2.14 ● QUANDO TORNARONO GLI AMICI

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Sometimes I wonder where I've been,
Who I am,
Do I fit in.
Make believein' is hard alone,
Out here on my own.

Fissavo nel silenzio di metà mattina l'acqua appena mossa dal vento di primavera

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Fissavo nel silenzio di metà mattina l'acqua appena mossa dal vento di primavera. Il cielo era limpido, non c'era una nuvola, mentre nella mia testa c'era una tempesta.

Quando la mamma mi aveva strappata da casa, avevo creduto di aver perso Seattle, i pochi amici che avevo avuto e papà.

In quel momento, col quaderno ad anelle sulle gambe, seduta sulla stessa sdraio su cui lei e David si erano parlati dopo anni di distanza, mi rendevo sempre più conto che io non avevo mai avuto Seattle. Erano giorni che ci pensavo: mio padre non aveva mai amato mia madre e Rita non era mai stata davvero mia amica.

Chi ero io, davvero? Avevo vissuto quasi sedici anni di menzogne, a cominciare da mia nonna, e anche io ero diventata una bugia. Mentivo alla mamma, mentivo alla nonna, mentivo per vivere in pace.

Tutti quei pensieri facevano male, più male dell'aver visto la bara di Rita o scoperto che mio padre non c'era mai stato per me.

Non mi sentivo più me stessa. Cos'era 'me stessa'?

Prima era tutto bianco o nero, solo giusto o sbagliato, non c'erano dubbi, come l'arrivare lì, che era stato sbagliato. Eppure a Seattle avevo domandato a Nathan di tornare a casa, in Florida.

«Chi sono, io?» La frase rimase nell'aria, senza risposta.

Afferrai il bordo della sdraio e lo strinsi con tutta la forza che avevo. Non potevo accettare che papà non volesse bene nemmeno a me. Forse la mamma lo aveva fatto arrabbiare troppo. Era a causa della mamma e del suo atteggiamento, se papà se n'era andato.

E invece lei aveva dato la colpa a quella donna. Non si rendeva conto di quanto fosse cattiva, fastidiosa. Anche io preferivo evitarla e a volte mi domandavo come David la sopportasse. Poi c'era Johnny. Il dolore che avevo provato. La sensazione di non essere padrona del mio corpo mentre lui era sopra di me. Se papà e Rita erano la tempesta, lui era come aria umida, appiccicata addosso e non si staccava dalla pelle e dalla coscienza. Mi strinsi l'avambraccio e grattai la pelle fino a far uscire dei puntini rossi. Dentro la sua auto stavo cercando un appiglio alla realtà, ma l'unica verità era che stavo facendo una cosa stupida. Non sapevo cosa stavo cercando ed ero andata a sbattere contro la peggiore delle soluzioni.

"Stupida" scrissi nervosa sul foglio. Poi lo riscrissi ancora e ancora, tante volte fino a che non mi fece male la mano, fino a che la parola perse di senso.

Mi fermai e mi lasciai incantare dalle righe piene. La tempesta di pensieri si era calmata.

Michael si sedette accanto; chiusi di scatto il quaderno.

Mi mostrò mio I-Phone che segnalava alcuni messaggi non aperti. «Li vuoi leggere?»

Mi strofinai gli occhi, non ero sicura di volerlo fare. Lo presi con la paura che qualunque cosa ci fosse scritto potesse peggiorare la mia situazione.

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