2.19 ● QUANDO INCONTRAI QUELLA DONNA

36 8 66
                                    

I spent so much time
Believing all the lies
To keep the dream alive
Now it makes me sad
It makes me mad at truth
For loving what was you

I spent so much timeBelieving all the liesTo keep the dream aliveNow it makes me sadIt makes me mad at truthFor loving what was you

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

David mi arrivò incontro nel vedermi rientrare a casa il sabato sera prima di cena. «Juno, che ci fai tu qui? Non dovevi andare a cena con le tue amiche? Qualcosa non va?»

«No no, tutto a posto.» Chiusi la porta. «Avevano degli impegni e me ne ero scordata.» Lo guardai dalla testa ai piedi. «E tu? Sei vestito da ufficio. Hai una riunione?»

Scosse la testa. «Volevamo portare Sharon cena, approfittarne visto che tu eri fuori. Ma a questo punto, puoi venire con noi.»

Si voltò di scatto verso la scala, poi di nuovo mi guardò accennando un piccolo sorriso.

Alzai le spalle. «Va bene, vado su a cambiarmi.» Tirai il bordo dei jeans. «Se siete tutti eleganti, non voglio fare una brutta figura. Viene anche Michael?» La sua risposta non arrivò, interrotta dal campanello che suonò come se avesse dovuto sfondare l'entrata col suo rumore. Chi cavolo era quel prepotente? Ferma sul primo gradino, mi girai di scatto: nessuno che conoscessi, nemmeno Nathan, era così insistente. Quattro, cinque volte consecutive e con poca distanza tra una scampanellata e l'altra. Rimasi lì, per vedere chi fosse il tizio invadente.

Lo zio rispose al videocitofono, non capivo le parole dall'altra parte della cornetta, il suono stridulo che arrivava sembrava non dargli tregua. Alla fine, a denti stretti, si decise a premere il pulsante per aprire il cancello e attese davanti alla porta d'ingresso.

Lucy scese dal piano di sopra con addosso un abito azzurro e verde con una bella scollatura e la gonna al ginocchio, mi superò brontolando in una lingua che non conoscevo e si diresse in cucina. Mia madre la seguì seria e per una volta, non era vestita il solito gilet spelacchiato ma una camicia lucida grigia e un paio di pantaloni neri e larghi.

David aprì la porta e apparve la donna che avevo già visto da lontano, quella della macchina elegante. Gli mise una mano sul petto e lo spostò.

«Buonasera, David.» La voce era morbida come il velluto, una scia di brividi mi scese per la schiena. Mi ero scordata di lei. Nei giorni passati avevo condiviso tanti momenti con Michael che non avevo più pensato alla tipa che se lo portava via per quattro giorni.

Per la prima volta la vedevo bene, e l'idea che davvero non potevamo essere niente di più che fratelli, mi scavava dentro allo stesso modo della pala del becchino che aveva scavato la fossa di Rita.

Lei assomigliava a un funerale. La morte di qualsiasi sentimento potessi provare per Michael. Se a lui piaceva quel tipo di persona, io ero senza speranze.

Vagava per la sala, era una macchia nera dalla testa ai piedi: i capelli lunghi con la piega a onde erano appena usciti dal parrucchiere; anche se il sole era calato, indossava degli occhiali scuri di forma allungata con le lenti nere, il vestito era così stretto sul corpo magro che ricordava la pelle di un serpente. Il tacco lungo e sottile delle scarpe, nere, ticchettava sul pavimento in legno; Lucy ci pregava di camminare solo con le pantofole: quegli spilli avrebbero lasciato voragini.

Pink SapphireDove le storie prendono vita. Scoprilo ora