THE DIARY...

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Francesca


Un mese dopo,
ero partita per Antaltide. Avevo lasciato quella gabbia dorata di merda e ora mi trovavo nella casa di una delle mie nonne. La villa era immensa, quasi opprimente nella sua grandezza. I miei passi risuonavano sulle piastrelle di marmo, fredde e lucide.

Toccai le colonne che circondavano il soggiorno, i loro motivi elaborato. I divani, rigidi e rivestiti di velluto logoro, sembravano più decorativi che funzionali. Poi il mio sguardo si fermò su un grande dipinto.

Lei era lì, ritratta in tutta la sua imponenza: mia nonna. I capelli rossi e gli occhi verdi sembravano scrutarmi, vivi, come se mi giudicassero. Mi ricordavano Hanna. Una fitta mi trafisse il petto. Mi avvicinai al mobile dove era posata una cornice dorata, e la presi tra le mani tremanti. La foto di Hanna mi osservava. Chiusi gli occhi, lasciando che i ricordi mi travolgessero.

Mi sedetti su uno dei divani, un po' scomodo, incapace di distogliere la mente dalla sua morte. Feci sbattere i piedi sul pavimento, e un tonfo improvviso mi fece abbassare lo sguardo.

Mi sdraiai a terra, il pavimento freddo contro la mia pelle, e spostai con attenzione il tappeto pesante che copriva una parte del soggiorno. Notai qualcosa di strano: sotto non c'era una mattonella come mi aspettavo, ma un piccolo vano incassato. Incuriosita, allungai una mano e trovai un oggetto.

Era un diario, antico, con la copertina consumata dal tempo. Lo sollevai e lessi il nome inciso in lettere dorate sulla copertina: Cornelius.

Un sorriso amaro mi attraversò le labbra mentre ripensavo a tutte le storie che avevo sentito su quel nome. Soffiai sulla superficie impolverata per pulirlo e, con un misto di emozione e timore, lo aprii.

Lo aprii lentamente, le pagine ingiallite scricchiolavano sotto le mie dita. L'odore di carta antica e inchiostro sbiadito mi avvolse mentre scorrevo le prime righe.

1808, Gennaio 12

Io e i miei compagni avevamo finalmente preso il tesoro. Le monete d'oro brillavano come stelle nella la nostra stiva, e le gemme riflettevano la luce delle lampade ad olio come se avessero vita propria. Era stata una battaglia dura, ma ogni taglio e cicatrice valevano quella ricompensa.

Dopo giorni di navigazione, siamo giunti al porto di Marina. Il mare ci aveva lasciato il sale sulle labbra e la fatica sulle spalle, ma non importava. Ci siamo diretti senza esitazione al bordello più noto della città. Era lì che avremmo trovato la nostra meritata ricompensa... non in oro, ma tra le braccia di donne che sapevano come curare le ferite di uomini come noi.

Le risate dei miei compagni riempivano l’aria quando entrammo. L'odore di tabacco e alcol si mescolava a quello dei profumi dolciastri delle puttane. Una donna con lunghi capelli neri e occhi di ghiaccio mi prese per mano e mi condusse in una stanza.

Era una donna bellissima, di quelle che ti lasciano senza respiro. Aveva i capelli scuri come la notte e labbra che sembravano disegnate per tentare un uomo. I suoi occhi, profondi e misteriosi, mi guardavano come se potessero leggere ogni mio pensiero.

Non volevo tradire mia moglie. Lo giuro, non era mia intenzione. Ma quella donna... aveva qualcosa che mi attirava come una maledizione, un desiderio impossibile da ignorare. Le sue mani sul mio petto, il suo corpo caldo contro il mio... abbiamo scopato. Non potevo crederci. Mentre accadeva, il pensiero di mia moglie e delle mie due figlie, Francesca e Alyssa, mi colpiva come un pugnale al cuore.

Eppure, quella notte mi sembrò un sogno. Un sogno proibito e indimenticabile. La sua risata bassa e il modo in cui mi sussurrava all’orecchio mi fecero dimenticare tutto per qualche ora: il mare, i tesori, la colpa, la mia stessa esistenza.

Quando il sole si affacciò all’orizzonte, lei se ne andò. Non l’ho più vista, ma il ricordo di quella notte rimarrà con me per sempre. È stato il momento più intenso e dolce che io abbia mai vissuto, anche se carico di rimorso.

1813, Luglio 7

Rividi quella donna. E questa volta non era sola. Aveva con sé una bambina dai capelli rossi, probabilmente sua figlia. Eppure, qualcosa in quella piccola mi colpì: i suoi occhi. Erano come i miei, due specchi. Non potevo smettere di guardarli.

Guardavo mentre la bambina raccoglieva conchiglie. Ne presi una io stesso, la più bella che trovai durante una delle nostre immersioni nell’oceano, lucida e perfetta.

Mi avvicinai con la conchiglia tra le mani, le dita tremanti per il peso di un’emozione che non riuscivo a comprendere. La donna mi guardò, i suoi occhi verdi come il mare si fissarono nei miei. Si avvicinò immediatamente alla bambina e la strinse al petto, come se volesse proteggerla da tutto e da tutti.

"Ci conosciamo?" chiese, la voce morbida ma carica di una paura sottile. Le parole mi scivolarono addosso, eppure mi colpirono, perché io non avevo mai visto prima quella donna, né conoscevo il suo volto. Avevo solo un ricordo sfocato di una notte passata con lei, un incanto breve e irripetibile. Eppure, in quell’istante, c’era qualcosa di familiare, come se la nostra storia si fosse intrecciata nel silenzio di un passato che non poteva essere ignorato.

Le risposi con un cenno, incapace di articolare una parola. Avrei voluto chiederle chi fosse, come si chiamava, quale fosse il nome della bambina tra le sue braccia, ma la bocca mi si era seccata e il cuore batteva così forte che non sentivo altro.

Non le chiesi il nome, né il nome della piccola. Era un segreto che non avrei mai scoperto.

C

hiusi il diario con un colpo secco, il suono riecheggiò nella stanza vuota, spezzando il silenzio opprimente. La scoperta mi bruciava nella mente come il fuoco di un'antica fiamma. Hanna. Mia sorella. La stessa donna che avevo visto cadere sotto la lama di Francesco, il suo volto pallido e gli occhi spenti. L'immagine di quella notte mi tornò con violenza, e la mia mente si bloccò su un pensiero inesorabile: ero stato io a tradirla.

Avevo pianificato tutto. Avevo detto a Francesco di ucciderla, di eliminarla senza pietà, e avevo creduto che fosse la cosa giusta. Nonostante il nostro legame di sangue, avevo ignorato l'istinto che mi spingeva a proteggerla, a salvarla. La mia rabbia, la mia sete di potere e la mia paura di perdere tutto mi avevano accecato, e ora, il peso di quella colpa mi schiacciava più di quanto avessi mai immaginato.

Le parole scritte nel diario non erano solo la prova di una notte dimenticata, ma di un segreto che aveva tessuto una rete tra i nostri destini, un segreto che non avevo mai voluto affrontare. E ora, la consapevolezza di ciò che avevo fatto mi stava consumando.

Mi alzai, il cuore colmo di una tristezza insostenibile, e guardai fuori dalla finestra. Il mare si estendeva davanti a me, indifferente e maestoso, come un ricordo che non si può cancellare. Era il mio regno, la mia terra, eppure non era più lo stesso senza di lei.

Hanna. Mia sorella. La donna che avevo perso, e che non avrei mai più ritrovato.

 La donna che avevo perso, e che non avrei mai più ritrovato

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