CAPITOLO 1: IL NUOVO ARRIVATO

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“… Nella costellazione del toro c’è, invece, un ammasso aperto, le Pleiadi. Si narrano tantissime storie riguardo tale costellazione. Una di queste è che le Pleiadi siano la dimora di una specie aliena molto simile alla razza umana, i così detti Pleiadiani o, più semplicemente, Nordici. Questi esseri sono tutti incredibilmente alti, biondi e con gli occhi azzurri...”
Lanciai un’occhiata annoiata all’uomo di mezza età, calvo, che parlava in tv.
Magnifico, pensai sarcastica, proprio il mio segno zodiacale. Ormai a casa mia non si faceva altro che vedere stupidi documentari di fantascienza.
Sospirai davanti alla ciotola di cereali del Mulino Bianco: I Pan Di Stelle. Guardare quelle piccole stelline di riso e avena mi faceva pensare ancora di più alla mia vita: una semplice ragazzina diciassettenne con la mentalità di una trentenne, l’unica figlia di due giovani astronomi tanto in gamba quanto fuori di testa...
Sbuffando mi allungai sulla tavola e afferrai il telecomando. Misi su Italia uno, dove stavano trasmettendo Sailor Moon. Sinceramente preferivo vedere i cartoni animati piuttosto che ascoltare sciocchi documentari che tutto dicevano tranne che la realtà.
“Tesoro, perché hai cambiato canale?” mi chiese mamma, alle prese con le pentole sui fornelli. Chissà cosa ci preparerà per pranzo. Era una bella domanda. Mia madre, con la sua impossibile arte culinaria, preparava pranzetti... ‘originali’, per così dire. Il record l’aveva raggiunto portando a tavola un pollo ricoperto totalmente da una fiammante salsa piccante, versata così accuratamente da far sembrare il povero pennuto, disteso sul vassoio argenteo, un pollo dipinto a mano. Quando mio padre si armò di coltello e forchetta e sventrò il pollo, ci accorgemmo che era ripieno di pennette alla diavola.
“Perché sono stufa di vedere documentari. Dicono solamente un sacco di sciocchezze” risposi automaticamente, come se avessi imparato le battute a memoria. "Tu e papà non dovreste guardare queste cose. Vi fanno male.”
Era da circa una vita che ripetevo le stesse parole senza essere ascoltata.
“Non vedo il motivo per cui tu debba essere così scettica. In fondo nessuno ha mai provato la non esistenza di altre forme di vita intelligenti nell’universo.”
“Se è per questo, nessuno non ne ha mai provato nemmeno l’esistenza.”
Mia madre si voltò e mi fece un ampio sorriso strizzando leggermente i suoi vispi occhietti nocciola. Era incredibile che una persona così intelligente potesse credere agli alieni. “Forse un giorno capirai” mi sussurrò versando il latte nella mia tazza. “Mio piccolo raggio di luna.”
Luna... Ero sempre più convinta che mi avessero dato quel nome a causa della loro passione per l’universo.
“Buongiorno, ragazze!” esclamò improvvisamente mio padre facendo un salto mortale dal quinto gradino delle scale che portavano al piano-notte, col rischio di rompersi l’osso del collo.
“Papà, nel caso tu non lo sappia, la forza di gravità è stata già scoperta” sbottai lanciandogli un’occhiataccia. Di mattina ero sempre piuttosto nervosa e intrattabile.
“Sempre di buon umore tu, eh?” fece ironico dirigendosi a grandi passi verso mia madre. Mi passò di fianco e con una mano mi scompigliò i capelli corvini a caschetto.
“Ehi!” esclamai burbera. Ci avevo messo mezz’ora soltanto per aggiustarli.
Mio padre mi ignorò e volò da mamma schioccandole un bacio appassionato sulle labbra.
Alzai gli occhi al cielo e cercai di ignorarli. Odiavo tutto quello spargimento di miele. Il fatto che fossero molto giovani e che si amassero così tanto non voleva dire che dovessero costringermi ogni giorno ad assistere alle loro smancerie. Tentatré e trentaquattro anni: mia madre aveva solamente sedici anni quando mi ha partorita, mio padre diciassette. La prima cosa che la gente pensava quando veniva a conoscenze dell’età dei miei genitori è che erano due irresponsabili. Anch’io l’avrei pensato, ma mi bastava vedere il modo in cui si guardavano ancora oggi dopo diciassette anni, la delicatezza con cui mio padre toccava mia madre, il sorriso che nasceva ogni volta che i loro sguardi si incontravano, per farmi ricredere. Nonostante non fossi mai stata un tipo romantico e sognatore, sapevo di certo una cosa: l’amore vero esisteva, ed era quello.
Per quanto riguarda i genitori dei miei genitori, non li ho mai conosciuti. I miei nonni cacciarono fuori di casa i miei quando vennero a conoscenza della gravidanza di mia madre. Mamma e papà erano disposti a qualsiasi cosa pur di tenere il bambino, ma i loro genitori non volevano. Avevano paura di quello che avrebbe detto la gente: una giovane sedicenne messa incinta dal fidanzato...
Quello che volevano i miei nonni era che mamma abortisse, ma per ottenere ciò dovevano passare sul cadavere di mio padre. È piuttosto insolito che un ragazzino di diciassette anni sia contento di sposarsi a quella tenera età e crescere un figlio, ma mio padre, Francesco, desiderava ardentemente che quella piccola creatura che nuotava nel grembo della persona più importante della sua vita venisse al mondo.
Così Francesco e Antonella abbandonarono i genitori originari di Palermo per trasferirsi qui, a Volterra: uno dei luoghi più affascinanti e misteriosi del mondo. Nonostante tutto, i miei continuarono a studiare insieme fino ad arrivare alla laurea in astronomia e a mostrare una tale passione per il loro mestiere da divenire membri della NASA. Quando mamma mi raccontava questa storia la vedevo brillare di una strana magia, un misto di tristezza per il loro amore tormentato e gioia per il lieto fine che erano riusciti a dare alla nostra famiglia.
Per quanto riguarda me, sono stata allevata dal mio clone vivente: zia teresa, comunemente nota come terry, sorella di mio padre. Mi sono sempre chiesta da chi avessi preso vista la vivacità dei miei, poi la risposta è arrivata conoscendola: strana, insolita e continuamente annoiata: la mia copia perfetta. Fu soltanto grazie a lei che i miei poterono continuare a studiare.
Il suono del campanello mi distrasse dai pensieri. Doveva essere Nicole, la mia svampita migliore amica.
Abbandonai la tazza di cereali sulla tavola e con un volo afferrai cartella e giubbino per poi dirigermi verso la porta.
“Ci vediamo dopo!” esclamarono in unisono i miei che cinguettavano in cucina. Bleah!
Salutai Nicole e poi ci avviammo verso il liceo scientifico della città. Come al solito la mia migliore amica cominciò a straparlare allegramente, raccontandomi del sogno fatto la notte precedente, di quello che avrebbe fatto di pomeriggio, di cosa aveva in programma per quel fine settimana. Nicole era il mio perfetto opposto: sempre allegra, sempre sorridente, sempre ottimista.
“Sai che da oggi abbiamo un nuovo compagno di classe?” Appena pronunciò quelle parole smisi di annuire e di fare finta di seguire quello che diceva, e cominciai ad ascoltarla sul serio. “Cosa?”
“Si chiama Nicholas come Nick dei Jonas Brothers. Mi sono informata: è altissimo, biondo-occhi-azzurri, abbronzato. Deve essere uno schianto.”
Odiavo i nuovi arrivi. Ero un tipo molto timido e riservato e non me la cavavo affatto a fare nuove amicizie. A mala pena avevo un dialogo con i miei compagni di classe, figuriamoci se facevo amicizia con quello nuovo.
Di lì a poco si affiancò a noi Sara. Alta, bionda, occhi azzurri, davvero molto carina. Civettava volando con la leggerezza di una farfalla da un ragazzo all’altro dei tanti studenti che si dirigevano verso la scuola e che riempivano le vivaci stradine di volterra ogni mattina. Sempre ammirata, inseguita, corteggiata, amata, ma senza mai innamorarsi veramente di qualcuno, senza provare la minima emozione, quasi godesse a far soffrire, fredda e glaciale. Sara per me era un mistero: intelligente, socievole, spiritosa, ironica, socializzava facilmente con tutti, partecipava con entusiasmo a riunioni, feste, occasioni arie, ma non sapeva ascoltare, non comunicava sensazioni, sentimenti, non gioiva o soffriva veramente per gli altri, gelida, superficiale, distaccata, vuota dentro, sembrava che non avesse un’anima. Per questo preferivo tenerla lontana e limitavo i rapporti all’aspetto strettamente scolastico.
Sara chiese delle informazioni sul nuovo compagno di classe e poi si intrattenne a chiacchierare con Nicole fino a quando arrivammo a scuola.
Lsciandole lì fuori alla loro animata conversazione riguardo i ragazzi, entrai appena suonò la campanella. Decisi di passare per i giardini per entrare dal retro perché odiavo la folla che si accalcava ogni mattina all’ingresso.
Fu in quel momento che lo vidi per la prima volta. Così incredibilmente bello...
Appoggiato ad un albero nei giardini si trovava un ragazzo altissimo e slanciato. Stava annotando qualcosa su un quadernino e ogni tanto alzava lo sguardo per dare un’occhiata intorno come se stesse facendo una descrizione del luogo in cui si trovava. Aveva un viso abbronzato, nel quale erano incastonati un paio di occhi di un azzurro tanto splendente, mai visto prima di allora. Un’improvvisa folata di vento mosse i suoi capelli biondissimi, facendoli ricadere sul viso. In quell’istante il ragazzo si accorse della mia presenza e l’oceano azzurro dei suoi occhi mi sommerse. [...]

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Titolo: Indaco
Autrice: Nicolina Montella
Gruppo Albatros
Pagine: 142
Prezzo: €9,50
ISBN: 978-88-567-7441-2

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                                                    N.M.

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