Capitolo primo. Una goccia nell'oceano

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Erano passati ormai sei mesi dalla scomparsa di mio padre. Sei mesi da quando mia madre aveva ricevuto un'insolita telefonata alle tre del pomeriggio, "Reed è morto" aveva detto quella voce. Ricordo ancora l'espressione tatuata sul viso di mia madre: non sapevo come descriverla se dannatamente addolorata o dannatamente terrorizzata. Rimase col telefono in mano a fissare il vuoto per qualche minuto: non poteva credere che l'uomo che aveva amato per vent'anni fosse davvero morto.
Ed io ero lì, aspettando che mia madre mi spiegasse la situazione ma per tutto l'interminabile viaggio fino a Minneapolis, lei non parlò. Non un'emozione, non una reazione; tutto quello cominciava a infastidirmi.
Vidi il dolore di mia madre solo in due occasioni: al momento della vista di mio padre coperto da un pesante lenzuolo bianco e il giorno del funerale, quando ormai era certa -come tutti noi- che non l'avrebbe più rivisto. Quel giorno fu un funerale importante. Il capitan Reed, mio padre, aveva appena celebrato venticinque anni di servizio militare degli Stati Uniti d'America.
C'erano molte persone; alcune, le più coraggiose venivano a salutarci ed altre partecipavano solennemente alla cerimonia. Io, in piedi, fissavo le corone di fiori poste accanto alla bara e mi sforzavo, per quanto possibile, di essere forte come lui che non si era mai fatto vedere debole. Ma il dolore, era immenso e i ricordi cavalcavano goffamente la mia mente. Le facce della gente erano conosciute, alcune sarebbero venute a pranzo a casa nostra.
Proprio a casa, Camille e Amelia -considerate da me come punto di riferimento e seconde madri-, erano rispettivamente mia zia e la madre della mia migliore amica, sempre pronta ad affiancarmi, avevano allestito per rendere più invitante il pranzo, il lungo tavolo con delle portate di carne e patate.
Mia sorella Hazel aveva cinque anni. Giocava con le sue bamboline sul tappeto e non aveva la minima idea di cosa succedeva attorno a lei e nemmeno di cosa le sarebbe aspettato. Aveva la grinta di dieci bambini messi insieme ed era stupenda, i boccoli castani le cadevano sulle spalle, gli occhi verdognoli risaltavano la pelle lievemente olivastra, contraria alla mia, marcatamente color avorio.
Hazel era davvero diversa da me, spesso non ci riconoscevano neanche come sorelle. Se lei aveva gli occhi verdi, io li avevo color nocciola e se lei aveva i capelli castani, io li avevo biondo cenere. Nemmeno caratterialmente mi somigliava, io ero timida e riservata e lei l'esatto contrario. Lei era uguale a mamma e io avevo preso da papà.
Da quel giorno, ogni sabato, passavo dal vivaio vicino casa a comprare i girasoli, i fiori preferiti di papà, poi andavo al cimitero. Ricordavo, davanti la sua nuova casa, le nostre innumerevoli passioni in comune: il giardinaggio, il lago, la pesca, la lettura. In diciassette anni con lui avevo vissuto le più belle esperienze. Pulivo bene la sua tomba accarezzando con un senso di gratitudine la foto che probabilmente era stata scelta da mia madre. Lo ritraeva sorridente insieme alla sua inseparabile divisa.
Le persone cominciavano ad arrivare e alcuni si fermavano a mettere un fiore al capitano. Il sole era alto, così io deciso di tornarmene a casa.
Notavo mia madre sempre più immersa a capofitto nel suo lavoro e volevo che si svagasse un po'.
"Tesoro, com'è andata a scuola?" chiese con un finto tono sereno.
"È sabato. Comunque va bene in questi giorni, te lo dico sempre." cercavo di non essere scorbutica.
"Perdonami tesoro. Ma con l'immenso lavoro da fare, ho perso la cognizione del tempo." mi rivolse uno dei suoi fantastici sorrisi.
"Mamma, stasera mi posso fermare a cena alla caffetteria?"
Mi guardo teneramente. "C'entra un ragazzo?"
L'argomento più odiato. "Se Adelaide può considerarsi tale."
In realtà alla caffetteria quella sera c'erano anche Billy, il capo, e Luke, parlando di uomini.
Sorrise e riprese a lavorare. Era una professoressa di scienze sociali nella mia scuola, ma io frequentavo il corso di Mr. Hudson.
La caffetteria era abbastanza piena e io ero arrivata in ritardo. Billy mi ordino di mettermi il greambiule bianco con su stampato il nome del locale. Quel giorno da Billy era in prova una ragazza con la quale feci subito amicizia, ma era così maldestra e tesa che non pensavo di rivederla ancora.
Luke, lavorava alla caffetteria prima del mio arrivo assieme ad Adelaide, mia compagna fidata. Era una persona molto modesta e simpatica, aveva i capelli neri e corti ed era molto alto e slanciato.
Al bancone, Allison mi aveva porso un vassoio in acciaio con una invitante fetta di torta e una tazza di cappuccino.
"Tavolo...ehm, tavolo 8" Allison mi sorride e io mi diressi al tavolo ordinato. Lessi lo scontrino.
"Cappuccino alla vaniglia e semifreddo alla frutta per lei." delizioso, pensai.
Il ragazzo mi guardò come se lo avessi disturbato da un lavoro molto importante. I suoi occhi si poggiavano su di me con pesantezza e io cominciavo a sentirmi a disagio. Poi rilassò l'espressione.
"Buon appetito." non dovevo dilungarmi oltre.
"Ti ringrazio", e tornò a guardare il suo computer.
Quando finì, si alzò con eleganza e pagò al bancone.
L'ora della chiusura era giunta, quella sera avremmo mangiato tutti insieme. Billy per noi era come un padre, un punto di riferimento e ogni mese voleva cenare con noi.
"Sono lieto di accogliere Allison nella nostra famiglia" con mia grande sorpresa la maldestra Allison era stata assunta. Infondo, sarebbe stato divertente lavorare al suo fianco.

Riuscire a prendere sonno quella sera, fu una missione quasi impossibile da portare a termine.

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