensieri mi hanno sconcentrata dalla coreografia y me doy cuenta di aver ballato male» farfuglio.

Le mani della donna si poggia sulle mie spalle, costringendomi a guardarla negli occhi.
«Ester, guardami. È tutto okay, va bene? Sei brava, talentuosa e fin'ora non hai avuto problemi. Questo è il primo inciampo nella tua strada e stai sicura che ne affronterai altri. Ma, appunto, hai tutte le capacità per superare a pieno questa sfida».

Ogni parola della mia maestra mi colpisce nel cuore, come se cercasse di ripare le crepe che quella sensazione di fallimento continua a creare.

«Gracias» un sorriso genuino fa capolino sul mio volto ancora arrossato.
«E quindi questa settimana cosa facciamo?»
«Bailamos todo el tiempo» affermo convinta.
Una mezza occhiata di rimprovero attraversa il volto di Deborah. «Non stressarti però, poi fai peggio».

Nonostante non ne sia convinta, annuisco.
Conoscendomi, passerò ogni ora della settimana che viene rinchiusa in sala a provare tutti i pezzi che mi sono stati assegnati fino ad ora.

Mentre torno in casetta, inizio a realizzare a cosa sto andando incontro.
In queste tre ore da quando ho visto il mio nome scritto in rosso, non avevo ancora pensato al fatto che potrei effettivamente uscire da Amici e abbandonare il mio sogno.

Una sensazione semi sconosciuta genera una fitta all'altezza del petto. È un misto tra paura e sconforto, nonostante io sia determinata a riprendermi la mia maglia grigia del programma.

Non appena entro nella mia stanza, io e le mie compagne ci stringiamo in un abbraccio.
Tre concorrenti in sfida provenienti dalla stessa stanza.
«La stanza gialla è diventata roja» sussurro, mentre l'ennesima lacrimuccia scivola sulla mia guancia.
Chiara e Teodora si abbandonano ad una risatina.

Con la testa pesante, esco in giardino con il mio pacchetto di sigarette e una coperta.
È uno di quei momenti in cui sento la necessità di stare nel silenzio, possibilmente con le luci abbassate, in balia dei miei pensieri.

Qualche anno fa questa cosa mi abbatteva.
Mentre attraversavo il mio disturbo alimentare, nonostante mi sentissi sola non riuscivo effettivam ad isolarmi del tutto. La paura delle conseguenze della mia solitudine mi spaventavano.

Okay, Ester, che direbbe la nonna?
No hay mal que por bien no venga
Non tutto il male vien per nuocere.

La nonna mi prenderebbe le mani, farebbe sedere sulla poltrona gemella alla sua e mi guarderebbe dritto negli occhi.
In quegli occhi leggo sempre un velo di malinconia, nonostante la scintilla onnipresente nelle iridi blu non smetta di brillare.

«Coraggio, Estrellita, ce la devi fare. Non esiste l'opzione in cui non ci provi. Balla per la tua abuela»

In sostanza, cercherebbe in ogni modo di convincermi di vedere il lato positivo della sfida, spronandomi a prenderla bene e a vivermela con serenità.

Purtroppo, la nonna è chilometri e chilometri da me, nella sua casetta a Barcellona mentre combatte con i suoi ricordi.
L'Alzheimer ha distrutto tutta la positività che la contraddistingue da sempre.

Alle mie spalle la porta finestra si apre, interrompendo il mio flusso di pensieri.
Vybes si siede sulla poltroncina alla sinistra del divano in cui mi trovo.

«Stai meglio?» chiede.
Nella sua voce sento un tono diverso dal solito, più teso e oserei dire scontroso.
«No exactamente»
«Ce la fai, Ester. Sei brava e lo sai anche tu, devi solo lasciare fuori i tuoi pensieri. Anche questo sai farlo, basta che ci provi» mormora il ragazzo, facendo scattare l'accendino.

Un sorriso amaro mi dipinge il viso. «Fosse fácil»
«Non ho detto che lo è, basta impegnarsi e magari lasciarsi aiutare» ribatte Gabriel, con la stessa nota storta nella voce che avevo afferrato prima.
Percepisco come un fastidio velato, un'accusa nei miei confronti.

«C'è qualcosa che mi vorresti decir, Gabriel?»
Il moro stringe le spalle, la medesima espressione fintamente tranquilla. «No, dovrei dirti qualcosa?»
«Te l'ho chiesto io»
«Non ho proprio niente di cui parlarti, volevo provare ad aiutarti ma a quanto pare sei nervosa»

Inizio a sentire il cuore battere più forte, purtroppo non per via di una emozione positiva.
Un piccolo moro di rabbia si accende dentro di me.

Sento i nervi tendersi. «Suficiente, non mi piacciono questi giochetti. Si quieres decirme qualcosa fallo e basta»

Per la seconda volta nel giro di dieci minuti, la porta si spalanca.
I lineamenti dolci di Francesca fanno capolino.
«Scusa, Ester. Ti dispiace se te lo rubo? Gabri, dobbiamo fare i piatti»

Intercetto lo sguardo di Vybes e, con una freddezza che solitamente non mi appartiene, gli faccio un cenno con il capo.
«Se non vuoi hablar vai pure, non c'è altro da dire».
Il ragazzo mi lancia un'occhiata carica di risentimento, prima di sparire dentro la casetta mentre Francesca inizia a parlargli animatamente di qualcosa.

Che discussione del cazzo.
No, neanche discussione. Battibecco ai livelli della scuola media. Sì, più accurato.
Il suo essere criptico e il tono accusatorio che mi ha riservato è stato in grado di alzare ulteriormente il mio malumore.

Se la settimana andrà avanti così, la vedo difficile lasciare fuori i pensieri e concentrarmi solo sulla danza.

𝓤nwritten [𝘝𝘺𝘣𝘦𝘴]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora