Social Network

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Alla luce viene impedito di filtrare liberamente nella stanza dalle imposte chiuse.
All'interno tutto è immobile. Solo una donna, seduta sul letto, geme e singhiozza tenendosi la testa fra le mani.
Più che dai pochi raggi che riescono a superare le persiane, la camera è rischiarata dalla luce del computer sulla scrivania, aperto su una pagina facebook dove seguitano ad accumularsi notifiche.
Con l'ennesimo squillo di quella macchina infernale, la donna si abbandona a un singhiozzo più forte degli altri, e allunga la mano per chiudere con forza il portatile. Passa forse un secondo, poi, presa da un subitaneo rimorso, si precipita a riaccenderlo.
Non sopporta di starne lontano ormai. È l'unica cosa che ancora, in qualche modo, le fa sentire un collegamento con LUI.
Riapre facebook e si mette a fissare lo schermo: ha la faccia scavata, distrutta, gli occhi consumati dal troppo pianto. La faccia di una persona che ha subito troppo per poterlo sopportare e riprendersi come se niente fosse. Inizia a scorrere le notifiche, piano. Quasi tutte indicano nuovi messaggi sulla bacheca.
Le passa pian piano, leggendo spesso più che i messaggi in se i nomi di chi li ha pubblicati.
Neanche sapeva che il suo bambino conoscesse così tanta gente. Era quasi sicura, a dir la verità, che neanche conoscesse davvero almeno metà della gente a cui aveva dato la così detta "amicizia". Eppure lei era stata molto attenta, mille e più volte gli aveva ricordato di non dare confidenza a persone che non conosceva, fin da quando era bambino. "Non accettare le caramelle dagli sconosciuti" era stato sostituito con "Stai attento alle persone che conosci su internet".
Ma non era stata ascoltata, e la cosa era degenerata in tragedia.
Supera con stizza pochi inviti per giocare a un qualsiasi gioco online, con rabbia. Le sembra impossibile che il mondo continui a girare.
Le sembra impossibile che, ora che il suo bambino non c'è più, ci sia gente che ancora gli spedisca stupidi inviti a giocare.
Per lei tutto è finito quel giorno, quando il figlio è stato brutalmente strappato alla vita da un mostro che non ha neanche il diritto di essere chiamato uomo. E tutto per colpa dello stesso sito che lei ora sta scorrendo.
Le lacrime tornano a sgorgarle dagli occhi, anche se dopo due settimane avrebbe giurato di non averne più da spendere, e insieme a esse riaffiorano i ricordi.
Era sempre stato un bambino allegro il piccolo Gianni, solare. Fin da quando ancora non si reggeva in piedi aveva dimostrato una particolare predisposizione per socializzare con i suoi coetanei, tutto sorrisi e gorgoglii.
Che lei ricordasse, aveva pianto pochissime volte.
E nulla era cambiato fino a un apparente unico, buio periodo all'inizio della scuola media, che tuttavia era durato poco. La donna aveva subito notato il comportamento bizzarro del figlio, che sorrideva meno ampiamente e con meno frequenza di prima, e si era affrettata a chiarire con lui.
Aveva forse problemi con la fidanzatina, o professori troppo severi? Poteva aiutarlo in qualche modo?
Presto detto. La fonte del suo malumore non era nulla di ciò che la donna aveva presupposto, ma la stessa socializzazione, fino ad allora punto di forza del suo repertorio.
La madre ripensò a quel giorno di tanti anni prima quando, inconsapevolmente, aveva dato vita a tutto questo.
Il piccolo Gianni, con la faccia seria e gli occhi brillanti, le aveva esaurientemente spiegato che non riusciva più a legare bene con i compagni, a causa della importante presenza dei social network nelle loro vite. Per lui, che aveva a malapena un telefonino basico, risultava molto difficile tenere il ritmo con i vecchi amici, che correvano e si aggiornavano nel mondo di facebook e whatsapp. Per questo motivo gli capitava più che sovente di rimanere all'oscuro di notizie che i compagni si erano in precedenza scambiati su internet, e loro alla lunga si stancavano di doverlo sempre tirare in pari.
E così lentamente era stato isolato, messo in disparte dai ragazzi che si consideravano più all'avanguardia di lui.
E questo gli faceva male.
Per questo motivo, quando il bimbo aveva chiesto alla madre di potersi fare un account facebook, motivando la spiegazione con un discorso che a lei era sembrato molto maturo vista la giovane età del figlio, la donna non aveva ne' potuto ne' voluto dirgli di no.
E la sera stessa, Gianni aveva attivato il suo account facebook. Ovviamente non erano mancati, almeno inizialmente, ne' i controlli ne' le raccomandazioni. Il bimbo accedeva a internet al massimo mezz'ora al giorno, di sera, solamente dopo aver finito di studiare e fare i compiti, e ovviamente sotto la supervisione dei genitori. Per i primi anni non c'era un solo post o una sola foto che fosse stato pubblicato senza che questi lo venissero a sapere.
Nel frattempo, la soluzione aveva ottenuto il risultato sperato. Gianni aveva ripreso a essere allegro come prima, essendo sempre informato sulle novità degli amici, e non aveva più avuto problemi a relazionarsi con loro. Quando, l'anno successivo, era arrivato il cellulare provvisto di whatsapp, la sua integrazione era anche la migliorata.
La donna era indubbiamente orgogliosa del figlio. Non lasciava che questa mania dei social network condizionasse il suo rendimento negli studi, e allo stesso tempo sembrava non esserne affatto dipendente. Con il tempo, aveva mollato la presa sul ragazzo, fidandosi di lui e smettendo di controllarlo mentre usava il computer se non di tanto in tanto.
Tutto era cambiato, probabilmente, con il divorzio della donna con il marito, anche se allora non c'era stato nessun sintomo evidente. O forse erano semplicemente loro a non volerli cogliere.
Avevano annunciato la notizia a Gianni con il maggior tatto possibile, prendendolo da parte in cucina e spiegandogli dolcemente che avevano capito che il loro tempo insieme era finito, e che avevano deciso di comune accordo di proseguire le loro vite separatamente. Questo non significava, ovviamente, che gli volessero meno bene o che fosse stata colpa sua.
Gianni aveva preso la notizia incredibilmente bene per i suoi tredici anni.
Aveva risposto pacatamente che li capiva e che l'importante era la loro felicità, con un tono solo un pelo più mogio del solito.
Ma i genitori non se ne erano curati, orgogliosi di lui e anche di loro stessi, che avevano cresciuto un figlio tanto dolce e coscienzioso.
E non si erano avvisti neanche del fatto che subito dopo Gianni si era chiuso in camera e aveva acceso il computer, riversando in rete il fiume di parole che avrebbe realmente voluto dire ai suoi genitori, e aveva sfogato tutto con i suoi amici di facebook.
Aveva sopportato il suo dolore per quella separazione in silenzio, consolandosi con i social networks, mentre i genitori erano impegnati a legalizzare la separazione e a disporre dei luoghi dove si sarebbero trasferiti.
Loro non si erano accorti del suo disagio, e il bimbo si era attaccato sempre più al computer, entrando in contatto con nuovi siti. Instangram, youtube, tumblr.
Creò un account su tutti questi, e altri, con l'intento di farsi un seppur piccolo nome nel mondo di internet.
Le regole dei genitori, i consigli, con il tempo cadevano nel nulla. Circondato da amici per i quali o eri qualcuno sui social o non eri nessuno, non vedeva alternativa se non addentrarsi sempre più nelle spire della rete.
Ne' la madre ne' il padre ci badarono; attribuivano il suo sempre più progressivo chiudersi in camera alla difficile età della adolescenza, e trovavano le conferme di questa tesi dove volevano vederle, come per esempio nei comportamenti analoghi dei figli di alcuni colleghi.
Quando si erano accorti che forse non avrebbero dovuto lasciare quasi solo un ragazzo tanto giovane in un periodo tanto duro, il peggio ormai era successo.
La madre aveva percepito un piccolo cambiamento in Gianni. Anche se il ragazzino aveva preso le distanze dai genitori, sembrava diverso, più felice. E allo stesso tempo quasi non usciva più da camera sua, sempre incollato allo schermo.
Fino a che un sabato, dopo aver detto alla madre che sarebbe uscito con degli amici, non aveva rispettato l'orario di coprifuoco dato da questa.
Per i primi minuti la donna aveva pensato a un ritardo, un imprevisto. Poi era sorta la preoccupazione quando aveva provato a chiamarlo, ma aveva trovato il telefono spento.
A quel punto era subentrata l'ansia, che si accresceva man mano che faceva il giro di chiamate di chi poteva aver visto il figlio.
Ex marito, amici, addirittura insegnanti. Nessuno pareva aver visto Gianni. Il quindicenne era come scomparso.
Era seguita la chiamata alla polizia e la ricerca, angosciosa, durata ore e poi giorni.
Si erano susseguite veglie e lacrime, nell'incertezza di sapere cosa gli era accaduto.
Ma la donna avrebbe preferito affrontare altri anni di ricerca e di angoscia, piuttosto che subire ciò che aveva subito una volta che lo avevano trovato.
Morto. Stuprato. Il giudizio era stato implacabile.
Quando avevano scoperto che Gianni era stato adescato su facebook, da un uomo che si era spacciato per un ragazzino, i genitori non erano riusciti a crederci.
Dopo che per così tanto tempo gli avevano raccomandato di non dare confidenza a persone conosciute su internet! Un ragazzo così giudizioso!
Eppure, davanti all'evidenza dei fatti, non avevano più potuto negare ciò che era successo.
Ma la colpa non era totalmente da dare al ragazzino, che forse aveva provato a non caderci. Ma l'impostore aveva fatto un lavoro lento e graduale, conquistandosi la fiducia di Gianni per quasi un anno, trattando argomenti delicati come il divorzio dei genitori e inventando di esserci passato a sua volta, per creare un contatto.
La donna aveva scoperto un aspetto di suo figlio che gli era stato nascosto per anni,e gli veniva rivelato ora dai social network.
Dopo questo fatto aveva ignorato l'ex marito, i vicini. Tutti. Ogni persona che provava ad avvicinarsi era rifiutata e cacciata.
E per due settimane era rimasta chiusa in casa mentre scopriva suo figlio, i suoi pensieri, le sue riflessioni. Mentre si accusava di essere stata una buona madre, una persona assente. Una comparsa marginale nella sua vita.
La donna è ancora davanti al computer che guarda il profilo di Gianni, i messaggi di condoglianze dai suoi così detti amici, che lei neanche conosce.
Ma non sta piangendo ora.
Più che il dolore, più che lo sconforto, è presente in lei una rabbia primordiale.
Una rabbia verso l'assassino, lo stupratore, il pedofilo che ancora non è stato arrestato.
Quell'uomo che gli ha portato via suo figlio, il suo angelo. Ed è ancora libero.
Ma non per molto. Se non ci pensa la polizia ci penserà lei.
Apre nuovamente la pagina facebook, ma questa volta non accede all'account del figlio.
La freccia si dirige su "Crea nuovo profilo".
E mentre inserisce il nome e l'età, quindici anni, lo sguardo le si posa su una foto di quando era piccola, che ha scelto come profilo.
Non c'è che dire, era davvero un'adorabile bambina bionda.
E sarebbe stata un'esca perfetta. Ecco cosa si dice mentre, con un sorriso crudele, si rigira fra le man un coltello.

Nello stesso momento, dall'altra parte della città, in una stanza altrettanto buia, l'uomo guarda il computer, scorrendo i profili in cerca della prossima vittima.
Con l'ultimo ragazzino era stato un lavoro lento, ma molto soddisfacente. Era stato un lusso vederlo cadere lentamente e inevitabilmente nelle sue spire.
E sentirlo gemere e urlare, spremendo la sua linfa vitale, si era rivelato un piacere sublime.
Ma adesso, dopo aver lasciato passare quel poco di tempo necessario per essere sicuro che la polizia non sarebbe risalito a lui, sente che è ora di passare oltre e andare a caccia di una nuova preda.
Dopo qualche minuto, i suoi occhi porcini si fissano su un'immagine, e lui si lecca le labbra con uno sguardo malato. Trovata.
Non c'è che dire, è davvero un'adorabile bambina bionda.

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