LASS

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Francesco

Guardai Hanna dormire. Era bellissima, il viso disteso, i capelli sparsi sul cuscino come un dipinto. Il lenzuolo bianco le copriva a malapena le spalle nude. Non sapeva, non avrebbe mai immaginato, che l’avevo tradita.

Le baciai la spalla, un gesto che non meritava, ma che in quel momento sentii necessario. Le accarezzai la pancia, tonda, piena, che custodiva il futuro del mio regno. Era cresciuta, come il mio dubbio, come il mio disprezzo. Mi chiesi, ancora una volta, se quel bambino fosse davvero mio.

Mi alzai lentamente dal letto, attento a non svegliarla. Non volevo affrontare le sue parole, le sue richieste, le sue accuse sottili. Appoggiai la schiena allo schienale intagliato del letto, sentendo il freddo del legno contro la pelle nuda.

Hanna non era come Francesca. Hanna era vulnerabile, fragile, come una porcellana che temevo si potesse rompere sotto il peso di una sola parola. Francesca, invece, era così forte, indomabile. La sua forza era una sfida, un coltello affilato puntato verso di me, e io non potevo fare a meno di volerlo impugnare.

Mi alzai dal letto senza fare rumore. Il tappeto soffocava i miei passi, mentre mi avvicinavo alla finestra. La stanza era buia, rischiarata appena dal pallore dell’alba che filtrava tra le tende pesanti. Le spostai lentamente, lasciando che la luce fredda inondasse la stanza.

E lì la vidi.

Francesca.

Era sopra il suo cavallo bianco, la figura scolpita contro il grigio del cielo. La osservai mentre si alzava in piedi sulle staffe, un gesto elegante e pericoloso, il cavallo che continuava a correre in cerchio, obbediente ma selvaggio come lei.

Il vento giocava con i suoi capelli, e lei sorrideva, libera, selvaggia, inarrivabile.

Sorrisi anch’io, senza rendermene conto.

Il bacio di ieri mi tornò alla mente. Era stato un errore? Probabilmente. Ma non riuscivo a pentirmene. Il sapore di lei era ancora sulla mia bocca, il calore della sua pelle bruciava ancora sulle mie mani.

Non potevo averla, ma non potevo nemmeno lasciarla andare.

Mi appoggiai alla cornice della finestra, lo sguardo fisso su di lei. Hanna era un dovere. Francesca era un desiderio. E io, intrappolato tra i due, sentivo il peso delle mie scelte come una catena intorno al collo.

Hanna era qui, nel mio letto, a portare dentro di sé il mio erede. Ma Francesca... Francesca era là fuori, sopra il suo cavallo bianco, a ricordarmi tutto ciò che non potevo avere.

Un sussurro gelido mi raggiunse, come il vento che soffia dalle profondità di un incubo. Mi girai di scatto, il cuore martellava nel petto, e la vidi.

Mary.

Era lì, come sempre, con la sua testa mozzata tra le mani, i capelli neri che le cadevano come un velo funebre sul viso pallido. I suoi occhi erano pozzi vuoti, eppure sembravano vedermi meglio di chiunque altro.

Non c'era traccia della nostra bambina. Questo mi diede una fitta al petto.

«Hai già pensato di tagliarle la testa?» chiese con quella voce dolce, velenosa, che mi aveva sempre sedotto e terrorizzato.

Feci un passo indietro, allontanandomi da lei, ma il muro freddo della stanza mi fermò. «No, Mary. Vattene. Ti prego.»

Sorrise, un sorriso rotto e crudele, mentre avanzava verso di me. «Oh, Francesco, non puoi liberarti di me così facilmente.» Cercò di toccarmi con quelle mani insanguinate, ma mi scansai come se il suo tocco potesse bruciarmi.

Francy- la maledizione dell'imperatrice Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora