No, non andava bene. La stanza girava e un misto tra furia e paura si stava allargando dal suo corpo al mio.
Che diavolo ha fatto? Che diavolo ho fatto?
Nathan me l'aveva messa addosso, mezza nuda, le sue lacrime mi bagnavano la pelle del collo e piangeva come un bambino, a bocca aperta, con suoni striduli e lunghi.
L'avevo lasciata sola. Pensai al ragazzo che mi aveva domandato di uscire con lei. «Cosa...»
La stanza girava incontrollata, mi aggrappai a lei con troppa aria che entrava nei polmoni, ero una furia che voleva liberare la rabbia che mi stava salendo, l'avrei trovato e poi...
Nathan mi prese per i capelli e mi tirò indietro la testa. «Amico, guardami. Ha bisogno di te.» Le sue iridi sprofondarono nelle mie. «Devi stare con lei. Tu. Sta male. Ne ha passate troppe da sola, in questi giorni. Non. Lasciarla. Sola. Mai.» Il dolore alla testa della sua presa e le sue parole mi fecero ritornare in me.
Ho fatto una cazzata.
La osservai ricacciando indietro una parte di me che per anni avevo domato.
Tremava tra le mie braccia, in quel momento non aveva bisogno di un giustiziere, ma di qualcuno che la tenesse stretta mentre stava scivolando. Nate si sedette vicino a noi, senza parlare.
Piano piano, il pianto si affievolì e il suo respiro divenne regolare, i muscoli si rilassarono e la sua mano abbandonò il maglione, che si era deformato sotto la sua stretta.
Mi avvicinai al bordo del divano e feci forza sulle gambe per alzarmi senza cadere. Si alzò e me la prese via.
Lo seguii in camera e poi si fermò. «Dormi insieme a lei, io vado sul suo letto.» Si spostò e nel farlo, la scorsi. Una piccola striscia ormai marrone sul lenzuolo.
Rimuginai tutta la notte su ciò che era successo, il leggero segno e la macchia scura sulla gonna del tailleur parlavano da sé. Mi maledissi, per le poche ore che le avevo concesso da sola. Era stata consenziente? Nate non l'avrebbe perdonato, non sarebbe stato con noi se non avesse avuto un buon motivo. L'avrei visto uscire dalla stanza e a seguire, un'esplosione nucleare proveniente dalla casa del ragazzo avrebbe illuminato Seattle nel giro di pochi minuti.
Cosa le era passato per la mente? Cos'era successo davvero? Avrei dato tutte le parole che avevo la capacità di scrivere, per saperlo dalla sua bocca. Ma lei aveva scelto di dirlo a Nathan.
L'alba arrivò a fatica a sciogliere il nodo dei sensi di colpa e preoccupazione che non mi avevano fatto dormire.
Chiamai mio padre dopo aver fatto il check-in, seduti sulle file di sedie in acciaio e plastica . «Partiamo oggi. Juno vuole tornare a casa.»
«Mh mh.» mugugnò lui.
«Cosa succede?»
«Sharon è molto agitata. Le ho detto di Adam, e che Juno l'ha visto. Ma sembra essere più interessata a contattare Adam che a sapere come sta sua figlia.»
Sbuffai un "va bene" e richiusi il telefono. Non potevo credere che la donna fosse così attaccata al marito, tra l'altro fedifrago, più di quanto non fosse alla figlia.
Il viaggio di ritorno fu tranquillo, con grande sollievo mio e di Nate lei mangiò, anche se poco. Era pallida e un po' distratta, e ogni volta che le rivolgevo la parola, nascondeva il volto.
Pensai che provasse più imbarazzo di fronte a me che l'avevo sempre ripresa per ogni sbaglio, che non con Nate. Avrei voluto trovare il modo di dirle che non gliene facevo una colpa, ma l'unica cosa che ero capace di fare era stringerle la mano e accettare che appoggiasse la testa sul mio braccio, come all'andata.
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Pink Sapphire
General Fiction«Anche i tuoi regali devono avere dei nomi complicati. Lo zaffiro però è blu. L'ho visto nei libri». «È uno zaffiro speciale. Si trova solo in India. Invece di essere blu, è rosa. Ma è comunque uno zaffiro». I Simmons nascondono un segreto, e Juno s...