HAPPY FOR HER

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Francesca

Stringevo tra le mani la lettera, il sigillo di ceralacca ormai spezzato, e con esso il fragile filo che mi legava a Francesco. Il suo nome, scritto con cura, mi sembrava una condanna. Ogni parola incisa sulla carta era un frammento della sua anima, un'anima che, nonostante i suoi giuramenti, non mi apparteneva mai del tutto.

Aprii lentamente la lettera, il cuore che batteva in modo irregolare. Iniziai a leggere, e le sue parole si srotolarono davanti a me come una confessione:

Cara Francesca,
Non potete capire cosa sta succedendo nel mio palazzo, sto impazzendo. Ti desidero ogni giorno di più. Oggi, 4 gennaio 1838, è nata Lidia. Sta bene ed è bellissima. L'unico problema è Hanna. Lei è ancora in coma, ha perso molto sangue. Spero che tu stia bene. Noi vi aspettiamo.
Con tutto l'affetto, Francesco.

Le sue parole mi trafissero come pugnali, ma il sorriso che si dipinse sul mio viso era amaro, crudele. Gettai la lettera nel fuoco, osservando le fiamme che divoravano i suoi segreti, trasformandoli in cenere.

«Lidia,» sussurrai tra me e me, assaporando quel nome sulle labbra. Un'erede femmina. Non il maschio che Francesco desiderava. Non il figlio che avrebbe consolidato il suo potere. Una parte di me era sollevata, persino felice che il destino gli avesse concesso ciò che non voleva.

E Hanna… povera, fragile Hanna. In coma. Il mio sorriso si allargò, ma il vuoto che sentivo dentro rimase intatto. Che diritto aveva lei di soffrire? Io conoscevo il dolore più di chiunque altro, eppure non mi era permesso crollare.

Mi sedetti sulla sedia, la stanza immersa in un silenzio interrotto solo dal crepitio del fuoco. Ero a Shambala, lontana dal palazzo, lontana da lui. Ma la distanza non bastava a spegnere il desiderio che ancora ardeva in me, quel desiderio che mi consumava ogni giorno di più.

Oggi dovevo fare un’apparizione in pubblico, e non vedevo l’ora di farmi vedere. Non per gloria o vanità, ma per dimostrare a tutti, a lui, che ero più forte di ciò che volevano farmi credere.

Mi alzai lentamente, i miei passi che risuonavano sul pavimento di marmo. Mi guardai allo specchio. Il vestito scuro che avevo scelto sembrava fondersi con le ombre della stanza, la stoffa aderente che evidenziava ogni curva, ogni segreto che portavo con me.

Passai le dita tra i capelli, intrecciandoli con cura, mentre la mia mente tornava a Francesco. Mi immaginai i suoi occhi su di me, il desiderio che li avrebbe consumati. Sapevo come giocare, come manipolare, ma sapevo anche quanto fosse sottile la linea tra controllo e perdita.

La felicità che provavo era amara, avvelenata da una consapevolezza crudele. Hanna aveva avuto una bambina, una figlia che avrebbe potuto salvarla dalla solitudine che io stessa conoscevo troppo bene. Almeno, pensai, avrebbe avuto qualcuno da amare, qualcuno da crescere.

Ma poi la mia mente si oscurò. E se lui avesse già in mente di ucciderla? Francesco era un uomo di potere, un uomo che desiderava controllo, eredi, e nulla che gli ostacolasse la strada. Sospirai profondamente, scacciando quel pensiero che, anche se terribile, non sembrava impossibile.

Uscii dalla stanza, il mio mantello che scivolava dietro di me, come se volesse cancellare ogni traccia del mio passaggio. Avevo ancora tanto da fare, tanti piani da mettere in atto, tante battaglie da combattere, ma quel pensiero non mi lasciava mai: il confine tra amore e potere era sempre così fragile.

«Francy!»
La voce squillante di Cleopatra ruppe il silenzio del corridoio. Mi voltai lentamente, i miei occhi che incontrarono i suoi. La vidi correre verso di me, i fogli in mano, il suo volto acceso da un'espressione di urgenza che non riusciva a nascondere.

Francy- la maledizione dell'imperatrice Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora